**Seguendo il cuore**
Giorgia uscì dall’ufficio e vide l’ascensore arrivare. La gente si stava già ammassando dentro.
“Aspettate!” gridò, accelerando il passo.
Alla fine della giornata lavorativa, come al mattino, prendere l’ascensore era una sfida. Riuscì a infilarsi all’ultimo momento, stringendosi contro il petto di un uomo davanti a lei per far chiudere la porta alle sue spalle.
“Scusa,” disse, distogliendo lo sguardo per evitare che il suo mento sfiorasse la sua fronte. Lui profumava di colonia, un aroma piacevole.
“Tranquilla.”
Rimasero così, stretti l’uno all’altro, fino al piano terra.
Finalmente l’ascensore si fermò e le porte si aprirono. Giorgia fece un passo indietro per uscire, ma l’uomo la prese delicatamente per il braccio, guidandola di lato per evitare che fosse spinta dalla folla. Sembrava un passo di danza. Prima che potesse ringraziarlo, la sua amica Simona le fu accanto.
“Torni a casa? Ti posso accompagnare.”
Giorgia si distrasse con lei, senza nemmeno guardare bene l’uomo o ringraziarlo.
“No, vado a piedi, ho bisogno di prendere un po’ d’aria.”
Uscirono sulla strada. Una pioggerellina cadeva, e la gente passava con gli ombrelli.
“Piove. Aspetta qui, vado a prendere la macchina.”
“Simo, grazie, ma voglio camminare,” disse Giorgia, tirando fuori un ombrello dalla borsa.
“Va bene, fai come vuoi,” rispose Simona, guardandola con sospetto.
Giorgia salutò, aprì l’ombrello e si unì alla folla di colleghi senza auto che tornavano a casa. Aveva bisogno di stare sola, riflettere. E poi, a dirla tutta, non aveva voglia di rientrare.
L’ombrello era solo una distrazione. Doveva scansare quelli degli altri e fare attenzione a non colpire nessuno. Alla fine lo chiuse e lo rimise in borsa. Sugli alberi e sugli arbusti i germogli erano gonfi, e in alcuni punti già spuntavano timide foglioline. Quel momento della vita nuova durava così poco che voleva ricordarselo bene.
Camminando, Giorgia pensava a come avesse potuto sbagliare ancora una volta, trovarsi nel posto sbagliato con la persona sbagliata. Non inteso come luogo fisico, ma per le relazioni. Viveva in un appartamento lasciatole dalla nonna, senza dover pagare mutui o rate. E proprio quell’appartamento attirava il tipo sbagliato di uomini. Ci aveva messo troppo a capirlo.
Ecco perché stava prendendosela comoda, camminando a piedi per rimandare il più possibile il ritorno, dove l’aspettava Marco. O meglio, dove l’aspettava la cena che lei avrebbe preparato. Eppure, tutto era iniziato così bene…
***
Lei e sua madre vivevano sole. Suo padre se n’era andato quando Giorgia aveva nove anni. Al liceo, sua madre si risposò. Un uomo estraneo era entrato in casa, e lei, abituata a girare in short e canottiera, si trovò a disagio. Sua madre la rimproverò: non era il caso di mostrarsi seminuda davanti a un uomo adulto, doveva vestirsi in modo più decoroso. Giorgia già si vergognava di lui, e ora evitava persino di uscire dalla sua stanza senza motivo. Fu sua nonna a risolvere il problema, invitandola a vivere con lei per dare tempo ai “giovani” di abituarsi l’uno all’altra. A tutti andò bene.
Giorgia era al primo anno di università quando la nonna morì, lasciandola sola. All’università le piaceva Luca. Le ragazze gli correvano dietro, e lei aveva poche possibilità di essere notata da un atleta così bello. Ma un giorno, a lezione, si sedette accanto a lei, e poi la accompagnò a casa.
