**11 Novembre**
Alessio viveva con una famiglia normale. Mamma e papà lo amavano, e lui ricambiava quel sentimento. I weekend erano dedicati al cinema, al teatro, o al pattinaggio sul ghiaccio; d’estate partivano per la Puglia, raccoglievano conchiglie, e suo padre gli insegnava a nuotare. Poi la ditta dove lavorava fallì, e lui cominciò a bere. Ubriaco, imprecava contro il governo, il presidente, le leggi. Tutti erano colpevoli del fatto che avesse perso il lavoro.
Quando la mamma, stanca delle sue invettive, lo pregava di andare a dormire, lui si scagliava contro di lei. Ultimamente, la aggrediva subito. Lei mandava Alessio in camera sua, ma lui sentiva tutto—le urla, il rumore dei piatti rotti. Cosa poteva fare?
Quando finalmente il padre crollava sul letto, russando e impregnando l’aria di quel tanfo acido, la mamma entrava silenziosa nella stanza di Alessio, spesso addormentandosi con lui nel letto stretto. Lui notava i lividi sulle sue braccia, a volte persino sul viso. La mattina, il padre chiedeva scusa e giurava che non l’avrebbe mai più toccata…
Al risveglio, la mamma se ne andava in punta di piedi. Il padre, una volta sobrio, usciva «a cercare lavoro», diceva lui. Alessio restava solo, faceva i compiti. Frequentava la terza elementare al pomeriggio. Si riscaldava il pranzo da solo, mangiava, e poi partiva per scuola.
La sera, tutto si ripeteva.
«Tuo padre ha fatto di nuovo scenate ieri?» chiese la vicina, Rosa Santoro, che abitava dall’altra parte del muro.
«Sì,» annuì Alessio, breve.
«Perché tua mamma non chiama i carabinieri?»
«Devo andare, sto facendo tardi a scuola,» rispose in fretta, allontanandosi.
«Va’, va’,» sospirò la donna, guardandolo mentre se ne andava.
Tornato a casa, trovò la mmina in cucina a preparare la cena. Il padre non c’era, e lui ne fu contento. Si sedette e iniziò a raccontare le piccole novità della scuola. Poi aggiunse che stavano meglio senza di lui, che sarebbe stato bello se non fosse più tornato.
La mamma lo guardò di traverso, disapprovando.
«Sta attraversando un momento difficile, tesoro. Quando troverà lavoro, tornerà tutto come prima.»
Ma il padre arrivò, sbattendo la porta, lasciando cadere qualcosa nell’ingresso, borbottando. La mamma si irrigidì, sbirciando dalla cucina.
«Vai in camera tua,» sussurrò, spingendolo lievemente.
Lui rimase seduto sulla sua cameretta, in ascolto. Ma quella sera era diverso, più silenzioso. Poi un grido improvviso, qualcosa di pesante che cadeva. Alessio uscì dal suo nascondiglio e sbirciò in cucina: il padre era in piedi, gambe larghe, a fissare la mmma a terra. Lui non resistette, emise un suono. L’uomo si girò, occhi iniettati di sangue.
«Alessio…»
Lui scappò dall’appartamento e bussò alla porta dei vicini. Tremava tutto. Rosa Santoro non capì subito, ma chiamò i carabinieri e l’ambulanza. Arrivarono quasi insieme. Il padre fu portato via, la mamma in ospedale. Alessio passò la notte dalla vicina.
La mattina dopo, andarono insieme a trovare la mamma. Era sola in una stanza piena di tubi trasparenti, dormiva. Non si svegliò neanche quando lui la chiamò, scuotendole la mano. Il dottore portò Rosa fuori, e Alessio rimase con lei.
Continuò a provare a svegliarla. Quando si annoiò, uscì a cercare Rosa. Una porta socchiusa, e sentì il medico dire a qualcuno: «…è in coma, difficilmente si riprenderà, ma bisogna crederci…» Spaventato, scappò dall’ospedale.
Rosa lo trovò su una panchina del giardino. Pianse tutto il tragitto di ritorno. Lei cercò di calmarlo, ma perdendo la pazienza. A casa, gli chiese se avessero parenti.
«La nonna vive in campagna.»
«Lontano?»
«Un’ora e mezza di autobus, poi tre chilometri a piedi.»
«Ti ricordi la strada?»
«Cosa credi, che sia un bambino?» rispose offeso.
«Domani mattina ti accompagno alla stazione e ti metto sull’autobus. Scusa, non posso venire con te. Sei grande, ormai.»
Alla stazione, chiese all’autista di badare a lui. L’uomo promise, e Alessio partì da solo. Il rombo monotono del motore lo addormentò presto. Quando lo svegliarono, era già arrivato.
«Ehi, ragazzino, svegliati. Vieni con gli altri, non allontanarti,» disse l’autista.
Lui annuì e scese. La gente si disperse, e sulla strada che portava fuori dal paese si ritrovò solo. Aveva paura. Ma il sole splendeva, le foglie secche scricchiolavano sotto i suoi passi. Si disse che era grande, che conosceva la strada, e iniziò a camminare, canticchiando per coraggio: «…Bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao…» Prima, la cantava con la mamma.
Doveva attraversare un paesino, poi un altro più grande con un negozio, e infine arrivare da sua nonna. Mentre lasciava il primo villaggio, qualcuno lo chiamò con un fischio. Si fermò. Due ragazzi più grandi seduti su un tronco caduto.
«Chi sei? Chi vieni a trovare?» chiese il più alto. «Non ti ho mai visto qui.»
«Mia nonna.»
«Non vai a scuola?»
«Ci vado, ma oggi non posso.»
«Hai una sigaretta?» chiese l’altro, con voce stridula.
«La mamma dice che se inizi a fumare da piccolo, non cresci.»
I due scoppiarono a ridere.
«Guardate il sapientino! La mamma dice… E cos’altro ti ha detto?» Il più grande gli strappò lo zaino con un gesto secco.
«Ridatemelo!» strillò lui, cercando di riprenderselo, ma il ragazzo lo spinse via e frugò dentro. Cadde a terra un cambio di vestiti, un libro, un pacchetto con dei panini che si era dimenticato di avere.
«Quando mia madre portava uomini a casa, mi mandava a farmi un giro. Ti ha scaricato dalla nonna per non avere intralci?»
Alessio non sopportò quell’insulto. Sua madre era in ospedale, e loro… Si lanciò contro di loro, ma erano più forti. Il più grande lo spinse con violenza, l’altro gli tese una gamba. Cadde sulla schiena, dolorante. Tra l’erba c’erano sassi e pezzi di legno.
«La mamma ti avrà dato dei soldi, eh?» urlò il più grande.
Nessuno poteva sentirlo, nessuno sarebbe arrivato in aiuto. Mentre cercava di rialzarsi, il ragazzo lo schiacciò di nuovo a terra, frugandogli le tasche.
«Venti euro! Ricco, eh?» esultò, brandendo la banconota che Rosa gli aveva dato.
Distratti, Alessio si rialzò.
«Ridatemeli!» si avventò su di loro.
Ma come poteva batterli? Si aggrappò alla giacca del più grande, ma quello lo scaraventò via. Cadde, la nuca sbattendo contro il tronco…
Quando**11 Novembre (continua)**
Quando riaprì gli occhi, una vecchietta gli si chinò sopra, sussurrandogli: «Povero angelo, cosa ti hanno fatto quei delinquenti?» e, stringendogli la mano con dolcezza, lo condusse via dal quel posto, verso un futuro che finalmente sembrava promettere un po’ di luce.