Il Viaggio Finale sotto la Pioggia

Una fredda pioggia autunnale batteva senza sosta sulla strada fangosa che portava al paese di Monteloro. Enrico Rossi, piegato sotto i torrenti d’acqua, avanzava con passo deciso. Il fango si attaccava alle suole, ogni passo era una fatica, ma lui non si fermava. Oggi doveva essere lì, accanto alla sua Margherita. Finalmente, attraverso il velo grigio della pioggia, apparvero le sagome del vecchio cimitero.

“Ecco il tuo cipresso,” sussurrò Enrico, con la voce rotta dal dolore.

Si avvicinò alla semplice lapide e cadde in ginocchio, senza badare al gelo dei vestiti fradici. La pioggia si mescolava alle lacrime, scivolando sul suo viso segnato. Chissà quanto sarebbe rimasto lì, perso nei ricordi. Ma all’improvviso, udì dei passi alle sue spalle. Enrico si voltò e si bloccò, il cuore stretto dalla sorpresa.

Quella mattina era umida e triste. Enrico Rossi, avvolto in un vecchio cappotto, aspettava alla fermata dell’autobus in città. Il ritardo del mezzo lo irritava. Accanto a lui, una giovane donna rideva spensierata al telefono, ignorando il suo sguardo torvo.

“Puoi fare meno rumore?” sbottò lui, incapace di trattenersi.

“Mi scusi,” rispose lei, confusa, abbassando il telefono. “Mamma, ti richiamo, va bene?”

Il silenzio che seguì era pesante. Enrico si sentì in colpa per la sua sgarbatezza. Tossicchiò e mormorò:

“Scusi, oggi non sono di buon umore.”

La ragazza lo guardò con un sorriso gentile:

“Non importa, con questo tempo tutti sono nervosi. A me piace la pioggia d’autunno. Profuma come se l’autunno respirasse!”

Enrico rimase in silenzio, limitandosi a un cenno del capo. Non era il tipo da chiacchierare con sconosciuti. Quello era sempre stato compito di Margherita. Lei sistemava tutto: dalle bollette alle relazioni familiari. Enrico aveva dato per scontata la sua cura, senza pensarci, finché lei era stata accanto a lui. Senza di lei, il suo mondo era diventato vuoto come un campo bruciato dal sole.

La ragazza, senza farsi scoraggiare dal suo silenzio, riprese:

“Sai, forse è un bene che l’autobus sia in ritardo. Così chi è in ritardo può arrivare. La mia amica, per esempio, non è ancora qui.”

Enrico stava per osservare che era una magra consolazione per chi tremava sotto la pioggia, ma gli tornò in mente Margherita. Se quarant’anni prima non fosse riuscito a salire su quell’autobus, le loro strade non si sarebbero mai incrociate. Come sarebbe stata la sua vita? Sarebbe stata più felice senza di lui?

Margherita sapeva sempre trovare la luce anche nei giorni più bui. Il suo sorriso era come un raggio di sole, e la sua gentilezza riscaldava chiunque.

“Non ho mai capito quando soffriva,” pensò Enrico, sentendo le lacrime bruciargli gli occhi.

Per distrarsi, decise di continuare la conversazione:

“Vai a Monteloro? È un posto fuori mano, ci va poca gente giovane.”

“Sì,” annuì lei. “Sono la nipote di zia Lucia, vado a trovarla. E lei?”

“Dalla mia moglie,” rispose piano. “È il suo paese natale.”

“Come si chiamava? Forse ne ho sentito parlare.”

“Rossi. Margherita Maria.”

La ragazza ci pensò su, ma scosse la testa:

“No, mi dispiace.”

“Quando ci siamo sposati, è venuta a vivere in città,” spiegò Enrico. “Tornava solo per i genitori, e dopo la loro morte ci andava di rado.”

