Il Sposo Sconosciuto

Nel piccolo borgo di San Pietro, in Toscana, tutti gli abitanti erano in fermento per il matrimonio. Luca, il più abile meccanico del paese, le mani doro, aveva deciso di sposare Ginevra, la ragazza più luminosa del villaggio. Ginevra era come un fiore di papavero: vivace, voce cristallina, risata che pareva un campanello. Sempre al centro dellattenzione, sempre la prima. Sembravano usciti da una cartolina: i genitori di Luca avevano costruito una nuova casa per loro, eretto un recinto e adornato i cancelli con nastri colorati. La festa durò tre giorni, con musica che riecheggiava per tutta la strada, il profumo di grigliate e dolci torte, e gli invitati che urlavano Amari! come tradizione.

Io, quel giorno, non ero alla festa. Ero nella mia piccola clinica di paese, seduta accanto ad Alessandra, la timida Annetta del villaggio. Gli occhi di Alessandra erano come laghi di montagna: profondi e silenziosi, carichi di una tristezza antica che faceva male a guardare. Seduta sulla poltrona, dritta come una corda tesa, rimaneva in silenzio, le mani sottili intrecciate sul grembo finché le nocche si facevano bianche.

Indossava il suo vestito più bello, un cotone a piccoli fiori di papavero, vecchio ma pulito e stirato, con una sottile fascia azzurra tra i capelli. Anche lei si era preparata per un matrimonio: quello con Luca. Luca e Alessandra erano inseparabili fin dallasilo: condividevano la prima banco, lui portava lo zaino, lei gli dava i biscotti e risolveva i compiti. Tutti nel villaggio dicevano: Luca e Alessandra sono come cielo e terra, come sole e luna, sempre insieme. Dopo il servizio militare, Luca corse subito da lei, presentarono la domanda di matrimonio e fissarono la data: lo stesso giorno in cui Ginevra e Luca stavano per celebrare il loro amore.

Ma un giorno Ginevra tornò da Firenze per una breve visita, e quellarrivo riaccese in Luca una scintilla sconosciuta. Qualcosa nella sua presenza lo aveva incantato; forse era stata una frase, un gesto. Luca, improvvisamente, cominciò a evitare Alessandra, a nascondere lo sguardo. Una sera, al tramonto, bussò alla porta di Alessandra, non entrò, ma rimase accanto al cancellino, stringendo il cappello tra le mani, e dichiarò con voce rotta: Scusa, Alessandra. Non ti amo più. Amo Ginevra. Mi sposerò con lei. Poi si allontanò, lasciandola sola al Cancello, mentre il vento freddo agitava il suo foulard. Il villaggio mormorò, poi dimenticò. Il dolore di una donna non è quello degli altri; è un fuoco silenzioso che brucia dentro.

Alessandra rimase davanti a me nel giorno della sua non-unione. Fuori, la musica rimbombava, le risate sfrenate riempivano laria, ma il suo cuore sanguinava in silenzio. Non versò una lacrima; questo era peggio, perché il dolore rimaneva sepolto, divorando lanima. Alessandra, le dissi piano, vuoi acqua? Qualche goccia di valeriana? Lei sollevò quegli occhi lacustri, ma dentro cera solo un vuoto, un deserto bruciato. Non serve, Signora Semenova, rispose con voce leggera come foglie secche, non cerco rimedi. Sono qui solo per stare.

Il silenzio ci avvolse entrambi. Non cerano parole capaci di riparare quella fessura nellanima; solo il tempo poteva attenuarla, trasformandola in una cicatrice sottile che ancora sanguina se la si tocca. Passammo unora o due, mentre fuori calava la notte, la musica si spense, e solo il ticchettio dei miei vecchi orologi e il sussurro del vento nella canna fumaria si facevano udire. Allimprovviso, Alessandra sobbalzò, guardando un punto fisso, e disse: Le avevo ricamato la camicia per il matrimonio, con un punto croce sul colletto. Pensavo lavrei indossata come talismano. Mentre accarezzava laria, una sola lacrima scivolò lenta lungo la guancia, densa e pesante come stagno fuso, tracciando un sentiero sul viso prima di cadere tra le sue mani tremanti.

In quel momento mi parve che gli orologi si fossero fermati; lintero villaggio e il mondo intero si immobilizzarono con quella lacrima amara, inespresse. Il dolore si fece strada nel mio petto; abbracciai le spalle esili e tremanti di Alessandra, stringendola come se potesse fermare la pioggia. Signore, perché così crudele con lei? Perché una anima così pura debba soffrire così?

