In questa famiglia non hai posto

– Tu qui non ci sei! – la voce di Giovanna risuonava furiosa. – Hai capito? In questa famiglia non conti più!

– Giovanna, calmati – provò a intervenire Michele, ma la moglie lo zittì.

– Taci! Con il tuo silenzio tutti questi anni le hai fatto credere che poteva fare ciò che voleva!

Ginevra era sulla soglia del salone, la valigia in mano. Pallida, labbra tremanti, ma lo sguardo fiero.

– Va bene, mamma. Come dici.

– Non chiamarmi mamma! – sibilò Giovanna. – Ho una sola figlia e non sei tu!

Michele si lasciò cadere nella poltrona, il volto nascosto tra le mani. Ginevra fissò il padre, sperando in una parola di difesa. Lui tacque.

– Papà? – chiamò piano.

– Ginevra, forse è troppo drastico? – finalmente alzò gli occhi Michele. – Parliamone con calma.

– Di cosa? – Giovanna afferrò una foto dalla credenza e la scagliò a terra. Il vetro esplose in schegge. – Ha disonorato la famiglia! Ora tutta Montepulciano punta il dito!

Ginevra guardò la cornice spezzata: la loro foto di Capodanno, sorrisi felici. Ora pareva una beffa crudele.

– Signora Bianchi – si corresse Ginevra – non è colpa mia se è successo.

– Non colpa tua? – la madre le si avvicinò. – Frequenti un uomo sposato! Distruggi una famiglia! E ora aspetti pure un figlio!

Ginevra istintivamente portò una mano al ventre. Poche settimane, ma la notizia già correva per il paese.

– Lo amo – sussurrò.

– Amore! – la imitò Giovanna. – Un quarantenne con tre figli! Cosa hai di speciale per fargli lasciare la moglie?

Ginevra impallidì ulteriormente.

– Lui mi ama. Vivremo insieme.

– Dove? – ghignò la madre. – Qui? In casa mia? Credi permetterò a te e a quel…

– Basta Giovanna – intervenne Michele. – È pur sempre nostra figlia.

– Nostra? – la moglie gli si rivolse. – Io non partorii mai una simile! L’abbiamo cresciuta, pagato l’università, trovato il lavoro. E lei? S’invaghisce del primo imbroglione!

Ginevra posò la valigia.

– Marco non è il primo. Ci conosciamo da un anno.

– Un anno intero! – Giovanna alzò le braccia. – Un anno di bugie! Dici che lavori fino a tardi, e invece corri dall’amante!

– Non mentivo, solo…

– Solo nascondevi? Questo è mentire!

Michele si alzò e raggiunse la finestra. Fuori, pioggerellava, nubi grigie sulle tegole delle case vicine.

– Ginevra – disse senza voltarsi – Marco che dice? Davvero divorzia?

– Certo – rispose lei. – Ha già depositato le carte in tribunale.

– Deposto carte – ripeté Giovanna. – Intanto la famiglia è distrutta. Figli senza padre.

Anna premette il citofono della residenza di Chiara, il cuore stretto da quel nodo di dubbi che la voce di sua madre le aveva conficcato dentro. La pioggia insistente batteva sui sampietrini di via Margutta mentre aspettava, sentendo il peso delle parole di Elena intrecciarsi al rombo degli scooter oltre l’ombrello. L’uscio si aprì sulla luce calda dell’atrio, ma ad accoglierla non fu Chiara, bensì una donna dai capelli castani e gli occhi stanchi, che reggeva una busta della spesa. Il respiro di Anna si fermò: riconobbe la foto che Vittorio le aveva mostrato un mese prima, quella dalla cornice d’argento sulla sua scrivania. Era Lucia.

Lucia fissò Anna, poi la borsa da viaggio ai suoi piedi, infine lo sguardo smarrito. Un lampo di riconoscimento attraversò i suoi occhi, seguito da un gelo improvviso. “Stava cercando la signora Rossi? È al terzo piano,” disse con una voce piana, quasi meccanica, ma la mano che stringeva il manico della busta tremava lievemente. “Ma immagino che non sia qui per lei.” Il silenzio che seguì fu tagliente come le schegge del vetro rotto nel salotto dei genitori. Anna vide negli occhi di Lucia la stessa ferita che aveva intuito nei silenzi di Vittorio, la stessa solitudine delle notti in cui lui cancellava i messaggi al buio. “Vittorio… non mi ha mai parlato di figli,” continuò Lucia, posando la borsa sul marmo con gesto lento. “Diceva che il nostro matrimonio era finito anni fa. Che eravamo solo carta.” Si passò una mano sul grembiule, una macchia di pomodoro all’altezza del cuore. “Ma i miei ragazzi… loro lo aspettano ancora per il weekend al lago. Ha portato i loro regali di compleanno, almeno?” La domanda cadde nell’ingresso, pesante come una pietra tombale. Anna sentì il pavimento mancarle sotto i piedi. I giochi da spiaggia che Vittorio diceva aver comprato per i nipotini. Le serate “lavorative” nei giorni di visita pattuiti col tribunale. Il suo nome, “Anna”, mai pronunciato davanti alla famiglia. Lucia non urlava, non spezzava vetri come Elena. Il suo dolore era più quieto, più profondo, scavato dalle mezze verità e dalle promesse cancellate sul calendario dei bambini. Guardò lo smarrimento sul volto di Anna, il pallore improvviso. “Ah. Vedere che non lo sapevi,” sussurrò, una compassione amara nella voce. “Nemmeno questo ti aveva detto.” E in quel momento, sotto la luce fioca dell’atrio, mentre la pioggia disegnava lacrime sul vetro del portone, Anna vide crollare tutte le certezze che l’avevano portata fin lì. L’amore di Vittorio. L’abbraccio futuro. La propria casa. Si trasformarono in cenere, lasciando solo il peso greve del suo grembo e l’eco della madre: *”In questa famiglia, tu non ci sei.”* Lucia chiuse pian piano la porta, l’acciottolio dei suoi passi si perse nel cortile bagnato, e Anna rimase sola, appoggiata all’intonaco umido della palazzina romana, con dentro solo il battito disperato di due vite. Il telefono vibrò nella tasca. *Vittorio*, diceva lo schermo illuminato.

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