Si interruppe, perdendosi nei ricordi. Margherita amava tanto Monteloro, sognava che tutta la famiglia ci andasse più spesso. Ma Enrico non aveva mai tempo. Adesso il tempo c’era, ma la famiglia no. Suo figlio Luca vive la sua vita, i nipoti non li vede quasi mai.

“Ecco la mia amica!” esclamò la ragazza, agitando una mano. “Vieni, Chiara!”

Poi si rivolse a Enrico con un sorriso:

“Vede? Ora arriva anche l’autobus.”

Infatti, da dietro l’angolo spuntò il pullman. Il viaggio per Monteloro durava due ore. Enrico ricordò quando, da giovane, Margherita aveva perso una corsa e avevano passeggiato per la città fino a mezzanotte. Era un tempo pieno di speranze e calore.

Poi era arrivata la routine. Litigavano di rado—con lei era impossibile arrabbiarsi. La sua pazienza e bontà non avevano limiti. Ma Enrico era cambiato, aveva cominciato a dare per scontato il suo amore, senza apprezzare i momenti che condividevano.

Se avesse potuto dire una sola cosa al sé giovane, sarebbe stata: “Apprezza.”

Quando l’autobus entrò nel paese, il cuore di Enrico accelerò. Gli tornò in mente una frase di un libro: “L’inferno è quando non c’è più un ‘domani’.”

La pioggia su Monteloro cadeva senza tregua, tamburellando sul tetto del bus. Enrico si alzò a fatica:

“La mia fermata.”

Scese sotto l’acqua senza voltarsi. Anche la ragazza e l’amica scesero, riparandosi sotto un portico. Vedendo dove andava, lei gridò:

“Dove va? C’è solo il cimitero!”

Enrico si fermò e la guardò. Non disse nulla, ma il suo sguardo parlò per lui. La ragazza abbassò gli occhi, comprendendo.

Quel giorno in cui Margherita se n’era andata per sempre era rimasto come un marchio nero nella vita di Enrico. Avevano litigato per una sciocchezza. Lui, come sempre, si era chiuso, rifiutando la cena e rimanendo in silenzio. Margherita, che si preoccupava sempre per lui, aveva provato a riconciliarsi, ma lui era stato freddo.

“Vado al negozio,” aveva detto lei, asciugandosi le lacrime. “Ti serve qualcosa?”

“Nulla,” aveva borbottato lui.

Era uscita, e lui non l’aveva più rivista. Sulla strada, un’auto l’aveva travolta. In un istante, la vita di Enrico era crollata, lasciando solo vuoto e colpa.

Ora camminava sulla strada fangosa, senza sentire il freddo. La pioggia gli schiaffeggiava il viso, ma lui avanzava deciso verso il cimitero. Raggiunta la tomba di Margherita, cadde in ginocchio.

“Ecco il tuo cipresso, amore mio,” sussurrò, soffocato dal dolore.

Le lacrime scorrevano, mischiandosi alla pioggia. Aveva perso la nozione del tempo, sommerso dal rimorso. Ma improvvisamente, udì di nuovo quei passi. Enrico si voltò e trattenne il fiato. Davanti a lui c’era la ragazza della fermata, bagnata fradicia ma con un sorriso caldo. In mano stringeva un ombrello.

“Mi scusi se la disturbo,” disse piano. “Ma sua moglie non vorrebbe che si ammalasse. Venga da noi, aspetti che smetta di piovere.”

Enrico, appoggiandosi alla sua mano, si rialzò lentamente. Lei aggiunse, come temendo il suo silenzio:

“Sono sicura che lei l’amava ed era felice con lei. E l’avrebbe perdonato.”

“Si vede così tanto che mi sento in colpa?” chiese lui, con voce roca.

“La colpa è compagna del lutto,” rispose lei. “Chiunque abbia perso”La vita ci chiede di andare avanti, non perché dimentichiamo, ma perché impariamo a portare con noi chi abbiamo amato, custodendoli nel cuore.”

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