Non Amata
Fin da piccola, Nina odiava il suo nome. Antiquato, da vecchia. Quando crebbe, la madre le raccontò che il padre, da giovane, si era invaghiatosi di una Nina bellissima e vivace. Lui era pazzo di lei, ma lei lo respinse e sposò un altro.
“Poi incontrò me. E quando sei nata tu, ti ha dato il suo nome. Non riuscì mai a dimenticare il suo primo amore,” spiegò la madre con calma.
“E tu non sei gelosa?”
“No. Lui ama te e me. Ma il primo amore non si scorda mai. Anche tu un giorno ne avrai uno così,” le disse accarezzandole i capelli.
“E questa Nina era brutta come me?” sbottò la ragazzina.
“Ma che sciocchezze dici! Ricordi la favola del brutto anatroccolo? E se proprio non ti piace il nome, potrai cambiarlo quando sarai grande. Che nome vorresti?” cercò di consolarla la madre.
Nina si mise davanti allo specchio e provò a pronunciare diversi nomi, come se fossero vestiti nuovi. Ma nessuno le calzava a dovere. Sospirò, rendendosi conto che un nome diverso non l’avrebbe resa più bella. Non è il nome a fare la bellezza. E poi, ormai ci si era abituata.
Ma Nina dubitava che qualcuno l’avrebbe mai amata come il padre aveva amato quell’altra Nina. Capelli spenti, occhi piccoli e stretti, mento aguzzo. Insomma, una brutta copia.
Il padre amava Nina quasi quanto amava il vino. Di ritorno dal lavoro, spesso si fermava in un’osteria economica a bersi un bicchiere. E dopo aver bevuto, diventava affettuoso. Portava sempre qualcosa a Nina: una tavoletta di cioccolato, delle caramelle, un giocattolo. Se non aveva tempo di comprare nulla, le dava qualche soldo. Nina li metteva da parte e si comprava ciò che desiderava.
Quando finì le scuole, il padre morì. Stava tornando a casa, e dei bambini giocavano vicino al fiume. La palla cadde in acqua, e lui si tuffò per recuperarla. Era ubriaco, e affogò.
La madre lo maledisse per averle lasciate sole. Come avrebbero fatto a vivere? Nina doveva studiare, ma con quali soldi? Che futuro poteva aspettarsi in un paesino così?
Nina pianse il padre a dirotto. Non voleva andarsene, ma la madre la costrinze.
“Che ci fai qui? Vattene, almeno troverai marito,” le disse con rammarico.
E Nina partì. Sognava di diventare dottoressa, ma come poteva? Dopo una scuola di paese, era difficile entrare all’università. Si iscrisse a un istituto infermieristico. Le piacevano molto i camici bianchi.
Nella stanza del dormitorio, la sua coinquilina era la bellissima Margherita. Dio l’aveva benedetta con una bellezza invidiabile: capelli ricci e scuri, occhi castani, pelle olivastra e labbra rosse. E un fisico da far girare la testa. Nina, goffa com’era, non poteva competere.
La guardava con invidia, mentre Margherita, al suo confronto, si sentiva una regina. Le due andavano d’accordo, almeno finché Margherita non conosciò uno studente delistituto tecnico.
Nina lo vide e perse la testa. Era difficile resistergli. A volte veniva a prendere Margherita al dormitorio, ma lei studiava sodo, voleva laurearsi con lode e iscriversi a medicina. Paolo sospirava, aspettando che finisse di leggere appunti o libri.
“Quanto ci metti?” chiedeva impaziente.
“Vai al cinema con Nina. Domani ho l’esame,” lo liquidava Margherita.
Nina sarebbe stata felice di sedersi accanto a Paolo al buio, tremante d’emozione, ma lui non la invitò mai. Aspettava, sospirava, e se ne andava.
“Perché lo tratti così? Se qualcuno mi aspettasse così, sarei al settimo cielo!” si arrabbiava Nina.
“Che te ne fai di lui? È chiaro che vuole solo passeggiare. Le ragazze gli si buttano addosso, e poi? InnEppure, quando in un giorno di sole tornò a casa e lo vide chino sulla pentola con la sua stessa espressione di tanti anni prima, Nina capì che forse, nonostante tutto, non aveva mai smesso di essere la sua unica vera Nina.