“L’hai incontrata per prima, vai con lei,” disse Marco al cane. “Mi mancherai.”
Il treno regionale rallentò. I passeggeri si erano già radunati vicino alle porte. Fuori, le luci abbaglianti dei lampioni illuminavano la gente sulla banchina, che ora sfilava sempre più lentamente. Con un ultimo scossone, il treno si fermò. Le porte si aprirono con un rumore metallico, e la folla, carica di borse e sacchetti, si riversò sulla banchina sporca e consumata della piccola stazione alle porte di Milano.
Marco scese per ultimo. Nessuno lo aspettava. Non aveva fretta di tornare nel suo monolocale in affitto, dove andava solo per dormire.
Qualche mese prima si era lasciato con la moglie, lasciandole l’appartamento con la neonata, mentre lui si era trasferito in periferia, in un posto più economico.
Aveva conosciuto una ragazza, una storia breve, finita senza rancore. Poi, tre mesi dopo, era riapparsa con una pancia evidente. Avevano deciso di sposarsi. Quattro mesi dopo, era nata una bambina sana.
Tra le lacrime, la moglie gli aveva confessato: prima di lui c’era stato un altro uomo, che l’aveva lasciata non appena scoperto della gravidanza. E poi era arrivato Marco. Lei non aveva dove andare, non voleva tornare nella sua città natale. Lui non ce l’aveva fatta a cacciarla, così se n’era andato lui, chiedendo il divorzio.
Adesso lavorava quasi senza pause, risparmiando per un nuovo appartamento. Un amico gli aveva proposto un lavoro con la sua squadra di muratori, ristrutturando case e ville.
Marco raggiunse lentamente le scale illuminate da un lampione. Ai piedi delle scale, notò un cane fulvo. L’animale lo guardò, poi alzò gli occhi verso la banchina.
“Non c’è più nessono lassù. Il padrone forse non è arrivato? Pazienza, magari prenderà l’ultimo treno,” disse Marco, allontanandosi.
Dopo pochi passi, si voltò. Il cane era salito sulla banchina, scrutando l’orizzonte. Il rumore delle ruote del treno che ripartiva lo fece guaire. Poi scese e corse verso Marco, fermandosi davanti a lui con uno sguardo interrogativo.
“Che fai, fratello? Aspetti il prossimo treno o vieni con me? Non te lo chiederò due volte.” Marco si voltò e si incamminò senza voltarsi.
Il cane lo osservò un attimo indeciso, poi lo seguì, prima da lontano, poi al suo fianco.
“Ti senti solo, eh? Capisco. Di chi sei? Non ti avevo mai visto qui. A dirla tutta, neanch’io vivo qui da molto…”
Camminarono così fianco a fianco fino a un palazzo di mattoni di quattro piani, dove abitava Marco. Davanti al portone, il cane si fermò.
“Entra.” Marco spalancò la porta. “Deciditi, che ho una fame da lupi e voglia di dormire.” Entrò, ma tenne la porta aperta.
Il cane salì lentamente i gradini e lo superò nell’ingresso. “Eh, con te è dura, ragazzo,” rise Marco, lasciando andare la porta.
Nel palazzo, la luce fioca di una lampadina illuminava appena le scale.
“Dai, terzo piano. Scusa, non c’è l’ascensore,” scherzò Marco.
Il cane saltellò su per le scale, aspettandolo sui pianerottoli. Arrivati davanti alla sua porta, Marco tirò fuori le chiavi.
“Siamo arrivati. Questa è casa mia.” Accese la luce nell’ingresso. “Entra pure. Non mi ripeto.”
Il cane esitò un attimo, poi entrò con dignità e si sedette vicino all’attaccapanni.
“Educato. Ti rispetto. Ma visto che sei qui, fatti un giro.” Marco si tolse la giacca e posò lo zaino.
Il cane si sdraiò nell’ingresso, le orecchie tese. Quando sentì il rumore dei piatti e l’odore del cibo, si alzò e raggiunse la cucina.
“Ecco qua.” Marco prese un’altra ciotola, vi mise dentro degli spaghetti al sugo e la posò vicino al lavandino.
Il cane annusò, poi svuotò la ciotola in pochi secondi, leccandola perfino. Poi si fermò a guardare Marco.
“Scusa, non ho altro. Non mi aspettavo ospiti.” Vedendolo fissare il rubinetto, Marco capì. “Mai avuto un cane, sai.” Prese la ciotola e la riempì d’acqua.
Il cane bevve avidamente, schizzando gocce tutt’intorno.
Più tardi, Marco guardava la TV sul divano, mentre il cane riposava ai suoi piedi, pronto a sobbalzare al minimo rumore.
“Rilassati, riposa,” disse Marco, spegnendo la TV.
Schiacciato dalla stanchezza, si alzò. Il cane fece lo stesso.
“Scusa, devo preparare il letto.”
Il cane capì e si spostò.
“Ma dove hai imparato a essere così furbo? Se solo mi dicessi come ti chiami…”
Dopo aver steso le lenzuola, il cane tornò nell’ingresso.
“Ehi, puoi dormire qui, sai.” Marco lo chiamò, ma l’animale non tornò indietro. “Come vuoi.” Spense la luce.
Nel sonno, sentì respiri e raschiamenti. Al mattino, la luce lo svegliò. Uscì in corridoio e trovò il cane seduto davanti alla porta.
“Ah, sei tu. Scusa, mi ero dimenticato di te. Trovi la strada da solo?” Aprì la porta, e il cane sfrecciò giù per le scale.
“Dannazione, la porta…” Marco pensò di seguirlo, ma sentì il portone sbattere al piano terra.
Dopo la doccia, preparò due panini, mise l’acqua per il caffè, si infilò la giacca e le ciabatte e scese. Il cane era seduto davanti al portone.
“Entra.” Marco annuì. Senza esitare, il cane corse dentro e lo aspettò davanti alla porta di casa.
Stavolta andò direttamente in cucina, divorando i panini. Uscirono insieme, dirigendosi alla stazione.
“Vai, ho da lavorare. Mi verrai a cercare? Non offendermi se no.” Marco gli grattò la testa e attraversò i binari.
La sera, scese dall’ultimo vagone chiedendosi se il cane lo avrebbe aspettato o se avesse trovato il padrone. Invece, era lì, ai piedi delle scale. Alla vista di Marco, si alzò e scodinzolò.
“Il padrone di nuovo assente? O aspettavi me?” Gli passò una mano sulla testa. “Andiamo?”
Il mattino dopo, accovacciato davanti al cane, Marco sospirò:
“Senti, stasera non tornerò. Ho da fare. Forse rimango in città un paio di giorni. Ci vediamo, se capita.” Si alzò e attraversò i binari.
Il cane lo guardò andare a lungo.
Il capocantiere li aveva spronati a finire una villa, lavorando anche di notte. Due giorni dopo, stanco e affamato, Marco scese alla stazione. I lampioni accesi illuminavano una banchina deserta. Nessun cane in vista.
«Avrà trovato il padrone», pensò, tornando a casa.
Vedendo la ciotola vuota in cucina, sentì il peso della solitudine. Gli mancava quel cane intelligente. Si era affezionato. Quella notte, si svegliò. Nessun rumore. Girandosi nel letto, ripensò a quelle giornate insieme.
Il giorno dopo, la sveglia lo strappò dal sonno. Il corpo gli doleva, ma c’era un altroPochi giorni dopo, mentre tornava a casa, vide il cane seduto davanti alla stazione con una ragazza bionda che lo accarezzava, e capì che forse la solitudine, per entrambi, era finalmente finita.