Inarrestabile

**L’Instancabile**

Fin da piccola, Costanza sognava di diventare medico. Viveva con i genitori in un paesino delle Marche, e ogni mattina correva tre chilometri per raggiungere la scuola nel paese vicino. Lì c’erano anche l’ambulatorio, la posta e persino tre negozi.

La scuola era grande e nuova, e la ragazzina studiava con passione, trovando tutto facile. Stava per finire la quinta elementare.

“Costanza, alzati! Non puoi restare a letto tutto il giorno!”, gridò la madre entrando in casa con un secchio di latte fresco, appena munto dalla mucca. “Hai dormito troppo, ti ho svegliata quando sono andata nella stalla!”

“Oh, mamma, è vero!”, esclamò Costanza, saltando giù dal letto. In due minuti si lavò, si vestì, afferrò lo zaino e scattò fuori di casa senza fare colazione. Tatiana riuscì solo a infilarle in mano due frittelle avvolte in un tovagliolo.

Correre tre chilometri fino a scuola non era uno scherzo. Contava i pali del telegrafo mentre correva, sola, perché tutti gli altri bambini erano già partiti. A tratti rallentava, esausta, ma poi riprendeva a correre.

“Farò tardi, farò tardi…”, pensava con ansia.

Arrivò a scuola insieme al suono della campanella, salì di corsa al secondo piano e irruppe in classe. Si era appena seduta quando entrò la professoressa Lombardi, insegnante di italiano e letteratura.

“Costanza, sembra che tu abbia il diavolo alle calcagna!”, sussurrò Irma, la sua compagna di banco. “Hai dormito troppo? Non ti capita mai.”

“Sì, ho dormito troppo”, bisbigliò lei, e la lezione cominciò.

Quel giorno a scuola tutto filò liscio. Finite le lezioni, Costanza tornò a casa con le amiche. Lungo la strada raggiunsero i ragazzi del paese, che le stuzzicarono scherzosamente, rendendo il viaggio allegro.

Aprendo la porta con la chiave nascosta sotto la veranda, si tolse le scarpe sull’uscio e entrò in casa. Di solito, a quell’ora, nessuno c’era. Il padre era al lavoro, e la madre anche, facendo la postina. Stava per dirigersi verso la sua stanza quando udì una tosse straziante provenire dalla camera più piccola. Rimase immobile.

“Chi può essere?”, pensò. “Forse un folletto? Mamma una volta parlò dei folletti, ma io ridevo, non credevo esistessero davvero.”

Entrò di corsa nella sua stanza e chiuse la porta. Mentre si cambiava, tendeva l’orecchio. Appenna aprì la porta per andare in cucina, la tosse riprese, chiaramente maschile.

“Papà è al lavoro… chi può essere?”, si chiese. Aveva troppa paura per sbirciare dietro la tenda che copriva l’ingresso della stanza.

Mangiò in fretta e scappò fuori, sperando di incontrare la madre che consegnava la posta. Non vedendola, si sedette su una panchina. Passò Michele, il ragazzo del vicinato, che frequentava la seconda media.

“Michele!”, lo chiamò agitando una mano. “Vieni un attimo!”

“Che c’è?”, chiese lui.

“A casa mia c’è qualcuno che tossisce… ho paura. I miei non ci sono.”

“Tossisce? Chi?”

“Non lo so! Quando sono uscita non c’era nessuno. Adesso sì. Ho paura di guardare… vieni con me?”

“D’accordo”, disse Michele, e rientrarono insieme.

Ascoltarono: silenzio. Costanza indicò la tenda. Michele la scostò e sbirciarono insieme. Sul letto giaceva un uomo scheletrico.

“Buongiorno… lei chi è?”, chiese Costanza da dietro Michele.

“Buongiorno”, rantolò l’uomo. “Sono Gennaro… tuo zio.”

Costanza non ricordava alcun Gennaro. Richiusero la tenda e uscirono.

