**Il furbo Timo**
Ultimamente, io e mamma litigavamo senza sosta. Ci stancavamo, ci allontanavamo in silenzio, ma appena una di noi riprendeva il discorso, ricominciavano le urla.
“È impossibile parlare con te! Non ascolti mai nessuno. Per te esiste solo la tua opinione. Nemmeno papà riuscivi a sentirlo, ed ecco perché se n’è andato,” urlavo. Sapevo di aver superato il limite, ma la rabbia mi travolgeva.
“Voglio andare via perché non posso vivere senza Daniele. Lo amo. Volevo farlo nel modo giusto, ma a quanto pare non si può. Ho vent’anni, mamma! Una volta a questa età eravamo già considerate zitelle. Tu sei sempre perfetta, non ti fa schifo? Io non voglio essere come te…” Mi fermai prima di finire.
“Ma io non sono contraria. E ti ascolto benissimo. Allora perché non vi sposate, se vi amate così tanto?” rispose lei con una calma che mi sorprese, forse intimorita dal mio tono.
“Eccoci di nuovo,” sbuffai. “Dove vuoi che ci sposiamo? Siamo studenti. Vivi alle tue spalle? O a quelle dei suoi genitori? Loro gli hanno già comprato un appartamento.”
“E come vivrete?”
“Te l’ho già detto, Daniele lavora, crea siti e programmi al computer. Viene pagato per questo. Sì, mamma, hai mai sentito parlare di lavoro online? Abbiamo abbastanza per mangiare, e tra un anno finiremo gli studi e ci sposeremo.”
“Allora aspetta quell’anno. O forse hai fretta? Sei incinta e non me lo dici?” Mi scrutò con sospetto.
“No, mamma, non sono incinta. Basta, è inutile parlare.” Entrai in camera e cominciai a riempire lo zaino. I vestiti non ci stavano tutti, così rimasi in piedi, indecisa.
Mamma entrò senza dire nulla. “Ecco, adesso ricomincia,” pensai, ma lei rimase in silenzio e uscì. Pochi minuti dopo tornò con una valigia, quella che usava con papà per le vacanze.
“Grazie!” La abbracciai. “Non vado dall’altra parte del mondo, verrò a trovarti. Ti chiamerò ogni giorno. Se hai bisogno, dimmelo, verremo io e Daniele.”
All’improvviso, mamma si afflosciò sul divano, nascondendosi il viso tra le mani.
“Tutti mi abbandonano. Giusto, scappate via, come se fossi un mostro. Ero utile quando ero giovane e sana, ora vi do solo fastidio. Tuo padre ha trovato una più giovane, io non vado più bene. Quando aveva l’ulcera o il mal di schiena, ero indispensabile. Lo curavo, gli facevo massaggi, cucinavo solo cibi leggeri. Poi, appena ripreso, è scappato. Pazienza, quando starà male tornerà, ma io non lo perdonerò.”
“E adesso tocca a te. Perché non restavi qui? Dovrai cucinare, fare la spesa, studiare… E se rimani incinta? Perché hai tanta fretta?”
Mi sedetti accanto a lei, sentendola tesa e amareggiata. Per un attimo pensai di cedere.
“Potevate continuare a vedervi. Perché andare via?” continuava lei.
“Perché la gente vive insieme? Perché non riesce a stare senza. Io lo amo. Ma verrò a trovarti. Promesso. E ti chiamerò ogni giorno. Anzi, vuoi che veniamo a vivere qui?”
Mamma si raddrizzò di colpo.
“Ma figurati!”
Sorrisi tra me e me. Lei si era sposata tardi. La nonna era severa e non la lasciava mai uscire. Solo dopo la sua morte, mamma si era sposata, giusto in tempo.
Io ho vent’anni, e lei è già in pensione. L’azienda dove lavorava ha chiuso, e tutti i più anziani sono stati liquidati. Poi è arrivato il colpo di scena di papà. Lo capivo, ma come scegliere tra lei e Daniele? Non saremmo mai riusciti a vivere tutti e tre insieme. E poi, perché provarci, se Daniele ha già casa sua? Per mamma era solo la paura di restare sola.
“Perdonami, ti voglio bene. Ma amo anche Daniele.” Ripresi a sistemare le cose.
Quando uscì, presi il telefono.
“Mi aspetti?” sussurrai. “Arrivo.”
Misi via il telefono, misi lo zaino in spalla e trascinai la valigia fuori.
Mamma era in cucina, rivolta verso la finestra.
“Non arrabbiarti, ti chiamo domani,” dissi, colpevole.
Non si mosse. Sembrava così persa, così sola, che mi venne da compatirla. Ma se mi fossi avvicinata, avrebbe ricominciato a supplicarmi di restare. E Daniele aspettava già fuori al freddo. Così, decisa, uscii prima di cambiare idea.
Potevamo prendere un taxi, ma dovevamo risparmiare. Andammo alla fermata dell’autobus.
“Com’è andata? Ti ha sgridato molto? Ti ha pregato di restare?” chiese Daniele stringendomi la mano.
“Normale,” borbottai. Non avevo voglia di parlare.
“Ti pentMentre l’autobus si allontanava, guardai indietro verso casa, sapendo che, nonostante tutto, la vita con Daniele e quella con mamma alla fine si sarebbero incastrate come i pezzi di un puzzle che non sapevo di dover completare.