Ho sessantun anni. Io e mio marito abbiamo trascorso insieme più di quarant’anni—nella povertà, nell’abbondanza, tra lacrime e risate. Di tutto abbiamo vissuto. E ora, al tramonto dei nostri giorni, abbiamo un solo desiderio: poter coccolare i nostri nipoti. Sentire il rumore dei loro passetti, vederli somigliare a nostro figlio o a nostra figlia, stringerli a noi, scaldarli, trasmettere quel calore che il mio cuore di madre anela a donare. Ma sembra che questo sogno rimarrà insoddisfatto…
Nostro figlio, Marco, ha già trentacinque anni. È un genio, il capo programmatore in una grande azienda internazionale. Guadagna bene, ha comprato un appartamento lussuoso nel centro di Milano e sta risparmiando per l’auto dei suoi sogni. Ci aiuta—moralmente e finanziariamente. Lo rispettiamo. È il nostro orgoglio. Ma ogni volta che accenno alla famiglia, mi respinge come se fossi una mosca fastidiosa.
“Mamma, vivo per me stesso. Non ho intenzione di sposarmi né di avere figli,” mi disse una volta, nel giorno del suo compleanno, quando io, sciocca, tornai a sognare ad alta voce dei nipoti.
Quella volta, onestamente, trattenni a malapena le lacrime. Mi si annebbiarono gli occhi, e qualcosa dentro di me si spezzò. Mio marito cercò di consolarmi—”Potrebbe ancora cambiare idea,” diceva. Ma io sentivo che non sarebbe successo. Si aggrappa troppo alla sua libertà e al suo comfort.
E non è solo Marco. Anche nostra figlia, Caterina, ha seguito lo stesso sentiero. Eppure da piccola era così domestica, affettuosa… Io e mio marito non prendemmo sul serio le sue parole a quindici anni—”Non mi sposerò mai e non avrò figli.” Beh, pensavamo, è solo un’adolescente, è la fase ribelle. Chi prende sul serio certe cose a quell’età?
Ora Caterina ha ventinove anni. Bellissima, intelligente, di successo. Vive con il suo ragazzo da quattro anni, ma di matrimonio neanche l’ombra. Ho parlato sia con lei che con il suo compagno, chiedendo gentilmente: “Forse è ora di regolarizzare la vostra relazione?” Ma si sono solo messi a ridere.
“Mamma, in che secolo vivi? Oggi il timbro sul passaporto non serve a nessuno. Siamo felici così.”
E quando accennai con delicatezza ai bambini, lei rispose brusca:
“Mamma, adesso ho il lavoro. Progetti, riunioni, viaggi. Non ho tempo per pannolini e coliche.”
Cercai di spiegarle che la giovinezza non dura per sempre. Che il corpo di una donna è fatto per partorire prima dei trent’anni. Che dopo diventa tutto più difficile, sia per lei che per il bambino. Ma non volle ascoltare. Disse che non doveva soddisfare le aspettative degli altri. Che la felicità non sta nella famiglia, ma nella realizzazione di sé.
E a me sembrò che un coltello mi trafiggesse il cuore. Non sono un’estranea. Sono sua madre. Non sono un nemico. Non chiedo molto. Voglio solo giocare con i miei nipoti. Raccontare loro le favole che narravo ai miei figli. Cucire loro le copertine. Preparare una torta di mele. Ma non mi danno nemmeno una possibilità. Non solo non vogliono figli—non vogliono una famiglia, un matrimonio, tutto ciò che io e loro padre abbiamo insegnato loro per tutta la vita.
Recentemente io e Caterina abbiamo litigato pesantemente. Era venuta a prendere il tè con me, e poco prima mi aveva chiamata un’amica, vantandosi di essere diventata nonna per la seconda volta—sua figlia ha solo ventisei anni e già ha un secondo bambino. E la mia… tace, come se fossi un’estranea.
Non riuscii a trattenermi. Le dissi che alla sua età io avevo già due figli, che li portavo in passeggino per le strade e cantavo loro ninne nanne di notte, che quella era la vera felicità. Lei si infiammò, si appoggiò allo schienale e disse freddamente:
“Mamma, non osare paragonarmi a te. Tu hai avuto una vita, io ne ho un’altra. E non sono obbligata a fare figli solo per farti sentire utile.”
Quella volta piansi. Se ne andò senza salutare. Io rimasi seduta con la tazza di tè freddo e le mani che mi tremavano. E pensai: sarà che ho sbagliato qualcosa? Forse sono stata troppo gentile, non ho insistito quando avrei dovuto? O, al contrario, ho preteso troppo? Dove ho fallito, io, come madre?
Ora quasi tutte le mie amiche accudiscono i nipoti, mentre io vado da loro, asciugo le lacrime di nascosto, invidio, sorrido a fatica. E torno a casa nel silenzio. Senza risate di bambini, senza giocattoli sparsi per terra, senza manine che gridano:E intanto, mentre aspetto invano, il tempo scorre via come l’acqua tra le dita.