Indispensabile

10 aprile Milano, 17:32

Oggi ho rivissuto, nella mente, il primo incontro con Andrea. Era il suo primo giorno in azienda, si era presentato al reparto acquisti. Io, Ginevra, ero appena entrata nello sportello del personale per firmare un ordine di trasferimento. Lo ho scorto mentre attraversava il corridoio, un sorriso timido ma deciso. Che bel tipo, davvero autonomo, ho pensato, quasi senza accorgermene. Ho sentito il suo nome sussurrare tra le parole dei colleghi: acquisti ci incroceremo presto. È stato un piccolo colpo di fulmine, quello che in Italia chiamano colpo di fulmine.

Il giorno dopo lha incontrato di nuovo, questa volta nella sezione contabilità. Ha salutato il gruppo con cortesia, gli occhi si sono posati su di me per un attimo più lungo. Un brivido mi ha attraversato la schiena, un misto di eccitazione e timore. Guarda come ti fissa, mi sono sussurrata, mai vista una cosa del genere. Ho capito subito che Andrea era diverso da tutti gli altri corteggiatori che avevo conosciuto.

Ogni volta che mi guardava negli occhi, lo faceva con dolcezza, con attenzione, senza fretta. Risolveva i problemi con facilità, senza che gli chiedessero nulla, ma senza imporsi mai. Sapeva comparire al momento giusto, quasi fosse una presenza inevitabile. Quella combinazione di sicurezza e discrezione ha lasciato unimpronta indelebile nel mio cuore. Mi sono innamorata, senza più dubbi, di un uomo che sembrava uscito da un sogno.

Dopo qualche mese, abbiamo iniziato a convivere; sei mesi dopo, ci siamo sposati. Quando è nato il nostro piccolo Marco, un piccolo riflesso di Andrea, ho finalmente compreso cosa significhi essere felici. Di notte, mi aggrappavo a lui e sussurravo:
Non ti andrà più via, vero? Ti ho legato forte.
Non avevo più intenzione di andare da nessuna parte mi rispondeva, baciandomi sulla tempia.

Sapere dellexfiglia di Andrea, Dasha, dal suo primo matrimonio, mi era stato detto fin dal principio. Non chiedetti mai dettagli, ma una sera, quasi per caso, lui ha ammesso:
Non ho più contatti con lei. Quando Dasha aveva tre anni, la sua ex, Lena, non voleva che parlassimo. Ora è una ragazza adolescente… Meglio non scavare nel passato.
Ho annuito, offrendomi di aiutarlo se avesse voluto rintracciarla. Poi non ho più chiesto nulla. Andrea aveva ragione: ognuno ha il suo passato.

Un giorno è tornato a casa stranamente distante. Ha tolto la giacca, si è diretto in cucina, ha riempito un bicchiere dacqua e si è fermato a fissare il vuoto. Io, preoccupata, gli ho chiesto:
Andrea, che ti succede?
Con unespressione colpevole ha confessato:
Ho ritrovato Lena sui social, le ho scritto per chiedere come stesse la bambina. Dasha vuole parlare con me. Abbiamo scambiato qualche messaggio al telefono.
Il mio cuore ha subito subito un colpo. Ho provato a sorridere, a fare finta di essere contenta, ma dentro sentivo un peso che non riuscivo più a sopportare.

Da quel momento le telefonate sono diventate brevi, ma il tono di Andrea era sempre più dolce e riservato. Sentivo la sua voce sulla cucina, quel timbro vellutato che poco fa apparteneva solo a me. Poi sono comparsi i messaggi della ex, prima brevi, poi più frequenti. Le foto di una bambina che non conoscevo, i messaggi di Siamo qui, ti aspettiamo. Ho iniziato a controllare il suo telefono, a leggere, a immaginare il loro legame.

