Ingorgo Inaspettato

Era un venerdì pomeriggio, e il traffico sull’autostrada A1 era bloccato in entrambe le direzioni. File di macchine immobili da almeno mezz’ora. I finestrini erano tutti alzati, i climatizzatori accesi a palla. Fuori, un caldo infernale—oltre i trenta gradi, proprio come aveva previsto il meteo alla radio.

L’aria tremolava sopra l’asfalto rovente, distorto dal sole e dal calore dei pneumatici. Dentro la sua Fiat, però, faceva fresco. Ma stare fermi, fissando quella scena immobile come un fotogramma, stava diventando insopportabile.

Ginevra stappò la bottiglietta d’acqua e bevve qualche sorso. Marco notò che ne era rimasto meno di un terzo. Lei continuava a bere senza offrirgliene. No, lui avrebbe rifiutato, e l’ultimo sorso gliel’avrebbe lasciato volentieri. Ma lei sembrava ignorarlo, come se lui non ci fosse nemmeno.

“Ma quanto dobbiamo ancora stare qui?” sbottò Ginevra, irritata.

Erano le sue prime parole da quando erano partiti dalla casa al mare. Il suo silenzio pesava più di un urlo. Avrebbe preferito che gridasse. Non litigavano mai, ma quando qualcosa non andava, Ginevra si chiudeva in un mutismo che poteva durare ore, se non giorni, lasciando intendere che la colpa era tutta sua. Marco si scusava, ascoltava le sue ramanzine, e poi facevano pace.

“Che aspetti? Fai qualcosa!” lo attaccò di nuovo Ginevra, come se la colpa del traffico sulla Tangenziale fosse sua.

Questa volta fu lui a tacere. Non sapeva cosa dire né cosa fare.

“E poi, perché siamo andati in quella stupida casa al mare? Tu ok, ma io? Per sedermi dall’altra parte del recinto mentre fai il papà dolce con tua figlia? Avrei fatto meglio a farmi un giro per negozi. O a prendere un gelato con Annabella.” Si soffiò il naso.

“Ecco, adesso mi si è chiuso. Mancava solo prendermi un raffreddore per colpa di questo climatizzatore,” si lamentò di nuovo.

Marco lo spense.

“Ma stai scherzando? Fra due minuti sarà un forno qui dentro. Vuoi che ci cuociamo o che moriamo soffocati?” s’indignò lei.

Marco non ricordava che parlasse così tanto. Lo sorprendeva, e lo metteva in allarme. Ma non disse nulla e riaccese il climatizzatore. Davanti a loro, un uomo camminava tra le file di macchine ferme. Poco prima di raggiungerli, salì su un’auto accanto.

“L’hai visto? È arrivato da davanti. Magari sa perché siamo bloccati,” ipotizzò Ginevra.

“Forse,” convenne Marco.

“Allora che fai lì? Vai a chiedere!” ordinò lei, senza nemmeno guardarlo.

“Che vuoi che mi dicano? La coda potrebbe essere lunga chilometri. Pensi che in mezz’ora sia andato fino all’inizio e tornato indietro? Ne dubito.” Marco la guardò e si sentì di nuovo in colpa.

“Dai, non possiamo stare qui per sempre. Prima o poi si sbloccherà. Tutti aspettano pazienti. È la Tangenziale, mica una stradina di campagna. Mezza Roma è ferma qui.” Tacque. Anche Ginevra stava zitta, fissando il vuoto.

“Va bene.” Marco scese dalla macchina.

Si voltò a guardare le file infinite di auto, identiche a quelle davanti. L’uomo era salito su una macchina rossa, gli parve. Bussò al finestrino, che si abbassò a metà.

“Scusi, è lei che è andato avanti? Sa perché siamo fermi?” chiese all’uomo al volante.

“Pare sia bloccata tutta la Tangenziale. Nessuno lo sa. Forse un incidente o un attentato.”

