Il sole dopo la pioggia…

Il sole dopo la pioggia…

“Ginevra, vieni un momento. Sono stata in cantina e ti ho preso delle patate.” Ginevra si voltò verso il cortile della vicina.
“Grazie mille, zia Lucia, te le restituirò presto.”
“E con cosa? Ah, povera me. Restituirà, sì. Avresti dovuto pensarci prima, quando hai fatto tutti quei figli. Sandro non è mai stato un uomo per bene.”

Ginevra ingoiò le parole offensive, perché sapeva che mancava ancora una settimana alla paga, e con solo latte non si poteva andare avanti. Pazienza per lei, ma a casa l’aspettavano tre bambini. Sandro, di cui parlava la vicina, era suo marito, ormai ex, perché l’anno prima aveva scoperto che lo Stato non gli avrebbe regalato né una macchina né una casa solo perché aveva tre figli. Aveva fatto i bagagli in fretta e le aveva detto che non aveva intenzione di vivere nella miseria. Ginevra stava lavando i piatti e lasciò cadere un piatto per la sorpresa.

“Sandro, ma che stai dicendo? Sei un uomo. Cerca un lavoro vero, dove pagano bene, e non ci sarà più miseria. Sono i tuoi figli! Hai sempre detto che volevi una famiglia numerosa.”

“Lo volevo, ma non sapevo che lo Stato si sarebbe disinteressato delle famiglie numerose. E lavorare per niente non ha senso,” rispose Sandro.

Ginevra abbassò le braccia.
“Sandro, e noi? Come farò da sola?”
“Ginevra, non lo so. E poi, perché non hai insistito che un figlio bastava? Sei una donna, avresti dovuto capire che poteva finire così.”

Ginevra non fece in tempo a rispondere, perché Sandro uscì di casa di corsa e si diresse verso la fermata dell’autobus. Le vennero le lacrime agli occhi, ma poi vide tre paia di occhi puntati su di lei. Alessandro era il più grande, quell’anno sarebbe andato a scuola. Michelangelo aveva solo cinque anni, e la loro stellina Margherita ne aveva due. Ginevra deglutì e sorrise.
“Allora, chi vuole le frittelle?”

I bambini urlarono di gioia, ma quella sera Alessandro chiese:
“Mamma, papà non tornerà più?”
Ginevra cercò di trovare le parole giuste, ma alla fine disse solo:
“No, tesoro…”

Alessandro sbuffò per un po’, poi disse:
“Be’, pazienza. Ce la faremo senza di lui. Ti aiuterò io.”
Quando Ginevra tornava dalla mungitura serale, sapeva che i piccoli erano già a letto e sazi. E più di tutto, si stupiva di quanto suo figlio fosse cresciuto in fretta.

***

Dopo aver ringraziato per le patate, si avviò verso casa. “Dio, quando finirà questo freddo? Che inverno anomalo quest’anno.” Le patate sarebbero bastate, ma una notte il gelo era stato così intenso che anche quelle in cantina si erano congelate. I paesani li compativano. La gente in campagna era buona, ma non mancavano di farle notare quanto fosse stata stupida. E poi, stupida dove? Ora non riusciva neanche a immaginare la vita senza uno dei suoi figli. Per quanto fosse difficile, ce la facevano. Avrebbero voluto vestiti nuovi e giocattoli, ma i bambini non chiedevano. Sapevano che la mamma avrebbe comprato quando poteva. Quell’anno, lei e Alessandro avevano persino pensato di costruire una grande serra, anche se di plastica, ma avevano già calcolato quante più conserve di pomodori e cetrioli avrebbero potuto fare per l’inverno.

Ginevra spostò il secchio nell’altra mano e vide una piccola folla. Beh, per un paese così piccolo, anche tre persone erano una folla. Si avvicinò, perché quella folla era proprio davanti al suo recinto. Ancora a distanza, sentì:
“È enorme, deve essere un cane da caccia.”
“Probabilmente un cinghiale l’ha azzannato. No, non sopravviverà.”

Ginevra guardò dove tutti fissavano e sussultò. “Ma cosa state a guardare? Bisogna aiutarlo!”
La gente si voltò verso di lei. Un vicino disse:
“Ginevra, ma che dici? Vedi quei denti? Chi si avvicina? E poi, ormai è spacciato.”
“Come spacciato? È venuto qui per chiedere aiuto!”

Sulla neve giaceva un cane, forse da caccia, forse no. Ginevra non era un’esperta, ma vedeva che aveva una ferita seria al fianco. Era enorme, ma lei non ne aveva paura. Vedeva solo il dolore nei suoi occhi! La gente rise e se ne andò. Nessuno voleva problemi.

Ginevra accarezzò delicatamente la testa del cane.
“Resisti, resisti ancora un po’. Ti porto una coperta e proviamo ad arrivare a casa.”
Dietro di lei, un fruscio.
“Mamma, ho preso la coperta. E possiamo usare la porta del vecchio frigorifero come barella.”

Ginevra si voltò di scatto: Alessandro era lì, con gli occhi lucidi. Anche lui vedeva il dolore del cane. Il cane afferrò la coperta tra i denti e guaì piano. Si calmò mentre Ginevra puliva la ferita. Se i cani svengono, era proprio quello che stava succedendo. I più piccoli osservavano tutto dal divano, a bocca aperta.
“Mamma, sopravviverà?”

Alessandro accarezzava la testa del cane, che finalmente aprì gli occhi annebbiati.
“Deve farcela, ci prenderemo cura di lui.”

Il giorno dopo, appena arrivata in fattoria, le mungitrici la circondarono.
“Ginevra, ma cosa ti è saltato in mente? Perché portare un cane così grosso in casa, e con i bambini?”
“Già. Come se non avesse già abbastanza bocche da sfamare. E poi, che senso ha? Morirà comunque, e se non muore, li azzannerà tutti.”

Ginevra alzò la voce:
“Non avete problemi vostri, invece di ficcarvi nei miei? Zia, ieri Caterina diceva che ti strapperà i capelli perché qualcuno le ha detto che tuo marito corre nel tuo orto. E tu, Tania, sistema prima la tua casa invece di giudicare la mia. Tuo figlio Luca ha di nuovo bevuto birra davanti al negozio, e ha solo 14 anni.”

Le donne tacquero all’istante, indietreggiarono persino, perché Ginevra non si era mai permessa di parlare così. Lei tornò al lavoro. “Devo ricordarmi di prendere del latte. Magari Jack lo berrà.”

Jack era il nome che Alessandro aveva dato al cane. Non lo lasciava mai solo. Gli portava acqua, gli sistemava la testa, gli metteva uno zoccolo sotto per farlo stare comodo.
Quella sera, il trovatello bevve un po’ di latte.
“Bravo, ce la farai…”

Il cane infatti ce la fece. Ginevra lo nutriva come i figli. Si privava, ma il cane non mancava di nulla. Dopo tre settimane, barcollava già per casa. I bambini lo accarezzavano, ma ancora non osavano abbracciarlo troppo. Jack si era scelto un posto: dormiva su un tappeto accanto al letto di Alessandro. Ginevra sapeva benissimo che in paese continuavano a sparlare, ma faceva finta di niente. Lasciateli chiacchierare, tanto è quello che sanno fare.

***

La primavera arrivò all’improvviso. Ginevra e Alessandro decisero di coprire un’aiuola con la plastica per scaldare la terra. Dopo che aveva preso il cane, i paesani smisero di aiutarli. Beh, giusto: se aveva da dar da mangiare a un cane, p

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