Incubo di maternità: ombre del passato e minaccia di divorzio

Il congedo di maternità è diventato per me, Giulia, una prova durissima che ha quasi distrutto la nostra famiglia. In un piccolo paese sulle rive dell’Adige, tre anni di maternità con il nostro primo figlio hanno trasformato il mio matrimonio con Marco in un campo di battaglia. Ora che la vita si è sistemata, mio marito insiste per avere un secondo bambino, ma i ricordi di quei giorni bui mi riempiono di panico. La sua ostinazione rischia di riportarci alle litigate e, forse, al divorzio. Come posso proteggermi senza perdere la mia famiglia?

Quando nostro figlio, Luca, è nato, ero piena di speranze. Prima del congedo, la nostra vita insieme era perfetta. Ci siamo frequentati per due anni, poi abbiamo convissuto altri due senza sposarci. Non litigavamo mai, né per le faccende domestiche né per i soldi. Dividevamo tutto a metà, discutevamo ogni spesa e trovavamo sempre un punto d’incontro. Avevamo pianificato il bambino, sapevamo che sarebbe stato difficile, ma non immaginavo quanto sarebbe stato dura la realtà. Marco, che credevo amorevole e comprensivo, è cambiato radicalmente, e il nostro matrimonio ha iniziato a vacillare.

I primi mesi con il neonato sono stati un inferno. Io, una mamma inesperta, non sapevo come gestire il pianto, le coliche, le notti insonni. La mia vita ruotava attorno a Luca, ma Marco non lo capiva. Lui pensava che l’unico mio compito fosse allattarlo ogni tre ore, dargli il ciuccio e poi essere libera. “Sei a casa tutto il giorno, cosa c’è di complicato?”, diceva, lamentandosi perché non cucinavo più piatti elaborati, non pulivo spesso e le sue camicie non erano sempre stirate. Quando riscaldavo la minestra del giorno prima, storceva il naso: “Questa roba è immangiabile!” Ma non aveva intenzione di aiutarmi. “Io mi spacco la schiena al lavoro, tu stai a casa, dovresti riuscire a gestire”, ribatteva, ignorando che ero occupata con il bambino ventiquattr’ore su ventiquattro.

Le discussioni scoppiavano per qualsiasi cosa: la polvere sulla mensola, una padella sporca, gli avanzi della sera prima. Marco rifiutava di darmi una mano anche nel weekend, rispondendo alle mie richieste con urla: “Mia madre cresceva tre figli, coltivava l’orto e cucinava ogni giorno! Tu non riesci a gestire un bambino in un appartamento!” Le sue parole mi ferivano come schiaffi. Mi sentivo inutile, e il suo disinteresse stava uccidendo l’amore che provavo per lui. Ma il colpo più duro è stato il controllo finanziario. Appena sono andata in maternità e ho smesso di guadagnare, Marco ha deciso che “spendevo troppo”. Voleva la lista della spesa, ma comprava solo ciò che riteneva necessario. Una volta ha cancellato il parrucchiere: “Stai bene così, non sprecare soldi”. Mi sentivo umiliata, soffocare.

Il mio ideale matrimonio si era trasformato in una gabbia. Sognavo di andarmene, ma non potevo: non avevo una casa mia, né un lavoro. Tra le lacrime ho deciso: aspetterò la fine del congedo, tornerò al lavoro e me ne andrò con Luca. Questo pensiero mi dava la forza di resistere. Ma verso la fine della maternità, qualcosa è cambiato. All’improvviso, Marco mi ha portata dal parrucchiere, comprato vestiti nuovi perché tornassi al lavoro “perfetta”. Quando Luca ha iniziato l’asilo e io sono tornata in ufficio, Marco è diventato un altro uomo. Era di nuovo l’uomo premuroso e affettuoso di cui mi ero innamorata. Mi aiutava in casa, smetteva di contare ogni euro e io non credevo ai miei occhi. I litigi svanivano, i rancori si attenuavano e ho accantonato l’idea del divorzio. Eravamo di nuovo una famiglia.

Ma questa fragile pace è in pericolo. Qualche mese fa, Marco mi ha detto: “Giulia, voglio un altro figlio”. Le sue parole mi hanno colpito come un fulmine. I ricordi del congedo – urla, rimproveri, solitudine – sono tornati con violenza. “Sai quanto è stato difficile per me”, ho cercato di spiegare. “Non voglio riviverlo”. Ma lui ha scrollato le spalle: “Adesso guadagno di più, ce la faremo. Voglio un erede!” La sua insistenza è cresciuta e nei suoi occhi ho rivisto lo stesso distacco degli anni passati. Non mi ascolta, non vuole capire quanto mi terrorizzi l’idea di ritrovarmi chiusa in casa.

Ogni discussione sul secondo figlio finisce in tensione. Marco preme sempre di più, e io sento il panico stringermi il petto. Immagino le notti insonni, le sue critiche, il controllo sui soldi – e mi sento male. “Non sono pronta, Marco”, dico. “Dammi tempo”. Lui però non molla: “Sei egoista, pensi solo a te stessa!” Le sue parole mi feriscono e vedo riaffiorare quell’uomo nervoso, aggressivo. Ho paura che torneremo sull’orlo del divorzio, ma non riesco a costringermi ad accettare un altro congedo. Quei tre anni quasi mi hanno spezzata, e non voglio rischiare la mia salute, il mio matrimonio, la mia anima.

Di notte, resto sveglia, lacerata tra la paura e il senso di colpa. Marco sogna una famiglia numerosa, io non posso dargli quello che vuole. Forse sono davvero egoista? O è lui che non capisce quanto mi abbia ferita in passato? Io lo amo, amo Luca, ma l’idea di un altro figlio è come un coltello. Se Marco continua a insistere, i litigi torneranno violenti come prima, e io ricomincerò a pensare di andarmene. Come trovare una soluzione? Come fargli capire che il congedo, per me, non è la gioia della maternità ma un incubo che non voglio rivivere?

Seduta nel silenzio del nostro appartamento, guardo Luca che dorme e sento il cuore stringersi d’amore e terrore. Voglio salvare la nostra famiglia, ma non so se avrò la forza. Marco non demorde, e ogni giorno la distanza tra noi cresce. Se non troviamo un compromesso, il nostro matrimonio, faticosamente ricucito, crollerà. Sono a un bivio, e ogni passo sembra portarmi verso l’abisso.

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