“Ecco, è tuo zio e ti sei spaventata”, disse Michele. “Va bene, io vado, mia mamma mi aspetta.”

Costanza aspettò ansiosamente il ritorno della madre e le chiese dello zio.

“È tuo zio Gennaro, il mio fratello minore. È stato in carcere per anni, ora è tornato, ma è malato. Tu eri piccola quando lo vedesti l’ultima volta.”

“È arrivato mezzo morto, e tuo padre ha detto: ‘Stia pure qui, si riprenderà, magari con qualche erba.’ Ma temo non abbia molto tempo.”

Gennaro, il fratello minore di Tatiana, era sempre stato un ragazzo turbolento. A sedici anni, con alcuni amici, svaligiò un negozio nel paese vicino. Non trovarono soldi, ma rubarono dolci, biscotti, sigarette e vino. Si nascosero in una capanna abbandonata nel bosco e si ubriarono. Li beccarono subito, e Gennaro fu condannato a tre anni in riformatorio. A diciotto anni lo trasferirono in un carcere per adulti, e lì si mise ancora nei guai. Ora, a venticinque, tornava più morto che vivo.

Quella notte, Costanza faticò a dormire, ascoltando la tosse dello zio. Le venne in mente che nel paese vicino viveva nonna Edvige, un’erborista che curava ogni male con le piante.

“Domani, dopo scuola, andrò da lei”, pensò. “Forse mi darà qualcosa per aiutarlo.”

Il giorno dopo, bussò alla porta di nonna Edvige.

“Buongiorno, nonna. Devo salvare mio zio, è molto malato… potrebbe morire.”

La vecchia la fece sedere, le offrì un tè e una fetta di torta.

“Su, cara, raccontami tutto”, disse, e Costanza le spiegò ogni dettaglio.

Nonna Edvige ascoltò, poi prese alcuni sacchetti e barattoli dagli scaffali e scrisse delle istruzioni su un foglio.

“Ecco, tesoro. Ho scritto come preparare le erbe e quando prenderle. Tutto è etichettato.”

“Grazie, nonna”, disse Costanza. “Faremo come dice lei.”

Tornata a casa, mostrò tutto alla madre.

“Mamma, guarda cosa ho preso da nonna Edvige. Cureremo zio Gennaro con queste erbe. Mi occuperò io di lui.”

Tatiana annuì, senza dire nulla. Non credeva nell’erboristeria. Ogni mattina, Costanza si alzava presto, preparava le tisane e le lasciava su uno sgabello accanto al letto dello zio, spiegandogli come assumerle.

“Costanza, sei proprio instancabile”, diceva Gennaro, guardandola con affetto. Capiva che solo lei credeva davvero nella sua guarigione.

Costanza tornò da nonna Edvige per aggiornamenti, e la vecchia la lodò.

“Brava, cara. Fallo alzare piano piano, poi fagli fare qualche passo. Si riprenderà. Dovrà camminare a piedi nudi sulla terra… la terra dà forza.”

Costanza si prefissò di guarire lo zio a ogni costo. E lui cominciò a crederci. Prima si sedette sul letto, poi mise giù i piedi, infine si alzò. A poco a poco, ritrovò le forze. Prendeva anche medicine prescritte dal medico, ma Costanza era certa che senza le sue cure non ce l’avrebbe fatta. Tatiana cucinava piatti nutrienti, e Gennaro ricominciò a mangiare con gusto.

“Zio Gennaro, forza, alzati!”, disse un giorno Costanza tornando da scuola. “Usciamo in cortile. È estate, ho le vacanze. Da ora ci alleneremo ogni mattina.”

“Oh,E così, con il tempo, Gennaro riprese completamente le forze, trovò lavoro in una segheria locale, si innamorò e sposò Marina, vivendo una vita serena, mentre Costanza diventò una brava dottoressa, ricordando sempre che la cura più potente era l’amore instancabile.

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