Ti racconto una storia che mi ha fatto pensare tanto. Dicono che l’attesa della felicità sia più bella della felicità stessa. Perché mentre aspetti, speri, sogni, sei già felice. Ma il momento in cui la possiedi è così breve… Non fai in tempo a godertela, che già non è più felicità, diventa routine. E ricominci ad aspettare…
Marco aveva tutto: un appartamento a Milano, una macchina, un lavoro dignitoso con uno stipendio più che buono, e una moglie, tra l’altro bellissima. Si conoscevano dalle medie. Un primo amore diventato famiglia, nonostante tutto.
E poi c’era la piccola Giulia, di quattro anni. La moglie, Francesca, stava a casa con lei. Giulia, il suo sole, la sua gioia, Marco l’adorava.
Cosa poteva volere di più? Vivi e goditi la vita. Ma l’uomo è fatto così: quando ha tutto, ne vuole ancora.
Con Francesca col tempo si erano capiti al volo, bastava uno sguardo, un silenzio. La passione si era calmata, il rapporto era sereno.
La mattina Marco beveva la sua tazzina di caffè forte, sempre pronto sul tavolo dopo la doccia, indossava camice stirate che profumavano di fresco, baciava Francesca sulla guancia e partiva in Audi per l’ufficio.
La sera lo aspettava una cena squisita. Nel weekend andavano in campagna dai genitori di lei, d’inverno a sciare in montagna. No, Marco era grato al destino. Non a tutti va tutto così liscio.
Eppure…
Un giorno in ufficio arrivò una nuova collega, giovane, fresca, con occhi neri, un po’ obliqui, timidi come quelli di un capriolo. Si chiamava Ludovica. Ludovica Rossi. Ludo. Non un nome, una poesia. Forse i suoi occhi da cerbiatta, forse la musica del suo nome, forse il desiderio di qualcosa di nuovo… qualcosa in lei lo colpì. Improvvisamente capì: era ciò che aspettava. Il suo cuore la riconobbe e palpitò in attesa della felicità.
La incontrava sempre: nel corridoio, alla macchinetta del caffè, al bar durante la pausa pranzo. Capì che non erano casualità, che Ludo cercava quei momenti. E Marco decise di assecondarla.
Una mattina, arrivato in ufficio, rimase in macchina ad aspettare di vederla arrivare con quel passo leggero. Scese e la “inciampò” all’ingresso, fingendo casualità. Le aprì la porta, facendola passare prima.
In ascensore la osservava di nascosto. A volte catturava i suoi sguardi rapidi, incuriositi. Ma non riuscivano mai a parlare: l’ufficio era affollato, l’ascensore mai vuoto.
Poi un giorno restarono soli. Marco le chiese se le piaceva il lavoro, parlò del tempo, dei piani per il weekend. Lei rispondeva sorridendo, con uno sguardo quasi ironico.
Passò l’autunno, arrivò l’inverno. A Natale c’era il party aziendale. Marco ci sperava tanto: poteva tornare tardi, all’alba, senza sospetti.
Tutta la serata non la perse di vista. Ai balli, fu il primo a invitarla. Quando la strinse a sé, il cuore gli batté forte, un brivido gli corse lungo la schiena, come ai tempi delle medie, quando aveva ballato per la prima volta con Francesca, la sua futura moglie. Ludo lo guardava con quegli occhi neri, e il loro sguardo gli prometteva tutto, subito.
Scaldati dal ballo e dal vino, uscirono a prendere aria. Marco propose di scappare. E lei, senza esitare, accettò. Uscirono ridendo, mentre il guardiano li fissava invidioso. A lui nessuno aveva portato un bicchiere di spumante, un pensiero. Sospirò e tornò al cruciverba.
Marco e Ludo camminavano per Milano, chiacchierando di tutto. Lui evitava l’argomento famiglia, lei faceva finta di non sapere.
Con lei era tutto facile, leggero. “Che fortuna…” gli batteva il cuore, sincronizzato ai passi sulla neve.
Marco era stanco e rimpiangeva di aver lasciato l’auto in ufficio, ma Ludo non accennava a fermarsi.
“Dimmi la verità, vivi fuori città?” chiese lui, esausto.
“Vivo in periferia, in quelle case nuove,” rise lei. “Anch’io sono stanca. Chiamiamo un taxi.”
Davanti al suo palazzo, Marco esitava. L’alcol era svanito, e la coscienza gli sussurrava che era ancora in tempo per leggere la favola a Giulia. Ma Ludo, furba, lo invitò a salire per un caffè. Solo un attimo, prima di tornare a casa. E lui lasciò andare il taxi, calmando la coscienza con la promessa di restare quindici minuti.
Il caffè non lo bevvero mai. Appena varcata la porta del tredicesimo piano, si abbandonarono l’uno all’altra.
Quando Marco si svegliò, due ore dopo, alla finestra c’era un buio fitto: niente luna, niente stelle, niente luci. Solo oscurità. Una scena che mozzava il fiato. Ludo gli si avvicinò. Gli sembrò di essere solo con lei nell’universo, sospesi sopra una città addormentata. Un’ondata di felicità lo travolse. Era ciò che desiderava da tempo.
Non voleva andarsene. Ma la prudenza gli suggerì di non rischiare. Si lavò, si vestì, poi trascinò i saluti, promettendo di tornare presto. Prese un taxi e tornò all’ufficio. Il party era finito, le luci spente. Salì in macchina e rientrò a casa.
Francesca fingeva di dormire. Lui fingeva di crederci. Si infilò a letto senza far rumore.
Pensava di non riuscire a dormire, ma si addormentò subito. Loro non litigavano mai, né alzavano la voce. I muri erano sottili, meglio evitare pettegolezzi. A volte Marco pensava che, anche se le avesse confessato tutto, lei non avrebbe urlato.
Gli amici lo invidiavano: “Che donna che hai!” Dicevano. E lui sapeva che era vero. Prima di Ludo, anche lui lo pensava.
La mattina dopo si svegliò ringiovanito, felice. Francesca gli preparò il caffè, gli offrì la guancia per il solito bacio.
Da allora, si vedeva con Ludo a casa sua. In periferia, nessuno li avrebbe riconosciuti. Lì ci vivevano solo giovani come lei o famiglie in difficoltà.
A volte i sensi di colpa lo assalivano. Non era giusto mentire. Se Francesca fosse stata una strega, forse si sarebbe sentito meno in colpa. Ma così… Perché lo faceva? Cercava di soppesare i pro e i contro: da una parte Francesca, Giulia, la sua vita. Dall’altra, la passione. Quella passione che lo faceva sentire vivo. Come rinunciarci?
Passò un anno. Ma tutto ha una fine, anche i dolci più buoni stufano. A poco a poco, la passione si affievolì. Sempre più spesso Marco desiderava passare la serata a casa, in pace.
Conosceva Francesca da una vita, sapeva cosa aspettarsi. Ludo era meravigliosa, ma che moglie sarebbe stata? Avrebbe avuto la stessa pazienza, la stessa calma? Marco aveva tanto da perdere. E intanto Ludo iniziava a chiedere: “Quando staremo insieme davvero?”
Lui balbettava scuse: “Giulia è piccola, quando sarà più grande…” Ma Ludo insisteva. E questo lo metteva a disagio. L’ansia cresceva. DoveMa quella sera, mentre tornava a casa dopo aver deciso di chiudere per sempre con Ludo, Marco guardò il telefono spento e sorrise, finalmente libero, perché capì che la vera felicità era già lì, tra le pareti di casa sua, ad aspettarlo. .