Il Tritacarne del Destino: Quando un Regalo di Capodanno Diventa l’Inizio di una Famiglia

***Diario personale: Il tritacarne del destino, ovvero come un regalo di Natale ha dato vita a una famiglia***

Che cos’è questo mostro? — Elisabetta fissò la scatola pesante avvolta in una carta scintillante con alberi innevati.
— Aprila! — Matteo si strofinava le mani nervosamente, gli occhi gli correvano da una parte all’altra, le labbra tremavano per l’emozione. — Penso ti piacerà.

Elisabetta scartò il pacco con calma, strappò il nastro con attenzione… e si bloccò. Sul fondo della scatola c’era un vecchio tritacarne di metallo, opaco per il tempo passato. Sembrava uscito dalla casa della nonna, con la ruggine sulle viti e la manovella che cigolava anche senza muoverla.

— È… uno scherzo? — chiese piano, quasi non credendo ai suoi occhi, alzando lo sguardo verso il marito.
— No, Elisa… non capisci… Non è un tritacarne qualunque. Ha una storia. È… —
— Aspetta, — lo interruppe lei. — Prima parliamo dell’altro regalo. Del voucher per il “Rifugio degli Abeti”. Quello di tre settimane, in suite, con trattamenti termali.

Matteo impallidì.
— Come fai a saperlo…
— Da Cecilia. Lavora in contabilità, — la voce di Elisabetta era ferma, ma le dita strizzavano il tovagliolo fino a sbriciolarlo. — Il voucher è a nome di Sofia. La tua ex moglie. A me invece regali un tritacarne antico.

— Elisa… ascoltami…
— No, Matteo, adesso ascoltami tu! — Si alzò di scatto, urtando il bicchiere di spumante che cadde a terra frantumandosi in mille pezzi luminosi. — Non mi importa dei soldi! Mi importa della sincerità! Perché l’ho scoperto da altri?!

— Volevo dirtelo…
— Quando? Dopo il suo ritorno? O quando me ne sarei accorta da sola?

Fuori, i fuochi d’artificio illuminavano il cielo di Capodanno, ma nella loro cucina l’aria era più pesante della notte invernale.

— E questo tritacarne… — Elisabetta lo sollevò dalla scatola, — cos’è? Un regalo di consolazione? O un modo per mettere a tacere la coscienza?

— Non capisci. È davvero… speciale…

— Comunque, Matteo, — disse Elisabetta sulla soglia della camera, — me ne vado. Per un po’. Devo capire perché sono ancora qui.

Tre giorni di silenzio. Nessun rimprovero, nessuna lacrima, solo frasi educette, come tra vicini. Elisabetta passava davanti alla scatola come se fosse un monumento. Al quarto giorno, non resistette più. Chiamò l’amica.

— Ciao, Ceci. Dimmi una cosa, in quel pagamento c’era altro oltre al soggiorno?
— Ehm… sì, credo ci fossero cure, terapie. La salute di Sofia è peggiorata molto. Sai cos’è successo alla mamma di Matteo, vero?

— Cioè? — la voce di Elisabetta si fece tesa.

— Non lo sapevi? — Cecilia abbassò il tono. — Sua madre ha avuto un ictus un anno fa. Stava sempre a letto. E Sofia… andava da lei ogni giorno. La nutriva, le cambiava le lenzuola, l’accompagnava alle visite. Anche quando sua madre è finita in ospedale, non ha abbandonato l’ex suocera. Anche se non lo era più.

— Ma perché non me l’ha detto?

— E come avresti reagito? “La mia ex si prende cura di mia madre perché io non riesco”? Suona un po’ imbarazzante, no? Ma credimi, non c’entra l’amore. È questione di umanità.

Elisabetta riagganciò. Il mondo le sembrò capovolto. Non sapeva cosa pesasse di più: la rabbia o la vergogna.

Lo sguardo cadde sul tritacarne. “Speciale”. Lo prese in mano, lo esaminò. Sotto, un vitino diverso dagli altri. Lo girò. Un click. All’interno, un compartimento segreto. Dentro, una scatolina di velluto e un biglietto. Con le dita tremanti, Elisabetta lo aprì.

“Mia cara Elisa,

perdonami per non averti detto tutto subito. Hai ogni diritto di essere arrabbiata.

Ma la storia di questo tritacarne è più lunga e profonda di quanto sembri. Mia nonna lo ricevette dalla suocera il giorno in cui mio nonno tornò dalla guerra. Era un simbolo di pace, di calore, di casa. Soprattutto, di perdono e amore.

Quando mia madre si ammalò, non sapevo cosa fare. Poi arrivò Sofia. Senza rimproveri. Senza pretese. Con un asciugamano in mano e le parole: “Ti aiuto io. È stata mia madre anche lei”.

Il voucher non è un gesto romantico. È gratitudine. Non te l’ho detto perché temevo che lo avresti visto come una minaccia. Ma ora capisco di aver solo peggiorato le cose.

Perdonami.

Nella scatolina c’è un anello. Era di nonna. Lo ha lasciato alla donna con cui avrei voluto affrontare tutto, non solo vivere. Alla donna che capisce che l’amore non sono fiori e cene, ma la scelta di restare quando è difficile.

Vuoi sposarmi di nuovo? Vuoi unirti a me in chiesa?

P.S. Sotto il tritacarne c’è la ricetta dei ravioli della nonna. Ma solo per chi è pronto a farli insieme, ridere, litigare, perdonare e tenersi per mano fino alla fine.”

Elisabetta guardò l’anello. Era semplice, con una piccola pietra. Ma in quel momento, era la cosa più preziosa che avesse mai tenuto.

Bussarono alla porta.
— Elisa? Posso?
— Aspetta un attimo.

Prese il telefono.

— Sofia? Buonasera. Sono Elisabetta. Parti domenica, lo so… Possiamo vederci prima? Mi serve la tua ricetta. Quella dei ravioli. Dicono che siano magici…

Un anno dopo. Vigilia di Natale.
Nella cucina spaziosa del nuovo appartamento, la neve danza fuori dalla finestra. Nell’aria, l’odore di aneto, alloro e pasta fresca.

— Elisa, guarda, la pasta è lievitata! — Sofia chiama dalla cucina.
— Arrivo! — ride Elisabetta, sistemando il grembiule. — Matteo, prendi il ripieno, per favore.

Il vecchio tritacarne luccica sotto le luci delle feste. Sulla mensola, una foto di famiglia: loro tre, e accanto, un’altra foto con Sofia che sorride accanto a… Sergio. Il dottore della spa.

— Lui viene stasera, — sorride Sofia, asciugandosi le mani. — Porterà quella salsa speciale.
— Davvero? Spero che il tritacarne lo approvi, — sussurra Elisabetta.

— Dicono abbia carattere, — fa Matteo strizzando l’occhio.
— Custodisce l’amore. E la gratitudine, — aggiunge piano Elisabetta.

Fuori, le luci brillano, sul fuoco bolle il brodo, e nel cuore vive ciò per cui tutto questo è accaduto: la famiglia. Non sulla carta. Ma nello spirito. Nella scelta. Nell’amore vero.

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