Sono due settimane che sopporto, Marco! Due settimane dentro questa topaia che chiamano albergo!
Perché ci siamo finiti, eh?
Perché mamma ti ha pregato. Alla povera Annina serve un po di riposo, ha una vita dura scimmiottò Marco, imitando nostra madre.
Annina in effetti una sorte sfortunata ce laveva avuta, ma Lucia non riusciva proprio a compatirla. Per nulla.
Annina, sorella di mamma da parte di madre, era sempre stata quella povera parente a cui tutti dovevano qualcosa.
La valigia non si chiudeva. Lucia la schiacciava con rabbia, ginocchio contro il coperchio, cercando di far scorrere la cerniera, ma quella scappava via, sputando fuori il bordo dellasciugamano da spiaggia.
Dietro la sottilissima parete di compensato che nel misero bed & breakfast veniva chiamata muro, si sentiva gridare: era Federico, il figlio di sei anni di zia Annina.
Non voglio la pappa! Voglio le crocchette! urlava il bambino come se lo stessero scorticando.
Poi un tonfo pesante, piatti che sbattono contro il tavolo e la voce impastata dalla sigaretta di Annina:
Dai, amore, su, un cucchiaio per la mamma.
Lucia rimase immobile, aggrappata alla cerniera della valigia. La chiamavano già Veronica! Vai al supermercato, prendi quelle crocchette per il bambino che vedi come si dispera. Io ho le gambe a pezzi, non ce la faccio.
Appena la chiamavano, mamma correva.
Marco era seduto sullunica sedia traballante nella minuscola stanza, lo sguardo fisso sul telefono.
Neanche pensava a prepararsi, la sua sacca lasciata lì, come allarrivo.
Lo senti? sussurrò Lucia, indicando la parete. Sempre a comandare la mamma.
Veronica, portami questo, Veronica, dammi quello. E la mamma corre.
Lascia perdere, borbottò Marco, senza alzare gli occhi. Domani ce ne andiamo.
Sono due settimane che stringo i denti, Marco! In questa bettola che chiamano albergo!
Perché ci siamo venuti?
Lha chiesto mamma. Alla povera Annina serve un po di aria, la sua vita è un calvario!
Lucia si sedette sullorlo del letto, le molle cigolarono stanche.
Zia Annina, in effetti, una vita infelice laveva davvero vissuta ma Lucia non provava compassione.
Annina era la sorella poveretta, quella che si sentiva in diritto di pretendere da tutti.
Il primo figlio, morto piccolissimo una tragedia di cui in famiglia si bisbigliava.
Poi il marito, più amante del vino che del lavoro, morto qualche anno fa per gli stravizi.
Zia tirava su due bambini avuti da padri diversi, tutti stipati nella casa della nonna.
E cera pure lennesimo fidanzato lottavo, se non si era perso il conto.
Annina non lavorava: il suo compito nel mondo, diceva, era quello di soffrire e farsi mantenere. Prima di tutto da Veronica la mamma di Lucia che i soldi le spuntano dagli occhi, come sosteneva Annina.
Lucia andò alla finestra.
La vista era splendida: cassonetti e il muro del pollaio vicino.
La vacanza era stata idea della mamma: Tutti insieme, come una vera famiglia! Annina deve rilassarsi, diamole una mano.
A conti fatti, aiutare significava che Veronica aveva pagato il grosso delle vacanze, comprava il cibo, cucinava per tutti, mentre Annina e la sua nuova amica, una certa Loredana incontrata a bordo piscina e subito diventata anima gemella nella pigrizia, se ne stavano tutto il giorno a poltrire.
Preparati disse Lucia al fratello. Stasera si va al ristorante. Cena daddio.
***
Il ristorante, ovvio, laveva scelto Annina.
Desiderava qualcosa di elegante.
Sulla passeggiata del lungomare, due tavoli uniti a forza per sistemare tutta quella banda, come la chiamava Lucia tra sé.
Annina, con un tubino pieno di lustrini che minacciava di scoppiare, capotavola vicino a Loredana robusta e rumorosa, capelli ossigenati da far paura.
Cameriere! gridò Annina, senza guardare il menù Dacci il meglio che hai! Carne grigliata, insalate, e quello rosso lì, una caraffa intera!
Veronica, la mamma di Lucia, stava ai margini, un sorriso stanco.
