Il terribile segreto rivelato prima della fine

«Alessandra… devo parlarti con sincerità. Sento che il mio tempo è vicino. Devi sapere la verità. Anche se dopo questo mi odierai.» La voce di Maria Vittoria tremava mentre stringeva la mano di Alessandra con forza.

Alessandra rimase immobile. «Alessandra»? Da quando aveva sposato suo figlio, la suocera l’aveva chiamata solo «sterile inutile», «moglie fallita» o «rovinafamiglie». Mai con dolcezza. E ora, quel nome affettuoso, quel tremore nella voce, quelle lacrime. Forse la morte costringe davvero a confrontarsi con la verità. Forse, alla fine, Maria Vittoria si era pentita.

Alessandra lavorava come infermiera in quell’ospedale dove la suocera era ricoverata dopo un grave infarto. I medici sussurravano che le probabilità di sopravvivere erano minime. Con suo ex marito, Andrea, non si vedeva da anni. Lui non era venuto a trovare la madre, o forse i loro percorsi non si erano incrociati. Alessandra non se ne preoccupava. Dopo che lui l’aveva abbandonata, spezzandole il cuore e la vita, non voleva nemmeno sentire il suo nome.

Tutto era iniziato con la gravidanza. Alessandra sognava un bambino, ma Andrea era freddo. Brontolava che non avevano soldi, che una famiglia era un peso, che sarebbe toccato a lui portare tutto sulle spalle. Lei prometteva di lavorare da casa, di non essere un peso, ma lui la respingeva. E sua madre… Maria Vittoria la guardava con disprezzo, insinuando che Alessandra fosse «rimasta incinta per legarlo a sé».

Quando arrivò il momento del parto, i medici decisero improvvisamente un cesareo, senza alcuna indicazione medica. Alessandra cercò di contattare la suocera, che era primaria del reparto maternità. Forse avrebbe potuto intervenire? Ma Maria Vittoria non rispose. Dopo l’operazione, le dissero: «Il bambino è morto in grembo». Fu come una pugnalata. Sua figlia, quella che già chiamava Caterina, era sparita. In quel giorno, Alessandra smise di credere nel mondo, nella giustizia, nell’amore.

Il matrimonio crollò. Andrea la accusò di «salute debole» e «incapacità di essere madre». Sua madre lo appoggiava, ferendola ancora di più. Alla fine, il divorzio, dove lei fu dichiarata colpevole. Rimase sola, con il cuore in frantumi e un vuoto dentro.

E ora Maria Vittoria era lì, in quello stesso ospedale, bisognosa di cure. Né suo figlio, né la sua nuova moglie erano al suo fianco. La vecchiaia l’aveva resa superflua persino alla sua famiglia.
«Non dica così, Maria Vittoria! Guarirà!» cercò di protestare Alessandra, ma quella scosse appena la mano.
«No… è la fine. Lo senti anche tu. Ma tu… sei una brava donna. Ho sbagliato a non sostenerti. A stare dalla parte di mio figlio… Devi sapere, Alessandra… Quel cesareo non fu casuale.»

Il cuore di Alessandra si fermò. Aveva sempre sospettato che qualcosa non andasse. Ma sentirlo ora…
«Tuo figlio… non è morto. L’hanno sostituita. Tua figlia… mia nipote… è stata data in adozione a una famiglia ricca.»

Il mondo le girò attorno. Le orecchie le ronzavano, le gambe cedettero. Alessandra si aggrappò al bordo del letto per non cadere. Davanti a lei non c’era più una donna malata, ma chi le aveva rubato ciò che aveva di più caro.
«Perché?…» riuscì a dire, la voce spezzata.
«Andrea non voleva figli. Lo sapevi… Stava iniziando la carriera. Aveva paura che un bambino lo ostacolasse. Che avresti chiesto gli alimenti se te ne fossi andata. Che lo avresti trascinato giù. Mi convinse… Dovevo sistemare tutto. Farti credere che la bambina fosse morta. Accettai… per il suo futuro. Volevo che avesse successo. Ma ora… davanti alla morte… vedo quanto ho sbagliato. Puoi perdonarmi?»

«Come puoi chiederlo?!» sbottò Alessandra. Le lacrime le scorrevano sulle guance, ma non le sentiva. «Dov’è? Dov’è mia figlia?» chiese, ogni parola un colpo al petto.
«Nel comodino… c’è un taccuino… La prima pagina ha l’indirizzo…» sussurrò la suocera. «Ma Alessandra… ora lui è un uomo molto potente. Non ti restituirà la bambina. Proteggerà la sua famiglia a ogni costo.»
«Questo lo vedremo» rispose Alessandra, i denti serrati.

Le mani le tremavano mentre apriva il comodino e afferrava il taccuino. Strappò il foglio con l’indirizzo e si voltò di scatto, quasi correndo fuori dalla stanza.
«Alessandra… perdonami…» la voce rauca la raggiunse.
«Dio ti perdonerà» rispose, senza voltarsi.

Non poteva restare un altro istante accanto a quella donna. A colei che le aveva rubato il sogno, la maternità, la felicità. Ora aveva un solo pensiero: vedere sua figlia.

Cinque anni e mezzo! Era già grande… Viva… Nuove lacrime le annebbiarono la vista, ma Alessandra le asciugò in fretta e si diresse verso l’ufficio del direttore. Borbottò qualcosa su un’emergenza, senza nemmeno ricordare come giustificò la sua improvvisa uscita. La strada verso quell’indirizzo le passò davanti come in un sogno. E ora era lì, davanti al cancello di una villa immensa, realizzando che non poteva semplicemente entrare e prendersi la bambina. Capiva che per Caterina sarebbe stato uno shock. Si era abituata a un’altra vita, a un’altra madre… Ma almeno vederla… Solo un momento…

Sul portico fu accolta da un uomo. Alto, attraente, ma con uno sguardo gelido. Dal giardino arrivavano risate di bambini, e il cuore di Alessandra si strinse. Batteva forte, desideroso di correre verso sua figlia…

«È qui per il posto da tata?» chiese lui, osservandola con attenzione.
«Tata?» ripeté Alessandra, senza distogliere lo sguardo dal giardino.
«No?» fece lui, accigliandosi leggermente.
«Sergio?» mormorò lei, e lui annuì. «Non sono qui come tata… Sono qui per mia figlia…» Il volto di Sergio impallidì, la mascella si serrò. La guardò come se volesse schiacciarla con lo sguardo. Ma Alessandra non indietreggiò. «È una lunga storia… La prego, mi ascolti…» Le lacrime tornarono, ma parlò senza esitare. Raccontò tutto: come suo marito, un tempo l’uomo che amava, aveva convinto la madre a liberarsi della bambina, come l’avevano ingannata facendole credere che fosse morta. «Non sapevo… Credevo che non ci fosse più… Avevo paura… Ma ora…»

«Non le restituirò Caterina» la interruppe Sergio. «Lei è tutto per me. La mia vita.»

Caterina… Proprio come voleva chiamarla Alessandra. Le lacrime tornarono a scorrere. Le gambe le tremavano, ma resistette. Sergio avrebbe potuto cacciarla, chiamare la sicurezza o la polizia… Ma rimase in silenzio, ascoltando.

«Entri» disse alla fine. «Le offro un tè e le racconto la mia storia.»

Annuì, anche se il cuore la spingeva verso il giardino. Dentro quella casa lussuosa, Alessandra sentì un nodo alla gola. Capì che non avrebbe mai potuto offrire a Caterina quel lus

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