In attesa di un incontro

**Nell’Attesa dell’Incontro**

Settembre era stato un mese caldo, asciutto e soleggiato. Il basso sole autunnale accecava, soprattutto verso sera. Marco abbassò la protezione parasole davanti a sé. Lui era alto, e il parasole lo salvava dal riverbero, ma Giulia…

Quante volte le aveva proposto di lasciare la macchina a casa. L’avrebbe accompagnata lui al lavoro, sarebbe passato a prenderla alla sera. Peccato che i loro orari non coincidessero.

“Mi fa piacere che ti preoccupi per me, ma guido con prudenza, lo sai bene. Non posso farne a meno,” diceva Giulia, accoccolandosi accanto a lui.

“Va bene, ma almeno promettimi di mettere gli occhiali da sole. La settimana prossima inizieranno i temporali, e farà più freddo. Anche se la pioggia, con le pozzanghere e l’asfalto scivoloso, non è meglio del sole che acceca. In entrambi i casi, il rischio c’è.”

“Sei così premuroso. Andrà tutto bene, te lo prometto,” rispondeva solenne Giulia.

Marco parcheggiò sotto casa e, per abitudine, lanciò un’occhiata alle finestre del terzo piano. Il sole batteva contro i vetri, rendendo impossibile distinguere se le tapparelle fossero abbassate o meno. Se fossero state alzate, dentro sarebbe stato un forno, l’appartamento surriscaldato dopo ore di sole.

Notò subito che la macchina di Giulia non c’era: non era ancora tornata dal lavoro. Strano, non aveva telefonato, non lo aveva avvertito del ritardo. Per sicurezza, Marco controllò il cellulare. Nessuna chiamata persa, nessun messaggio. Giulia finiva un’ora prima di lui. Di solito, quando tornava a casa, la cena era già pronta.

Rimise il telefono in tasca, chiuse l’auto a chiave ed entrò nel palazzo.

***

Avevano conosciuto un anno e mezzo prima. Marco stava tornando dal lavoro quando vide una macchina con lo sportello aperto e, accanto, una ragazza minuta e sconvolta. Capì subito che aveva bucato una gomma. Si fermò e le offrì aiuto. Si conobbero e iniziarono a frequentarsi.

Giulia viveva in un appartamento in affitto. Fragile, piccola, orgogliosa e indipendente. Accanto a lei, Marco si sentiva forte ed esperto. Aveva voglia di proteggerla da tutto, ma Giulia si arrabbiava, convinta di sapercela fare da sola. Presto le propose di andare a vivere insieme. Perché pagare un affitto in più, se tanto passava le notti da lui?

L’appartamento di Marco, una tana da scapolo, Giulia lo trasformò senza clamore. Comparvero coperte, cuscini colorati sul divano, lampade accoglienti. Non era più un monolocale qualunque, ma una casa, un nido. Nell’aria si sentiva odore di dolci, di stufati, di vaniglia.

Una volta, Giulia portò a casa un cucciolo sporco e infreddolito, trovato sotto un cespuglio rattoppato vicino al portone.

“Giulia, perché l’hai portato qui? È sporco, puzza e chissà quanti parassiti ha. Magari è pure malato. Riempirà tutto di bisogni,” sbuffò Marco. Non amava né cani né altri animali.

“Marco, ma che dici? Guarda com’è carino. Non ha i parassiti, è solo gelato. Morirà se lo lasciamo fuori. Lo lavo e domani lo porto dal veterinario. Non preoccuparti, ci penso io a tutto. È adorabile, no?” Giulia strinse il cucciolo tremante e bagnato al petto.

“Lo sai che non mi piacciono i cani. Lascialo dal veterinario, se vuoi,” concesse Marco, con tono magnanimo.

Lo sguardo di Giulia fu tale che capì: se avesse insistito, sarebbe andata via con il cane. E non poteva permetterlo. Marco era innamorato. Non aveva mai amato nessuna donna così tanto, come quella ragazza minuta e determinata. Non gli restò che arrendersi.

Al cucciolo innocente, Giulia diede un nome altisonante: Argo. E il cane lo accettò subito, alzando il muso e drizzando le orecchie flosce.

“Vedi? Gli piace,” sorrise Giulia.

“Argo!” chiamò Marco, ma il cane neanche si girò, solo scosse un orecchio, come per dire: “Lascia perdere.”

Con il cibo abbondante, Argo ingrassò velocemente. In sei mesi diventò un cane di taglia media, con il pelo rosso e lucido. Di razza? Una mescolanza indefinita, ma si vedeva che aveva sangue di retriever.

Anche se Marco lo accarezzava e giocava con lui, Argo riconosceva solo Giulia come capobranco. La seguiva ovunque, ignorando gli ordini di Marco, che a volte lo rimproverava per gelosia.

Vivevano così, in tre. A Marco andava tutto bene, perfino Argo era diventato un’abitudine. La mattina lo portava a spasso. Non pensava ai figli. Un giorno, certo, ma per ora stavano bene così.

***

Mentre saliva le scale, Marco sentì i guaiti e gli abbai di Argo. Non appena aprì la porta, il cane gli schizzò accanto e si diresse verso le scale.

Marco sospirò rassegnato, chiuse l’appartamento e lo seguì.

“Non correre, amico,” borbottò mentre Argo graffiava la porta d’ingresso. Di solito aspettava paziente che gli mettessero il guinzaglio, ma quel giorno era agitato e impaziente. Uscito in strada, il cane si allontanò, si voltò e lo fissò, come per invitarlo a seguirlo.

“Arrivo, arrivo. Dove vuoi andare?” bofonchiò Marco, accelerando il passo.

Argo scosse nervosamente le orecchie e, all’improvviso, si lanciò di corsa fuori dal cortile.

“Fermo!” gridò Marco. “Ma dove diavolo vai?”

Argo si fermava ogni tanto, si voltava per controllare che Marco lo seguisse, poi ripartiva, guidato da un istinto che solo lui conosceva.

Marco capì che quella corsa non era casuale. Argo si affrettava così solo quando andava incontro a Giulia. Un brutto presentimento lo prese, e accelerò per non perderlo di vista. L’ansia del cane si era trasmessa anche a lui.

Attraversarono un piccolo parco dove di solito passeggiavano, poi corsero tra i cortili. Marco ansimava, il cuore gli batteva forte. Più avanti, sentì gli abbai inquieti di Argo. Si lanciò in uno sprint, maledicendo la giovinezza del cane e promettendosi di iniziare a correre.

Sbucò su una strada tortuosa tra le casette basse del quartiere, sopravvissute all’espansione della città. Argo era fermo sul bordo della strada, annusando il terreno e guaendo. Solo avvicinandosi, Marco vide i cocci di vetro sparsi sull’asfalto. Argo lo sentì, abbaiò rauco.

Marco capì subito: era successo qualcosa a Giulia. E perché era passata di lì? Argo guaì, poi abbaiò di nuovo. Dietro il recinto di fronte, un ragazzino di dieci anni armeggiava con qualcosa.

“Ehi, sai cosa è successo qui?” gli gridò, aspettando che una macchina passasse. Cercò di zittire Argo, temendo di non sentire la risposta.

L’adolescente si avvicinò.

“Un incidente. Tornavo da scuola e ho visto solo l’ambulanza che se ne andava, poi il carro attrezIl ragazzino fece un cenno verso la curva: “La macchina rossa è uscita di strada, ma la signorina… non ce l’ha fatta,” e Marco sentì il mondo svanire mentre Argo, accucciato tra i vetri rotti, emise un ululato che si perse nel crepuscolo.

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