Un mese dopo, lui viveva già da lei. Sua madre cercò di farle capire che non sarebbe finita bene, ma Giorgia non voleva ascoltare. Non aveva interferito con la vita amorosa della madre, quindi perché lei doveva farlo? Era adulta, lo amava, e tutto sarebbe andato bene. Insomma, litigarono.
Vissero insieme quasi due anni, quasi una famiglia. Mancava solo la laurea. Giorgia era certa che Luca l’avrebbe chiesta in moglie. Invece, dopo la cerimonia, lui le annunciò che se ne andava.
“A casa?” chiese lei. “Quando torni?”
“Non tornerò. Prima a casa, poi a Milano. Lì ho uno zio che mi ha offerto lavoro.”
“E io?”
“Gio’, ma cosa ti prende? È stato bello, no? Ti sono grato per avermi ospitato, per avermi tolto dalla vita da studente fuorisede. Ma ora devo andare avanti. Non voglio sposarmi ora. Voglio fare carriera, comprarmi un appartamento a Milano, viaggiare. Non ti ho mai promesso niente, o sbaglio?”
“Avremmo potuto andare insieme…”
“No, non avremmo potuto.”
Mentre parlava, Giorgia lo guardava e capiva di non conoscerlo affatto. Pianse, gli parlò del suo amore, lo supplicò di restare.
“Non ti amo. Con te è stato comodo vivere. Sei una brava ragazza, troverai un uomo normale, ti sposerai, avrai figli. Ma quella vita non fa per me, almeno non ora. Ti ringrazio, ma le nostre strade si dividono qui. Scusami.”
Se ne andò. Giorgia passò tre giorni a piangere nel cuscino. Sua madre arrivò, senza rimproveri o ripetizioni di “te l’avevo detto”, le diede conforto. La cosa più umiliante era che Luca non l’aveva mai amata, aveva solo approfittato di lei e dell’appartamento. Dopo quella storia, lei e sua madre si riavvicinarono. Almeno qualcosa di buono era venuto fuori.
***
Giorgia ci mise molto a riprendersi. Non frequentò nessuno, né ebbe storie. E poi, in ufficio c’erano quasi solo donne.
Alla fermata dell’autobus la mattina vedeva spesso un ragazzo. Salivano sullo stesso autobus e viaggiavano insieme per qualche fermata. Dopo un po’, iniziarono a salutarsi, a sorridersi, a scambiarsi due parole. Le piaceva quel rapporto senza impegno. Non sapevano nulla l’uno dell’altra, eppure non erano estranei. La mattina correva per prendere l’autobus, chiedendosi se l’avrebbe incontrato. E il cuore le batteva forte quando vedeva il suo sorriso.
Poi, all’improvviso, lui sparì. Giorgia lo aspettava, lo cercava con lo sguardo ogni mattina. Perfino lasciava passare l’autobus, sperando che fosse solo in ritardo. Ma non si fece più vedere.
Un giorno scese dall’autobus, attraversò la strada e lo vide. Il cuore le sussultò. Aveva già pensato di non rivederlo mai più.
“Non ti ho visto per un po’. Eri malato?” chiese.
“Sono stato licenziato. Ora non devo più andare in ufficio. Lavoro da casa, ma è difficile. Mia madre mi chiede favori, mia sorella mi distrae. Cerco lavoro, ma per ora niente. Volevo vederti, ma non so nemmeno come ti chiami.”
“Giorgia.”
“Io sono Marco. Gli amici mi chiamano Marcuccio.”
Mentre camminavano chiacchierando, passarono senza accorgersene al *tu*.
“Non ti vedrò più?” chiese Giorgia davanti a casa sua.
“Mi vedrai. Abito qui vicino, verrò ad aspettarti alla fermataE proprio allora, mentre il sole tramontava tingendo il cielo di rosa, Giorgia capì che la vera felicità iniziava quando si aveva il coraggio di voltare pagina.