In attesa di un incontro

**In Attesa dell’Incontro**

Settembre si era rivelato caldo, asciutto, soleggiato. Il basso sole autunnale accecava, soprattutto verso sera. Marco abbassò la visiera parasole. Lui era alto, la visiera lo proteggeva, ma Beatrice…

Quante volte le aveva proposto di lasciare l’auto a casa. L’avrebbe accompagnata al lavoro, sarebbe passato a prenderla la sera. Peccato che gli orari non coincidessero.

“Mi fa piacere che ti preoccupi per me,” diceva lei, accoccolandosi contro di lui. “Ma guido con prudenza, lo sai. Non posso fare a meno della macchina.”

“D’accordo, ma almeno promettimi di mettere gli occhiali da sole. La settimana prossima inizieranno i temporali, farà freddo. Anche se la pioggia, con le pozzanghere e l’asfalto scivoloso, non è meglio del sole accecante. In entrambi i casi c’è il rischio di un incidente.”

“Sei così premuroso. Andrà tutto bene. Te lo prometto,” giurò Beatrice con solennità.

Marco parcheggiò l’auto e, per abitudine, lanciò un’occhiata alle finestre del terzo piano. I vetri riflettevano il sole, non si capiva se le tende fossero abbassate. Se non lo erano, l’appartamento doveva essere un forno, arroventato dopo ore di sole.

Notò subito che la macchina di Beatrice non c’era. Strano, non aveva chiamato, non l’aveva avvertita di un ritardo. Marco controllò il telefono. Niente chiamate perse, nessun messaggio. Beatrice finiva un’ora prima di lui e di solito, al suo rientro, la cena era già pronta.

Rimise il telefono in tasca, chiuse l’auto ed entrò nel palazzo.

***

Si erano conosciuti un anno e mezzo prima. Marco tornava dal lavoro quando vide un’auto con lo sportello aperto sul ciglio della strada e, accanto, una ragazza esile e smarrita. Capì subito: una gomma a terra. Si fermò e le offrì aiuto. Iniziarono a frequentarsi.

Beatrice viveva in un appartamento in affitto. Piccola, fragile, orgogliosa e indipendente. Con lei Marco si sentiva forte, protettivo. Voleva salvaguardarla da ogni cosa, ma lei si irritava, convinta di potercela fare da sola. Presto le propose di trasferirsi da lui. Tanto pagava un affitto inutile se poi dormiva sempre da lui.

L’appartamento di Marco, una tana da scapolo, si trasformò sotto le mani di Beatrice. Comparvero coperte, cuscini colorati sul divano, lampade dal tocco accogliente. L’aria si riempì di profumi di torte, sughi e vaniglia. Non era più un bilocale qualunque, ma una casa.

Un giorno, Beatrice portò a casa un cucciolo sporco e tremante, trovato sotto un cespuglio malconcio durante un temporale.

“Bea, ma perché l’hai portato? È sporco, puzzolente e pieno di pulci. Potrebbe essere malato. Ci riempirà la casa di bisogni,” protestò Marco. Non amava né cani né altri animali.

“Marco, guarda com’è dolce! Non ha le pulci, è solo infreddolito. Morirà se lo lasciamo là. Lo laverò, domani lo porterò al veterinario. Non preoccuparti, pulirò io dopo di lui. È adorabile, no?” strinse il cucciolo fradicio al petto.

“Lo sai che non mi piacciono i cani. Fallo visitare e lascialo lì,” concesse Marco con riluttanza.

Ma lo sguardo di Beatrice gli fece capire che, se avesse insistito, lei se ne sarebbe andata con il cucciolo. E quello non poteva permetterselo. Marco era innamorato. Nessuna donna l’aveva mai fatto sentire così. Non gli restò che rassegnarsi.

Al cucciolo, Beatrice diede un nome altisonante: Rex. E lui sembrò approvare, alzando il muso e drizzando le orecchie flosce.

“Vedi? Gli piace,” sorrise lei.

“Rex!” chiamò Marco, ma il cane ignorò il richiamo, limitandosi a muovere un orecchio, come per dire: “Lascia perdere.”

Con un’alimentazione regolare, Rex ingrassò in fretta. In sei mesi diventò un cane di media taglia, con un pelo rossiccio e setoso. Di razza indeterminata, ma con qualcosa di retriever.

Anche se Marco lo accarezzava e giocava con lui, Rex riconosceva solo Beatrice come capobranco, seguendola ovunque e ignorando gli ordini di Marco. A volte, Marco ne era persino geloso.

Vivevano così, in tre. A Marco andava tutto bene, perfino Rex. Non pensava ai figli. Un giorno, forse, ma per allora andava bene così.

***

Ancora sulle scale, Marco sentì gli ululati e gli abbai di Rex. Appena aprì la porta, il cane gli sfrecciò accanto verso le scale.

Marco sospirò rassegnato, chiuse e lo seguì.

“Non correre, amico,” borbottò mentre Rex raspava la porta d’ingresso. Di solito aspettava il guinzaglio, ma quel giorno era irrequieto. Una volta fuori, si lanciò avanti, poi si voltò, come per invitare Marco a seguirlo.

“Sto arrivando. Dove diavolo vai?” mormorò Marco, affrettando il passo.

Rex agitò le orecchie, poi partì di corsa.

“Fermo!” urlò Marco. “Ma dove c***o vai?”

Il cane si fermava di tanto in tanto, controllando che Marco lo seguisse, poi ripartiva, guidato da un istinto che solo lui conosceva.

Marco capì che Rex non correva a caso. Quella fretta l’aveva solo quando andava incontro a Beatrice. Un brutto presentimento lo spinse a correre più veloce, per non perderlo di vista. L’ansia del cane gli si era trasmessa.

Attraversarono il parco dove di solito passeggiavano, poi corsero tra i cortili. Marco ansimava, il cuore gli batteva forte. Davanti, sentì gli abbai di Rex. Si lanciò in avanti, maledicendo l’energia del cane e promettendosi di iniziare a correre.

Sbucò su una stradina tra le case basse del quartiere, un’oasi rimasta intatta nella città. Rex era sul ciglio della strada, annusando il terreno. Solo avvicinandosi, Marco vide i vetri rotti sull’asfalto. Rex lo guardò e abbaiò rauco.

Capì subito: era successo qualcosa a Beatrice. Perché aveva preso quella strada? Rex guaì, poi abbaiò di nuovo. Dietro un recinto, un ragazzino armeggiava con qualcosa.

“Ehi, sai cos’è successo qui?” gridò Marco, aspettando che un’auto passasse. Il ragazzino si avvicinò.

“Un incidente. Stavo tornando da scuola e ho visto l’ambulanza andarsene, poi è arrivato il carro attrezzi.”

“Di che colore era l’auto? Rossa?”

“Credo di sì,” annuì.

Marco tirò fuori il telefono e compose un numero.

“Mi dica, dovrebbe esserci un chiamato recente… In quale ospedale? Grazie.”

Si pentì di non aver messo il guinzaglio a Rex, che si rifiutava di allontanarsi. Non insistette e corse all’auto.

Il sole era tramontato. Quando arrivò all’ospedale, era buio. Chiese di Beatrice. Il medico lo guardò stanco.

“Lei è?”

“Suo marito.”

“Non ho buone notizie. È deceduta durante il trasporto.”

Il cuore di Marco si fermò. I pensieri gli giravano in testa: un errore… non può essereMarco rimase immobile, con gli occhi fissi sul vuoto, mentre il mondo intorno a lui svaniva nel silenzio di una perdita che non avrebbe mai davvero accettato.

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