«Il segreto per curare il tuo bambino» – sussurrò il giovane ragazzo. Ciò che accadde dopo lasciò il professore dottore stupefatto!

*”So che cosa può guarire tuo figlio,”* sussurrò il ragazzino. Quello che accadde dopo lasciò di stucco il professor dottore!

Le mura del reparto di oncologia pediatrica dell’ospedale regionale erano tappezzate di disegni vivaci: animaletti dei cartoni saltellavano sulle pareti, mentre nuvole sul soffitto apparivano dolci e leggere. La luce del sole danzava sulle tende, creando un’illusione di gioia. Ma dietro quella facciata colorata regnava un silenzio particolare – quello che abita i luoghi dove la speranza è una fiammella fragile al vento.

La stanza 308 non faceva eccezione. Qui il silenzio era quasi tangibile, un silenzio in cui ogni respiro diventava una preghiera. Accanto al letto c’era il dottor Andrea Marchetti, un rinomato oncologo pediatrico, un uomo i cui studi avevano salvato decine di vite, i cui articoli erano citati dai colleghi, i cui interventi suscitavano rispetto in conferenze internazionali. Ma in quel momento non c’era un medico, solo un padre – esausto, piegato dal dolore, gli occhi rossi dietro gli occhiali.

Sul letto giaceva suo figlio, Luca. Un bambino di otto anni, privato dei capelli, del colorito, delle forze. La leucemia mieloide acuta gli aveva rubato l’infanzia, e ad Andrea la fede nella medicina. Chemioterapia, nuove tecniche, consulti con cliniche straniere – tutto era stato provato. E niente aveva funzionato. Luca si spegneva, e Andrea restava impotente, nonostante tutta la sua esperienza.

Fissava il monitor: un tracciato cardiaco debole, il lieve movimento del petto… E le lacrime gli scendevano senza controllo.

In quel silenzio, un colpo alla porta. Andrea si voltò, aspettandosi un’infermiera. Ma sull’uscio c’era un ragazzino di circa dieci anni – scarpe da ginnastica consumate, una maglietta troppo larga. Al collo, un badge da volontario con scritto: *”Daniele.”*

*”Posso aiutarla?”* chiese il dottore, asciugandosi il viso di fretta.

*”Sono venuto per suo figlio,”* rispose Daniele, con voce bassa ma ferma.

*”Non riceve visite,”* tagliò corto Andrea.

*”Io so come aiutarlo.”*

Le parole suonarono stranamente dirette, senza enfasi. Andrea sorrise con amarezza:

*”Dunque sai curare il cancro?”*

*”Non so molte cose,”* rispose tranquillo Daniele. *”Ma so di cosa ha bisogno.”*

Il sorriso svanì dal volto del medico. Si raddrizzò.

*”Ascolta, ragazzo. Ho fatto tutto il possibile. Consulti da Milano, Israele, Germania. Credi davvero che qualcuno abbia trascurato una soluzione semplice?”*

*”Non sto offrendo speranza,”* disse Daniele. *”Porto qualcosa di reale.”*

*”Vattene,”* replicò brusco Andrea, voltandosi.

Ma Daniele non si mosse. Con lentezza, come se conoscesse la strada, si avvicinò al letto di Luca.

*”Cosa stai facendo?!”* esclamò il dottore.

*”Ha paura,”* rispose il ragazzo, senza distogliere lo sguardo. *”Non solo della morte. Ha paura che lei lo veda così – fragile.”*

Andrea si bloccò. Il cuore gli si strinse. Daniele prese delicatamente la mano di Luca.

*”Anche io sono stato malato,”* sussurrò. *”Peggio. Per un anno non ho detto una parola. Tutti credevano avessi un danno cerebrale. In realtà vedevo… qualcosa. Qualcosa che non potevo spiegare.”*

*”Cosa esattamente?”* chiese Andrea, incrociando le braccia.

Gli occhi di Daniele brillarono d’inspiegabile.