Due anni passarono. La neve divenne fango, il fango si trasformò in polvere, e la polvere tornò a neve. La vita a San Pietro scorreva con la sua routine. Luca e Ginevra vivevano apparentemente bene: una casa piena, una macchina nuova. Ma la risata di Ginevra cambiò, divenne un tintinnio di vetro rotto, acuto e irritante. Luca, invece, sembrava affondato in acqua nera; il suo volto era spento, gli occhi tristi. Trascorreva sempre più tempo nel garage, non per svago, ma per ascoltare le lamentele di Ginevra su denaro, attenzioni, o su una vicina. Il loro amore, come una piena primaverile, era arrivato con forza, aveva spazzato via tutto e poi era svanito, lasciando solo detriti.

Alessandra, invece, viveva tranquilla. Lavorava allufficio postale, aiutava la madre a gestire la casa. Era chiusa in sé stessa, come una conchiglia. Non guardava i ragazzi, non usciva nei locali. Qualche volta sorrideva, ma i suoi occhi rimanevano lunghi laghi silenziosi. La osservavo da lontano, il cuore si stringeva, temendo che non sarebbe mai sbocciata.

Una sera dautunno, pioveva a dirotto e il vento strappava gli ultimi fogli doro dagli alberi di betulla; il cancello della mia clinica cigolò. Luca, fradicio e sporco, si presentò con una mano che sembrava innaturalmente sospesa. Signora Semenova, balbettò, mi ha rotto la mano. Lo condussi nella stanza, gli applicai una stecca, e mentre curavo la ferita il suo sguardo era colmo di disperazione. È colpa mia, sputò, sono arrabbiato. Ginevra ed io litighiamo. È partita per Firenze, ha detto che non tornerà più. Poi pianse, un pianto silenzioso, le lacrime scivolavano sul suo viso sporco; luomo forte sembrava un cucciolo maltrattato. Raccontò confuso della bellezza di Ginevra che si era trasformata in un peso opprimente, di un amore che diventava una catena soffocante.

Signora Semenova, tutte le notti sogno Alessandra, sussurrò, sorrido, ma mi sveglio solo e mi sento urlare dentro. Sono un folle, un cieco. Mi versai un bicchiere di acqua frizzante, lo osservai e pensai a quanto la vita possa girare su se stessa: a volte bisogna perdere tutto per capire cosa davvero conta.

Il giorno dopo il villaggio era in fermento: Luca aveva divorziato. Una settimana dopo, si presentò davanti alla casa di Alessandra, non più al cancello di quel tramonto, ma al portico. Sotto una pioggia gelata, rimase lì, occhi fissi sulle finestre, per ore. Alcuni vicini guardavano, la madre di Alessandra agitava le mani, ma lui rimaneva immobile.

Alla fine il cancello si aprì. Alessandra uscì avvolta in un vecchio cappotto, con un foulard sul capo. Si avvicinò, Luca cadde in ginocchio, sul terreno fangoso, e prese le sue mani, portandole al suo viso. Scusa, riuscì a dire, senza altre parole. Non so che cosa dissero, ma non è importante. Quello che mi colpì fu il suo sguardo quando qualche giorno dopo tornò da me per una medicazione: non più un deserto bruciato, ma un lago tranquillo, con un piccolo fuoco di speranza che timidamente si accendeva, come il primo bocciolo di primavera.

Non organizzarono un grande matrimonio. Vissero semplicemente. Luca si trasferì nella modesta casa di Alessandra, riparò il tetto, ricostruì il recinto, spostò la stufa. Lavorava dallalba al tramonto, come se volesse riscattare, con il sudore, i suoi errori. Alessandra, a sua volta, si è sbloccata. Come un fiore che ha atteso a lungo lacqua, ha ritrovato il sorriso; il suo sorriso divenne così luminoso e caldo che chiunque la guardasse sentiva limpulso di sorridere anche lui.

Una calda giornata destate, quando laria era densa di erba appena tagliata e di fiori di campo, passeggiavo davanti alla loro casa. Il cancello era aperto. Li vidi seduti sulla vecchia panchina di legno: Luca, robusto e serio, abbracciava Alessandra per le spalle; lei, dolce e luminosa, si appoggiava a lui, cantando piano mentre mescolava fragole profumate dal sole in una ciotola. Ai loro piedi, su una cesta di vimini, dormiva un piccolo busto avvolto in una copertina di lino: il loro figlio, Marco.

Il sole scendeva dietro il fiume, dipingendo il cielo di tonalità acquerellate. In lontananza muggiva una mucca, il cane guaiva, ma sul portico regnava una quiete così profonda da sembrare che il tempo stesso si fosse fermato. Guardandoli, i miei occhi si riempirono di lacrime, ma queste erano lacrime di gioia, leggere come nuvole.

Alla fine, la vita ci insegna che le ferite più profonde non si rimarginano con parole, ma con il tempo, il lavoro onesto e lapertura del cuore. Solo chi ha saputo perdonare se stesso e gli altri è capace di trasformare il dolore in una nuova possibilità di felicità.

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