Tornavo dal lavoro, sfinito come sempre, immerso nei pensieri della cena da preparare e della riunione del giorno dopo. All’improvviso, sentii una voce dietro di me:
“Scusi! Elena Fabiani?”
Mi voltai. Davanti a me c’era una donna giovane con un bambino di circa sei anni. Nella sua voce c’era insicurezza, ma il suo sguardo era deciso.
“Mi chiamo Francesca,” disse. “E questo è suo nipote, Matteo. Ha già sei anni.”
All’inizio pensai fosse uno scherzo di pessimo gusto. Non riconoscevo né lei né il bambino. La sorpresa mi fece ronzare la testa.
“Mi scusi, ma… deve esserci un errore,” riuscii a balbettare.
Ma Francesca continuò con fermezza:
“No, non mi sbaglio. Suo figlio è il padre di Matteo. Ho taciuto a lungo, ma ho deciso che lei ha il diritto di sapere. Non chiedo nulla. Ecco il mio numero. Se vorrà incontrarlo, mi chiami.”
E, lasciandomi nello sconcerto più totale, se ne andò. Rimasi in mezzo alla strada con un pezzo di carta in mano, sentendo i pugni che si serravano. Corsi a chiamare Luca, il mio unico figlio.
“Luca, hai mai avuto una relazione con una ragazza di nome Francesca? Hai un figlio?”
“Mamma, ma… Sì, per poco. Era strana, poi disse di essere incinta. Ma non so se fosse vero. Dopo, sparì. Non sono sicuro sia mio.”
La sua risposta non mi diede pace. Da un lato, avevo sempre creduto a Luca. Era cresciuto con disciplina, l’avevo cresciuto da solo, lavorando due lavori, privandomi di tutto pur di dargli una vita migliore. Era diventato un bravo professionista, stimato al lavoro, ma non aveva mai formato una famiglia. Gli avevo spesso chiesto di pensare ai figli, sognando di diventare nonno. E ora, ecco: un nipote apparso dal nulla.
Dopo un giorno, chiamai Francesca. Non sembrò sorpresa.
“Matteo ha sei anni. È nato ad aprile. E no, non farò alcun test. So perfettamente chi è suo padre. Ci lasciammo quando ero incinta. Non sono venuta prima perché ho fatto da sola. I miei genitori mi aiutano. Stiamo bene. Sono venuta solo per lui: ha il diritto di sapere di avere un nonno. E lei, se vuole, può far parte della sua vita. Altrimenti, lo capirò.”
Appoggiai il telefono e rimasi a lungo in silenzio. Da un lato, non potevo ignorare le parole di mio figlio. Dall’altro, negli occhi di Matteo avevo visto qualcosa di familiare, indefinibile. Un sorriso. Uno sguardo. Un gesto. O forse era solo il mio desiderio di avere un nipote?
Quella sera, passai ore a guardare fuori dalla finestra, ricordando quando portavo Luca all’asilo, quando mangiavamo dalla stessa scodella, il suo primo giorno di scuola. Davvero poteva aver abbandonato una donna con un figlio? O forse quel bambino non era suo?
Ma anche così, sentivo un calore strano al pensiero di Matteo. E una rabbia terribile verso me stesso per i dubbi. Io non avevo chiesto prove quando era nato Luca. Perché ora le pretendevo da quella ragazza? Perché non potevo semplicemente credere al cuore?
Non ho ancora deciso. Non ho richiamato. Ma ogni volta che passo per quella strada, fisso i passanti. Non sono sicuro che Matteo sia mio nipote. Ma non riesco a lasciar perdere. Il sogno di essere nonno non muore dentro di me. E forse, presto, composerò quel numero. Anche solo per conoscere quel bambino che mi ha chiamato nonno.