**Cammino verso la Felicità**
Ero tornato a casa a piedi dal lavoro. Non era vicino, ma la serata era tiepida e silenziosa, senza un alito di vento. In giornate come quella, non mi pesava affatto non avere una macchina. Camminavo, godendomi il calore e l’arrivo imminente dell’estate.
Avevo sempre vissuto con i miei genitori nel centro di Roma, abituato al trambusto e al rumore. Ma da poco mi ero trasferito in periferia, in un quartiere dormitorio. Tornavo a casa e quasi subito mi buttavo a letto, pronto per ripartire la mattina verso il cuore pulsante della città.
Di notte, la luna curiosa si affacciava dalla finestra della mia stanza, senza che alberi o altri palazzi le facessero ombra, tanto che non avevo nemmeno ancora le tende. Vivevo al dodicesimo piano di un nuovo condominio, con una vista su un campo e una distesa di bosco in lontananza. I primi tempi, mi svegliavo nel cuore della notte, guardavo la stanza illuminata dalla luce azzurrina della luna e per un attimo non capivo dove fossi. Poi ricordavo, mi calmavo e mi riaddormentavo.
***
Due anni prima, non sapevo nemmeno che esistessero ancora le case popolari. Non come ai vecchi tempi, con dieci famiglie a dividersi una cucina, ma comunque vivere con un estraneo, condividendo bagno e spazi comuni, non era certo piacevole.
Ero cresciuto in una famiglia normale, in un bilocale nel centro di Roma, con soffitti alti e un lungo corridoio che portava a una piccola cucina. Mia madre lavorava come maestra d’asilo, mio padre era autista di bus. Non vivevamo nel lusso, ma potevamo permetterci una vacanza al mare ogni estate.
Tutto crollò in un giorno. Mio padre non aveva infranto nessuna regola, aveva aspettato il verde al semaforo e aveva ripreso la marcia. All’improvviso, una donna con una borsa a rotelle gli si era lanciata davanti dal marciapiede. Lui aveva frenato, ma come si fa a fermare un bus all’istante? La donna era volata via come un pallone, morendo durante il trasporto in ospedale.
Aveva fretta, pare, per prendere il treno. Suo genero le aveva promesso di accompagnarla in macchina, ma poi aveva cambiato programma. Litigarono, e lei, irritata, si precipitò verso la stazione. Pensò di farcela. Il treno, dopotutto, non l’avrebbe aspettata.
Lo stesso genero, al processo, gridò che mio padre, ubriaco, aveva ucciso la sua amata suocera e chiese la pena massima. Sì, la sera prima c’era stato l’addio al pensionamento di un collega, e avevano bevuto. Ma al controllo mattutino mio padre non mostrava alcun segno d’ebbrezza. Non era un bevitore, eppure nei documenti risultò che avesse superato il limite.
Per non rovinare i colleghi, disse di aver bevuto al compleanno di un’amica di mia madre. Salvò tutti, ma finì in carcere. Mia madre piangeva, preoccupata. I soldi scarseggiavano. Con lo stipendio da maestra, non bastavano. Dissi che dopo il diploma non avrei proseguito gli studi, sarei andato a lavorare.
«E allora cosa, l’esercito? Mio marito mi manca già, e tu vuoi rischiare anche la vita?» singhiozzò lei.
Per tranquillizzarla, promisi di continuare a studiare. Poco prima della maturità, mio padre morì in prigione per un infarto. Mantenni la promessa e mi iscrissi all’università. Due anni dopo, mia madre si risposò e andò a vivere con il nuovo marito. Io rimasi solo nell’appartamento. Lei pagava l’affitto e mi dava dei soldi, purché studiassi. Il suo nuovo marito era un funzionario importante, anche se non mi interessava saperne di più.
I compagni di università scoprirono che avevo casa libera e iniziarono a organizzare feste. Io, da ospite generoso, lasciavo che restassero anche a dormire.
All’inizio mi piaceva, ma poi le continue compagnie rumorose mi stancarono. Mi svegliavo e trovavo sconosciuti che dormivano in giro.
I vicini si lamentarono con mia madre. Venne una mattina presto e trovò una ragazza completamente nuda che le passò davanti senza vergogna, dirigendosi verso il bagno.
Naturalmente, scoppiò uno scandalo. Mamma cacciò tutti e minacciò di tagliarmi i fondi se non avessi smesso con quelle orge alcoliche.
Per due settimane, regnò il silenzio. Poi alcuni amici mi chiesero di festeggiare un compleanno. Fu una serata tranquilla, ma bevemmo parecchio.
Il mattino dopo, mi svegliai accanto a una ragazza nuda, coperta solo da un lenzuolo. Era a pancia in giù, i capelli rossi sparpagliati sul cuscino. L’unica con quei capelli era Chiara Maffei.
Uscii piano dal letto per non svegliarla. Non ricordavo nulla, ma se fosse successo qualcosa, dubitavo che mi fossi rimesso le mutande dopo.
Girai per le stanze, ma eravamo soli. Feci una doccia e preparai il caffè. Chiara si svegliò con l’aroma, entrò in cucina indossando solo la mia maglietta lunga e iniziò a fare sciocchezze, mormorando stupidaggini. Mi scansai.
«Che ti prende? Stanotte dicevi di amarmi!» rispose offesa. «Dammi il caffè.» Allungò la mano verso la mia tazza.
«Non dire sciocchezze» dissi incerto. «Non è successo nulla. Non sono pazzo, se Fabrizio lo scoprisse, mi ridurrebbe in poltiglia.»
«Ci siamo lasciati. Non lo sapevi? Sai perché ho bevuto così tanto ieri? Lui si è messo con Laura del quinto anno, stronz*.»
La accompagnai sotto la doccia, buttai le bottiglie vuote, lavai i piatti e arieggiai l’appartamento. Mia madre poteva arrivare in qualsiasi momento.
Arrivammo in ritardo a lezione. Chiara cercò di convincermi a saltare per andare al cinema, ma rifiutai e andai in aula. Quando gli amici chiesero di lei, feci finta di non sapere nulla: «Non è andata via con voi ieri?»
Per due settimane non mi parlò, poi si avvicinò e mi disse che aveva un ritardo. Mi irrigidii, fingendo di non capire.
«Sono incinta, non fare l’idiota» sbottò irritata.
«E io che c’entro?» dissi, mentre un brivido mi gelava lo stomaco.
«Allora è successo davvero» pensai con rassegnazione e le proposi di abortire.
«Ho il fattore Rh negativo. Potrei non avere più figli dopo» singhiosciò.
«Forse è di Fabrizio?» dissi con un filo di speranza.
«Noi usavamo precauzioni, ma io ero ubriaca quella volta… Tu potevi pensarci. Cosa facciamo ora?» Si nascose tra le mie braccia, piangendo. La gente ci guardava.
Le dissi che non mi sarei tirato indietro. Non mi sentivo pronto a essere padre, ma ero disposto a sposarla, purché smettesse di piangere. Mi baciò sulla guancia. Il giorno dopo, si trasferì da me, lasciando il dormitorio universitario.
Mia madre urlò che aveva sempre saputo che sarebbe finita così. A sorpresa, il suo nuovo marito mi sostenne. Era un uomo a modo. Ci sposammo dopo la sessione estiva, che quasi fallii.
Chiara partorDiventammo una famiglia, imparando che la felicità arriva quando meno te l’aspetti, e ora, ogni sera, guardo mia moglie e i nostri bambini dormire, ripensando a come tutto sia cambiato in meglio.