In una piovosa serata d’ottobre…

Una sera piovosa d’ottobre…

La messa serale era appena terminata. In chiesa c’era poca gente. La pioggia, che a tratti si mescolava a nevischio, aveva tenuto molti fedeli lontani.

La chiesa si svuotava lentamente, le porte si aprivano e richiudevano, facendo oscillare le fiammelle delle candele. L’odore della cera si mischiava al freddo della sera. Alla fine, anche l’ultimo rumore di passi sul pavimento di marmo svanì. Solo Luciana rimase.

Uscì dal catoio della sagrestia e percorse la navata, spegnendo le candele e pulendo i portacandele con un pennellino. Spense le lampade votive davanti alle icone. Dalle finestre strette con vetri irregolari, la luce dei lampioni filtrava appena. Rimase accesa solo una lampadina sopra il banco delle candele, illuminando le cornici dorate delle icone.

Dal lato sinistro uscì don Vincenzo, con una giacca nera sopra la tonaca.

«Il custode è già arrivato?» chiese, avvicinandosi a Luciana.

«No, non ancora. Devo dirgli qualcosa?»

«No. A domani.» Fece un cenno di saluto e si avviò verso l’uscita.

Luciana prese un secchio d’acqua e una scopa e iniziò a lavare il pavimento. Amava trovare la chiesa pulita al mattino. D’improvviso, una corrente d’aria fece sbattere la pesante porta d’ingresso. Luciana si voltò. Il custode si fece il segno della croce, le annuì e passò oltre, diretto alla sua stanzetta. Luciana non l’aveva mai sentito parlare, anche se don Vincenzo insisteva che non fosse muto.

Riposto il secchio, Luciana si infilò il cappotto e, prima di uscire, controllò ancora una volta che tutte le lampade fossero spente. Si fermò davanti a ogni icona, pregando in silenzio: *«San Nicola, prega Dio per noi»*, *«Santa Madre di Dio, aiutaci»*, *«Gesù Cristo, Figlio di Dio…»*.

«Me ne vado!» gridò al custode. La voce risuonò sotto le volte della chiesa.

Spense la luce e spinse la porta. Sulla scalinata, si fermò ad ascoltare. Non sentì passi, ma il chiavistello scattò: il custode aveva chiuso dall’interno. Poi, un suono leggero le giunse all’orecchio.

Si guardò intorno, aspettandosi di vedere un gattino o un cucciolo al riparo dalla pioggia. Invece, tra le ombre, scorse un piccolo fagotto bianco, da cui proveniva quel flebile pianto.

«Un bambino! Ma chi può averlo lasciato qui?» Si chinò e lo sollevò, scoprendo un visino rugoso avvolto in una copertina.

«Signore, che cuore può aver avuto sua madre per abbandonarlo in questo freddo!» Si guardò attorno. «E come mai nessuno l’ha visto?»

Le venne in mente di bussare alla chiesa, di chiamare i carabinieri e l’ambulanza. Sarebbe stata la cosa giusta. Ma un impulso la spinse a portare il bambino a casa sua e, da lì, chiamare don Vincenzo per chiedere consiglio.

Non fece neanche due passi che una donna le sbucò davanti dall’oscurità.

«Ridatemelo!» gridò, strappandole il fagotto.

Dalla voce, sembrava giovanissima.

«È tuo questo bambino? Peccato gravissimo abbandonarlo così!» disse Luciana con severità.

«Non l’ho abbandonato! L’ho lasciato solo un attimo!» rispose la ragazza, soffocata dal pianto.

«E perché non l’hai portato in chiesa?» chiese Luciana, con tono meno duro.

La giovane madre non rispose e si allontanò, stringendo il piccolo.

«Hai un posto dove andare?» le gridò dietro Luciana.

La ragazza rallentò e si voltò.

«Vedo che non ne hai,» mormorò Luciana. «Aspetta!» Le corse incontro. «Vieni con me. Abito qui vicino. Il bambino piange, sarà bagnato o affamato. E tu sei fradicia. Non si va in giro così, con questo tempo.» La prese per un braccio. «Non aver paura.»

La ragazza la seguì. Era evidente che non avesse alternative.

Lungo la strada, Luciana parlò senza sosta. Raccontò di come suo marito fosse morto anni prima, di come il Signore non le avesse dato figli. Disse che la sua ospite non sarebbe stata di peso, che anzi le avrebbe fatto compagnia.

«Non hai vestiti per il piccolo? Non importa, la mia vicina ha una bambina di pochi mesi. Le chiederò qualche pannolino e qualche vestito. Domani li compreremo e glieli restituiremo.» Continuò a parlare, per distrarla dai pensieri bui.

«Eccoci arrivate. Entra.» Luciana aprì il portone e la fece passare. «Abito al sesto piano…»

Nell’ascensore, si accorse che la ragazza tremava dal freddo, le labbra bluastre. Corse in casa e accese la luce.

«Dammi il bambino, tu svestiti. Metti le mie pantofole. Portalo in camera, sul divano.»

Quando entrò nella stanza, la ragazza aveva già srotolato la bimba, che agitava le manine affamate.

«Vuole la poppata. Coprila, vado dalla vicina a prendere i pannolini.»

«Claudia, prestami qualche pannolino e qualche vestitino per domani,» disse alla vicina.

«Ma ti è spuntato un bambino dal nulla?»

«Una parente è arrivata con la piccola. Hanno perso il bagaglio alla stazione.»

Claudia le diede un sacchetto pieno di pannolini e vestiti.

«Troppi!» esclamò Luciana.

«Sa**Niente è per caso, e quella notte di pioggia aveva unito le loro vite per sempre.**

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

sixteen − 10 =

In una piovosa serata d’ottobre…