Niente di nuovo. Lo aveva già immaginato. Fuori, il caldo era insopportabile, come in una sauna. Mentre si chinava verso il finestrino, la camicia gli si incollò alla schiena sudata. Tornò in macchina. Alla radio non si parlava del traffico né del motivo dello stallo.

“Allora? Hai scoperto qualcosa?” chiese Ginevra impaziente.

“No, è tutto fermo più avanti. Forse è bloccata tutta l’autostarda. Qualcuno dice attentato.”

“Lo sapevo. Perché ti ho ascoltato e sono venuta con te?” gemette lei.

Marco era d’accordo. Non avrebbe dovuto insistere per portarla. Non sarebbe finito in questo traffico, sarebbe rimasto al mare con sua figlia, come lei voleva. Sarebbe ripartito alla sera, con il fresco. E la coda si sarebbe già sbloccata.

Eppure, tutto era iniziato così bene…

***

Marco fu svegliato dalla suoneria del telefono. Assonnato, rispose senza guardare lo schermo.

“Papà, vieni?” chiese la voce di Beatrice.

“Ciao. Ti sei dimenticato che oggi è il compleanno di tua figlia?” Questa era l’ex moglie. “Scommetto che non hai nemmeno comprato il regalo,” disse con tono accusatorio.

“No, non mi sono dimenticato, sto per partire,” mentì lui, aprendo gli occhi. Il sole era già alto. Scostò il telefono dall’orecchio e vide l’ora: le nove e mezza.

Del compleanno si era ricordato fino alla sera prima. Ma poi erano usciti con Ginevra e alcuni amici, si erano divertiti in un locale, e tutto gli era scappato di mente.

“Papà, non mi serve un regalo, vieni solo, mi manchi!” gridò Beatrice in sottofondo, poi la chiamata si interruppe. L’ex moglie aveva riattaccato.

Si erano sposati quasi tredici anni prima. E per dieci anni avevano litigato come cane e gatto, torturandosi a vicenda. Lui non era mai stato innamorato. Era solo un ragazzo che, dopo una festa in studentato, si era svegliato nel letto di una ragazza che a malapena ricordava.

Un mese dopo, lei lo aveva cercato all’università e gli aveva detto di essere incinta. “Be’, non è male,” aveva pensato Marco, e si era detto pronto a sposarla. I suoi genitori erano rimasti scioccati e avevano cercato di dissuaderlo. Sua madre dubitava che fosse davvero figlio suo e aveva insistito per un test prima del matrimonio.

L’aveva fatto, ma solo dopo la nascita di Beatrice. Era sua figlia, senza ombra di dubbio. Marco se n’era innamorato subito, appena l’aveva tenuta in braccio in ospedale. Non immaginava nemmeno che potesse succedere una cosa del genere. Per questo aveva sopportato le litigate con la moglie, la sua gelosia, le critiche. Avrebbe continuato a sopportare, se non avesse conosciuto Ginevra.

Altera, fredda, attraente come una dea greca, non urlava come la ex moglie. Restava in silenzio, e quello era il suo modo di punirlo. Era l’unico suo difetto. Girava per casa in shorts attillati e top, quasi a provocarlo. Marco si scusava anche quando non si sentiva in colpa.

A volte si chiedeva come avesse fatto a conquistare una donna così.

Dopo la chiamata di Beatrice, Ginevra gli chiese cosa fosse successo. Le disse di essersi dimenticato del compleanno di sua figlia, che doveva raggiungerla al mare, dove passavano l’estate con la madre.

“Vuoi andartene? Adesso? E io dovrei stare qui da sola tutto il giorno?” fece il broncio lei, alzandosi dal letto e dirigendosi nuda verso il bagno. La vista del suo corpo fece cortocircuitare il cervello di Marco, che la seguì.

“Vieni con me,” le disse speranzoso.E mentre rientrava in macchina, con il cuore finalmente leggero, capì che il destino a volte si nasconde nelle piccole cose, come una cagnolina che attraversa la strada.

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