*”Non parlava. Lo sentivo. Mi disse di tornare. Che non avevo finito. Che dovevo aiutarlo.”*

*”Mi prendi in giro?”* sbottò Andrea. *”Credi che mio figlio non abbia bisogno di un dottore, ma di un narratore di favole?”*

Daniele non rispose. Chiuse gli occhi, mormorò qualcosa quasi impercettibile e sfiorò la fronte di Luca.

Per la prima volta dopo giorni, il bambino si mosse. Le dita gli tremarono impercettibilmente.

*”Luca?!”* gridò Andrea, precipitandosi verso di lui.

Lentamente, con fatica, il bambino aprì gli occhi.

*”Papà…”* sussurrò.

Andrea quasi cadde in ginocchio. Afferrò la mano del figlio.

*”Mi senti?”*

Luca annuì.

*”Cosa hai fatto?”* domandò il medico, fissando Daniele.

*”Gli ho ricordato perché è ancora importante,”* disse quello. *”Ma crederci… deve farlo lui.”*

*”Sei solo un bambino. Un volontario. Non sei un dottore!”* la voce di Andrea si alzò.

*”Sono più di quanto creda,”* rispose Daniele con calma. *”Chieda all’infermiera Elena. Lei sa tutto.”*

E se ne andò, lasciando dietro di sé un silenzio vibrante.

Quando Andrea chiese al personale chi avesse fatto entrare il ragazzo, una delle infermiere aggrottò le sopracciglia:

*”È impossibile. Daniele se n’è andato da tempo. Non c’è qui da più di un anno. Aveva superato una rara malattia neurologica. Non cercammo nemmeno di spiegarcelo – lo chiamammo miracolo.”*

Andrea rimase di pietra.

Intanto, nella stanza 308, Luca era seduto sul letto e chiedeva un succo di frutta.

Il giorno dopo era più vivo che negli ultimi mesi. Scherzava con le infermiere, chiedeva al padre di tenergli la mano, come quando era piccolo e aveva paura dei temporali. Andrea non capiva. Le analisi erano le stesse. Niente nuove medicine, niente procedure. Solo un ragazzo che nessuno si aspettava.

Più tardi, si sedette accanto a Elena.

*”Parlami di Daniele,”* chiese piano.

*”Perché?”* domandò lei, sospettosa.

*”È venuto da Luca. Ha fatto qualcosa. Pensavo fosse solo gentilezza… ma ora non ne sono sicuro.”*

Elena posò il tablet.

*”Arrivò qui a quattro anni. Non parlava, non camminava. Nessuna diagnosi. Rimase in coma sette mesi. Lo chiamavamo *il piccolo angelo dormiente.*”*

*”Cosa successe poi?”*

*”Una notte, durante un temporale, si svegliò all’improvviso. Si sedette e disse una sola parola: *Vivere.* Poi cominciò a guarire. Come se il corpo si fosse ricordato di essere vivo. Non capimmo mai. Ma sua madre era certa – gli fosse accaduto qualcosa di più. Diceva di aver sentito una presenza nella stanza: calda, luminosa, come se qualcuno fosse venuto *da laggiù.* E al mattino Daniele si svegliò.”*

Tacque.

*”Dopo cambiò. Divenne molto sensibile. Sembrava capire ciò che altri non vedevano. Chiedeva di stare con i bambini malati. Si sedeva accanto a loro, gli teneva la mano. A volte accadeva qualcosa di strano. Non tutti guarivano. Ma quelli che sopravvivevano dicevano una cosa sola: lui gli aveva ricordato che non erano soli.”*

Andrea non riusciva quasi a respirare.

*”Dov’è adesso?”*

*”Se ne andarono in Trentino. La madre voleva ricominciare. E dimenticare.”*

Quella sera Andrea era seduto accanto al letto di Luca.

*”Ti ricordi quel ragazzo?”* chiese.

*”Sì,””E quando guardò la foto di Daniele con l’agnello, Andrea capì che la guarigione più grande era stata la sua.”

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