Un pomeriggio, passando accanto alla sua stanza, ho sentito il nome Lena. Da quel momento il mio inferno ha preso forma concreta. Ho odiato me stessa per quello che facevo, ma non riuscivo a fermarmi. Ogni suo sguardo al telefono mi sembrava un tradimento, ogni suo sorriso una menzogna. Mi sono trasformata in una spia nella mia stessa casa, perché lo amavo con una febbre che mi stava consumando.

Le discussioni sono aumentate, spesso per motivi futili, ma si sono trasformate in veri e propri roghi. Io gridavo che non mi ascoltava più, che il suo sguardo era diverso, che la sua presenza mi gravava. Nella mia testa girava il pensiero opprimente:
Se decidesse di tornare da loro, dove lo amano e lo attendono

Mi sono sentita tradita, poi di nuovo traditrice. Quando Andrea ha lasciato il cellulare sul tavolo e si è recato a fare la doccia al figlio, il telefono è vibrato: Lena. Ho sentito le mani tremare, il cuore accelerare, ma non ho aperto il messaggio. Ho temuto quello che avrei potuto leggere, come se fosse una condanna quotidiana.

La notte successiva, quando si è addormentato, ho ascoltato il suo respiro, regolare, familiare. Ho pensato che forse quella voce avrebbe presto sentito qualcunaltra. È stato un pensiero così pungente che ho alzato le spalle, mi sono seduta su una sedia della cucina e, per la prima volta, mi sono sentita sostituibile.

Andrea è venuto di corsa, ha notato le lacrime e mi ha chiesto con voce timida:
Dove devo andare?
Verso di loro, ho risposto senza guardarlo negli occhi Lì, con loro.
Un silenzio pesante è calato tra noi, più forte di qualsiasi risposta. Quella pausa è stata più assordante di un urlo.

Il giorno successivo non è tornato a casa. Non ha chiamato, non ha scritto. Il suo telefono era fuori zona. Sono rimasta nella cucina al buio, a immaginare mille scenari di una vita senza di lui. Il cuore si è trasformato in una lastra di ghiaccio. Ho acceso il portatile e, senza nemmeno accorgermene, ho scritto a Lena, una lettera disperata, una preghiera per la verità. Ho premuto Invia e ho sentito un misto di sollievo e vuoto. Il mio attesa è diventata una condanna.

Lattesa è durata tutto il giorno. Ho camminato per casa, toccato gli oggetti, nutrito meccanicamente Marco, ma dentro era solo lattesa. Quando finalmente è tornato, pallido, sfinito, ha detto a bassa voce:
Perché lhai fatto?
Ho chiesto cosa avesse fatto. Ha letto la mia lettera e ha cercato di spiegare che avevo frainteso. Poi ha annunciato, quasi senza rimorso, che Lena era morta quella notte. Mi ha raccontato che era malata da tempo, che non voleva più tormentarlo. Ha detto di voler trovare una famiglia per Dasha, ma senza coinvolgere me.

Il mio sangue si è gelato. Tutte le mie paure, la gelosia, i sospetti si sono dissolti in un attimo, ridotti a cenere. Ho sentito la sua voce, le lacrime negli occhi, e ho capito che, nonostante tutto, ero ancora qui, pronta a lottare per la nostra famiglia.

Ho alzato la voce, con una furia che non avevo più provato:
La sua figlia resta con noi! Non accetterò che vada altrove!
Andrea ha esitato, ha chiuso gli occhi e, quando li ha riaperti, il pianto gli scendeva lungo le guance. Ha sussurrato:
Ti credevo, sapevo che avresti detto così.
Mi sono gettata tra le sue braccia, ho poggiato la testa sul suo petto, e per la prima volta da molto tempo ho sentito che, forse, il futuro non sarebbe stato così spaventoso.

Oggi scrivo questo, non per dare la colpa a nessuno, ma per ricordare che anche nei momenti più bui, il cuore può trovare la forza di scegliere. Non ho più paura. Ho scelto.

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