In due settimane non aveva staccato un attimo: ora Federico impazziva, ora Annina stava male, ora ad Azzurra veniva la noia.
Mamma, prendi il pesce, lo volevi bisbigliò Lucia chinandosi verso di lei.
Figurati, è troppo caro la liquidò Veronica. Mi basta uninsalatina. Che mangi Annina, poverina, quante ne ha passate questanno.
Lucia bolliva. Poverina, certo!
Accanto, Federico, il piccolo tiranno di sei anni, batteva il cucchiaio nel piatto.
Dammi da mangiare! comandò spalancando la bocca senza staccare gli occhi dal tablet.
E Annina, lasciando Loredana, subito gli ficcò una cucchiaiata di purè tra le labbra.
Amore mio, dai, così cresci forte.
Ha sei anni, sbottò Lucia non sa mangiare da solo?
Il gelo scese sul tavolo. Annina girò piano la testa.
E chi ti ha chiesto niente, cara nipote? sibilò. Falli tu prima dei figli, poi ne parliamo.
Il mio ha unanima sensibile, ha bisogno di cure!
Ha bisogno di regole, non del tablet a tavola ribatté Lucia . Grida come un ossesso a ogni capriccio. State allevando un egoista.
Mamma mia! intervenne Loredana alzando le mani. Annina, guardala! Ci mancava la maestrina.
Ora i pulcini insegnano alla chioccia. Cara mia, non sai nulla della vita, e ti permetti di giudicare?
Lucia, basta sussurrò mamma, tirandole la manica . Non rovinare la serata, ti prego.
La serata sembrava non finire mai. Annina e Loredana, tra un bicchiere e laltro, sparlavano di uomini, vicini di stanza e della dura vita da donna.
Azzurra era immersa nel telefono, lanciando occhiate sprezzanti ai vecchi.
Federico cominciava un piagnisteo ogni mezzora subito ordinavano il gelato più grande.
A fine cena, Annina fece scena cercando la borsa:
Oddio, ho lasciato il portafoglio in camera! Veronica, paghi tu? Poi ti restituisco, appena torniamo a casa.
Non restituirai mai niente, pensò Lucia, guardando la mamma estrarre la carta di credito, rassegnata.
Tutto secondo copione.
***
Al ritorno, passata mezzanotte, Lucia si infilò subito in doccia, per liberarsi dalla sensazione appiccicosa della serata.
Lacqua veniva ora gelata, ora bollente.
Uscita dal bagno, si fermò davanti alla porta socchiusa della cucina.
Da dentro, bisbigli rabbiosi, voci alte.
…Hai visto che arietta si dà quella? gracchiava Loredana. Sempre col muso, sempre dallalto.
Non sa mangiare da solo!
E a te cosa interessa, mocciosetta? La vita non lha mai vista!
Senza di te, Veronica, oggi starebbe ancora a mungere mucche invece di fare la schizzinosa al ristorante.
Superba, vuota. Nessun ragazzo, nessuna testa sulle spalle. Solo superbia.
Lucia trattenne il fiato.
Il cuore batteva un tamburo in petto, nelle orecchie solo dolore.
Aspettava.
Aspettava che la mamma sbattesse il pugno sul tavolo, che dicesse:
Chiudi la bocca, Loredana! Non parlare così di mia figlia!
Almeno uscisse.
Ma dietro la porta si sentì soltanto il sospiro triste di Annina e la sua voce lagnosa:
Hai ragione, Lore. È proprio pesante, è dura. Tutta come la famiglia del padre, pure loro tutti… pieni di sé.
Non come i miei. Azzurra sarà pure testona, ma di buon cuore.
Quella… ci guarda come fossimo fango. Mi si chiude la gola quando si siede accanto a me.
Te la sei cresciuta male, Veronica rincarò Loredana. Bisognava darle quattro ceffoni da piccola!
E ora? Fa la regina e la madre non esiste.
Io una così lavrei già buttata fuori casa. Meglio imparare la vita dura!
Lucia chinò la fronte sullo stipite. Mamma taceva.
Lei era lì, con loro, bevendo il tè (o qualcosa di più forte, a giudicare dalla puzza di grappa) ascoltando quelle donne che infangavano la sua unica figlia.
Lucia si raddrizzò.
La porta sbatté forte contro il muro.
Improvviso silenzio.
Le tre davanti alla tavola di plastica, tra resti di cibo e involucri di gelato.
