Sotto il segno del cuore
Costanza uscì dall’ufficio e vide che l’ascensore era arrivato, mentre la gente cominciava ad entrarvi.
“Aspettate!” gridò, affrettando il passo.
Alla fine della giornata lavorativa, come al mattino, era difficile prendere l’ascensore. Riuscì a infilarsi dentro all’ultimo momento, facendosi spazio tra la folla. Dovette premersi contro il petto dell’uomo che le stava davanti per far sì che la porta alle sue spalle si chiudesse.
“Scusi,” mormorò, distogliendo lo sguardo, altrimenti il mento dell’uomo avrebbe sfiorato la sua fronte. Da lui emanava un gradevole profumo di colonia.
“Tutto bene.”
Rimasero così, stretti l’uno all’altro, fino al piano terra.
Finalmente l’ascensore si fermò, e la porta si aprì. Costanza fece un passo indietro per uscire. L’uomo la seguì, trattenendole delicatamente il braccio per evitare che inciampasse e guidandola di lato, così che la gente in uscita non la urtasse. Fu quasi come una danza. Prima che potesse riprendere fiato e ringraziarlo, le si parò davanti l’amica Lucrezia.
“Vai a casa? Ti do un passaggio.”
Costanza si distrasse con lei, senza riuscire a osservare bene l’uomo né a ringraziarlo come avrebbe voluto.
“No, vado a piedi, mi faccio un po’ d’aria.”
Uscirono in strada. Una pioggerellina fine cadeva, e la gente passava con gli ombrelli aperti.
“Piove. Aspetta qui, vado a prendere la macchina.”
“Grazie, Lucre, ma preferisco camminare,” disse Costanza, tirando fuori l’ombrello dalla borsa.
“Mah, fai come vuoi,” rispose Lucrezia, guardandola con sospetto.
Costanza si congedò, aprì l’ombrello e si unì al flusso dei colleghi senza auto che si affrettavano verso casa. Aveva voglia di stare sola, di riflettere, e, a dirla tutta, non aveva alcuna fretta di tornare.
L’ombrello la distraeva dai pensieri. Doveva scansare quelli degli altri passanti e stare attenta a non urtare nessuno con il suo. Alla fine lo chiuse e lo rimise in borsa. Sugli alberi e sui cespugli i germogli erano gonfi, e qua e là spuntavano già le prime foglioline tenere. Quel momento di rinascita era così fugace che le veniva voglia di imprimerlo nella memoria.
Mentre camminava, Costanza rifletteva su come avesse potuto sbagliare di nuovo, ritrovandosi nel posto sbagliato e con la persona sbagliata. Non inteso come luogo fisico, ma nelle relazioni. Viveva in un appartamento ereditato dalla nonna, senza dover pagare mutui o debiti. Proprio quella sicurezza, però, sembrava attirare gli uomini sbagliati. Lo aveva capito troppo tardi.
Così, per ritardare il più possibile il rientro, se ne andava a piedi, senza fretta, verso quella casa dove l’aspettava Vittorio. O meglio, non aspettava lei, ma la cena che le toccava preparargli. Eppure, tutto era iniziato così bene…
***
Lei e sua madre vivevano da sole. Suo padre le aveva lasciate quando Costanza aveva nove anni. Durante il liceo, sua madre si risposò. Un estraneo entrò in casa, mentre lei era abituata a girare in pantaloncini e canottiera. La madre le fece notare che non era il caso di mostrarsi seminuda davanti a un uomo adulto, e le chiese di vestirsi in modo più decoroso. Già Costanza si sentiva a disagio con lui, e ora evitava di uscire dalla sua stanza senza motivo. Fu la nonna a risolvere la situazione, offrendole di andare a vivere da lei per dare tempo ai “giovani” di abituarsi. Tutti furono d’accordo.
Costanza era al primo anno di università quando la nonna morì, e rimase sola. All’università le piaceva Paolo. Le ragazze gli correvano dietro, e lei aveva poche possibilità di essere notata da quel bel ragazzo atletico. Ma un giorno, a lezione, lui si sedette accanto a lei e poi la accompagnò a casa.
Un mese dopo, già viveva da lei. Sua madre cercò di farle capire che non ne sarebbe venuto nulla di buono, ma Costanza non voleva ascoltare. Non interferiva nella vita sentimentale della madre, quindi perché lei doveva farlo? Era adulta, innamorata, e tutto sarebbe andato bene. Insomma, finì per litigare con lei.
Vissero insieme quasi due anni, quasi una famiglia. Mancava poco alla laurea, bastava discutere le tesi. Costanza non dubitava che Paolo l’avrebbe chiesta in sposa. Ma dopo la discussione e i festeggiamenti, la proposta non arrivò. Anzi, Paolo le disse che se ne sarebbe andato.
“A casa tua?” chiese lei. “Quando torni?”
“Non tornerò. Prima torno dai miei, poi vado a Milano. C’è uno zio che mi ha offerto un lavoro.”
“E io?”
“Costanza, non iniziare. È stato bello, no? Ti ringrazio per avermi ospitato, per avermi salvato dalla vita in dormitorio. Ma devo andare avanti. Non voglio sposarmi ora. Voglio fare carriera, comprare casa a Milano, viaggiare e conoscere il mondo. Non ti ho mai promesso nulla, vero?”
“Avremmo potuto andare insieme…”
“No, non avremmo potuto.”
Mentre lui parlava, Costanza lo guardava e capiva di non conoscerlo affatto. Pianse, gli parlò del suo amore, lo supplicò di restare.
“Non ti amo. È stato comodo vivere con te. Sei una brava ragazza, troverai un uomo normale, ti sposerai, avrai figli. Ma quella vita non fa per me, almeno non ora. Ti sono grato, ma le nostre strade si dividono. Scusami.”
Se ne andò, e Costanza pianse per tre giorni sul cuscino. Arrivò sua madre, senza rimproverarla né ricordarle che l’aveva avvertita, si limitò a consolarla. La cosa più dolorosa fu rendersi conto che Paolo non l’aveva mai amata, ma aveva approfittato di lei e della casa. Dopo quell’episodio, i rapporti con la madre migliorarono. Almeno una cosa buona era venuta dalla fine con Paolo.
***
Costanza impiegò molto tempo a riprendersi da quell’esperienza fallimentare. Non frequentò più nessuno, e al lavoro la maggior parte dei colleghi erano donne.
Alla fermata dell’autobus, la mattina, spesso incontrava un ragazzo. Prendevano lo stesso autobus, viaggiavano insieme per qualche fermata. Col tempo cominciarono a salutarsi con un sorriso, come vecchi conoscenti, scambiando qualche parola. Le piaceva quel rapporto leggero, senza impegno. Non sapevano nulla l’uno dell’altra, eppure non erano estranei. La mattina si affrettava verso l’autobus, chiedendosi se l’avrebbe incontrato, e il cuore le batteva forte quando lo vedeva sorridere.
Poi, all’improvviso, lui sparì. Costanza lo aspettò, lo cercò con lo sguardo alla fermata ogni mattina. Arrivò persino a perdere l’autobus, sperando che fosse solo in ritardo. Ma il ragazzo non riapparve più.
Un giorno, scesa dall’autobus, stava attraversando la strada per tornare a casa quando lo vide. Il cuore le sobbalzò di gioia. Aveva già pensato che non l’avrebbe più rivisto.
“È un po’ che non ci si vede. Era malato?” chiese Costanza.
“Mi hanno licenziato. Ora non devo più correre in ufficioE quando finalmente si voltò per guardarlo negli occhi, capì che il suo vero viaggio era appena cominciato.