Annina ancora nel vestito luccicante, ormai scucito sotto lascella; Loredana rossa, sudata; e mamma
Mamma che sincurvò tutta.
Quindi sarei una vuota? la voce di Lucia non tremava affatto.
Era dura come pietra.
E tu, zia Annina, lanima santa di casa?
Annina sgranò gli occhi; Loredana si alzò, una montagna davanti al tavolo.
Allora origliavi, mocciosa? ringhiò Spioni ad ascoltare?
Non origlio. Gridate come pazze, vi sente tutto il palazzo replicò Lucia, avanzando diritta verso la zia. E quando mamma pagava per te al ristorante, il boccone ti scendeva bene, vero?
Non ti veniva il groppo?
Ingrata! urlò la zia, paonazza Noi ti vogliamo bene, e tu ci disprezzi!
Io potrei essere tua madre e tu minsulti per qualche spicciolo?
Tieniteli i tuoi soldi!
Non rinfaccio i soldi ma la sfacciataggine! sbottò Lucia Sei sempre stata sulle spalle di mamma!
Un marito, poi un altro, poi i figli, poi le malattie, sempre a fingiarti fragile!
Mamma lavora come un mulo per regalarti pure la vacanza, e tu la mordi appena lei gira le spalle!
Tua figlia è una cafona, sputa parolacce e ti calpesta, e tu vuoi farmi la predica?
Tuo figlio è un piccolo manipolatore isterico e non sei nemmeno capace di dirgli no!
Zia la fissava, muta, senza sapere che dire.
Lucia! sussultò Veronica, alzandosi Basta! Vai in camera!
No, mamma, non vado Lucia la fissava e negli occhi aveva così tanta sofferenza che Veronica restò in silenzio.
Sei qui che ascolti queste due infangare tua figlia e non dici niente. Permetti che mi insultino?
Loredana allontanò la sedia e le si avvicinò, pugni chiusi.
Adesso basta, ragazzina, ti insegno io a rispettare i grandi
Alzò la mano, pesante.
Lucia nemmeno il tempo di spaventarsi indietreggiò distinto, ma il colpo non arrivò: Marco aveva afferrato il braccio di Loredana in aria.
Prova a toccarla disse piano lui Siete proprio fuori di testa!
Zia Annina, fate le valigie. Noi ce ne andiamo.
Noi chi? strillò Annina Io resto! Manca ancora due giorni! Sono pagati!
Veronica! I tuoi figli sono impazziti! Ci aggrediscono!
E lì, finalmente, Veronica perse la voce controllata.
Si avvicinò a Lucia, la prese per le spalle e la scosse:
Perché lhai fatto?! gridò, le lacrime negli occhi Perché sei uscita? Potevi stare in stanza!
Hai rovinato tutto! Siamo una famiglia! Non ti vergogni a fare scenate davanti agli altri?!
Lucia si sciolse con delicatezza, ma ferma.
Qualcosa in lei si spezzò, per sempre.
Non ho vergogna, mamma disse a voce bassissima . Dovresti vergognarti tu. Per tutto quello che lasci loro fare con noi.
Voltò le spalle e uscì dalla cucina. Marco la seguì.
In camera si prepararono in silenzio.
Dalla stanza accanto Annina singhiozzava, lagnandosi della sua vita sfortunata.
Loredana la consolava, chiamando Lucia e Marco degli ingrati.
Azzurra, svegliata dal baccano, battibeccava che nessuno la lasciava dormire.
Non possiamo partire ora disse Marco, chiudendo la sacca. Lautobus parte domattina. Bisogna stare in stazione fino allalba.
Fa niente, Lucia buttò tutto in una busta. Meglio la stazione che un altro minuto qua dentro!
E mamma?
Lucia rimase ferma, una maglietta tra le mani.
La mamma ha scelto. È rimasta con loro, in cucina. A consolare la sorella.
***
Da allora Lucia con la mamma non parla più, nemmeno Marco non lhanno mai perdonata.
Veronica ha tentato di chiamarli, dicendo che è pronta a perdonarli se chiedono scusa ad Annina,
ma sia Lucia che Marco hanno deciso che certe scuse non servono a nulla.
Ne hanno avuto abbastanza.
Se alla madre piace farsi comandare dalla sorella, buon per lei.
Loro, senza parenti sfacciati, vivono addirittura meglio.






