Iniziare dall’inizio della nostra Avventura

Il silenzio era così opprimente che Matteo, alzandosi dal letto, non capì subito cosa lo avesse svegliato. Nessun allarme, nessun rumore di cucina, né il gocciolio dellacqua della doccia. Solo il ronzio monotono del frigorifero contro il muro e il lontano ruggito della trafficata Via Napoli fuori dalla finestra.

Giaceva immobile, ad ascoltare quellassenza di suoni. Solo ieri la casa era piena di vita: il cigolio del pavimento sotto i passi rapidi di Ginevra, il fruscio delle pagine del romanzo che leggeva sul divano, il fastidioso graffio delle unghie del gatto sul tessuto. Adesso il gatto era partito con lei, e il divano era vuoto e alieno.

Il primo impulso fu afferrare il cellulare e scrivere a qualcuno: «Ci troviamo al bar, è urgente!» Vorrebbe sfogare il dolore, lamarezza e la rabbia agli amici, raccontare che cosè Ginevra Ma si proibì di pensare a tutto ciò. Un impulso più basso lo spingeva a cercare una compagnia qualsiasi, anche solo per una notte, per riempire quel vuoto che si apriva accanto a lui. Un sentiero facile verso lautodistruzione, familiare e allettante.

Invece, Matteo si alzò, andò in cucina e accese il bollitore. Mentre lacqua ribolliva, i suoi occhi caddero su una mensola dellingresso dove giaceva ancora il suo morbido scialle di lana. «Unascia nella testa», ricordò una frase letta qualche settimana prima, nei momenti più disperati.

«Allora, amico, è ora di estrarre lascia», mormorò a se stesso.

Iniziò col piccolo. Raccolse tutti gli oggetti di Ginevra che non aveva portato via: lo scialle, il libro dimenticato, il flacone di inchiostro secco, la tazza con i gatti. Li mise in una scatola di cartone, non li lanciò né li spezzò come suggeriva il risentimento, ma li imballò con cura e li portò in cantina. Un giorno glieli riconsegnerà, senza scenate né recriminazioni. Poi lavò le lenzuola, lasciando evaporare il profumo dei suoi profumi. Cancellò le foto comuni dal telefono e svuotò il cestino. Ogni gesto era come rimuovere una vecchia benda sporca da una ferita. Doloroso, ma necessario.

Il passo successivo fu il tempo. Ne aveva così tanto che pesava sulle spalle come un macigno. Tempo che prima si consumava in cene insieme, uscite al cinema, chiacchiere inutili ma dolci. Ora doveva riempirlo, non con alcol né con pietà, ma con sé stesso.

Si iscrisse a una palestra. Le prime sessioni furono infernali. Si sforzò fino allo sfinimento, scaricando su tapis roulant tutta la rabbia, la delusione e il dolore. Gocce di sudore sul pavimento di gomma sembravano lacrime. Ma settimana dopo settimana il corpo divenne più forte e la mente più serena.

Si iscrisse anche a un corso di lingua italiana, quello che loro avevano sempre voluto fare ma non trovavano mai il tempo. Ora andava da solo. Costrutti grammaticali complessi spingevano fuori i pensieri ossessivi. Partì per la piccola città costiera di Sorrento, un luogo che Ginevra non aveva voluto visitare. Seduto sulla banchina al tramonto, sentì per la prima volta in mesi una leggera malinconia luminosa e un barlume di libertà.

Ci furono giorni duri. La notte, i ricordi lo svegliavano: la risata di Ginevra con la testa rivolta al cielo, o le discussioni su questioni insignificanti. Non li respinse; li lasciò fluire, come indicava larticolo, lasciando che londa li travolgesse e si ritirasse. A volte salì in auto, guidò fuori città, si arrampicò su una collina deserta e gridò a squarciagola, finché la voce si spezzò e, dentro di lui, regnò il silenzio tanto desiderato.

Un giorno, frugando tra vecchi documenti, trovò la foto del loro matrimonio. Si aspettava unondata di tristezza o rabbia. Invece, osservò due persone felici, ignare del futuro, e pensò: «Sì, è stato. È stato bello. È finito.»

Non provò più né odio né desiderio di tornare indietro. Solo una leggera nostalgia e la consapevolezza che quel capitolo era chiuso.

Quella sera si riunì con gli amici. Ridevano, raccontavano novità, organizzavano progetti. Matteo si accorse che per tutta la serata non aveva pensato a Ginevra. Era lì, nel presente, intero, con una cicatrice sullanima ma già in fase di guarigione.

Si guardò nello specchio di una vetrina di un bar: alto, calmo, lo sguardo limpido. Non lo vedeva da tempo, forse mai più.

Lascia era stata estratta. La ferita si era sigillata. E lui era pronto a proseguire, leggero, senza il peso del passato. La vita che aveva sempre sognato stava appena iniziando.

Allimprovviso, un odore acre lo colpì al naso. Matteo non capì subito cosa succedesse. Il mondo sembrava dissolversi in una foschia. Era sdraiato sul divano, avvolto da briciole e macchie di origine sconosciuta.

Tentò di alzarsi, ma il mondo si inclinò. La testa pulsava. Un brivido gelido lo pervase.

Non era più la casa luminosa dei suoi sogni, ma un baraccante. Bottiglie vuote di birra e vodka, come soldati caduti, ricoprivano il pavimento. Un posacenere colmo di mozziconi fumava sul tavolo. Vestiti sporchi giacevano ovunque, mentre sul televisore lampeggiava la sigla di un programma notturno.

Con fatica si trascinò verso il bagno, aggrappandosi alle piastrelle. La luce accecante gli trafisse gli occhi arrossati. Lo specchio gli mostrò un uomo sconosciuto: barba incolta, volto gonfio, occhi rossi di vergogna e vuoto. Era lui, Matteo, ma la versione più degradata.

Tutta la lucidità e la forza che aveva provato nel sogno svanirono, lasciando solo unamara sbornia e unulteriore sbornia dellanima.

Quel sogno era stato un trucco della mente per fuggire da una realtà insopportabile. Una fuga che sembrava durare uneternità, ma era solo una notte.

Toccò il suo viso nello specchio. La pelle era lucida, la barba graffiava le dita. Non era più luomo in forma, ma una figura smembrata che cercava di annegare il dolore in alcool a buon mercato e autoinganni.

Il silenzio dellappartamento lo assordò di nuovo, ma ora era il silenzio di un vicolo cieco, cupo e senza via duscita. Lunico suono era il ticchettio spietato dellorologio, che misurava il tempo sprecato.

Il sogno non guarì. Fu uno specchio che mostrò il suo vero volto, così disgustoso da voler chiudere gli occhi e scappare. Ma non cera più da dove fuggire.

Matteo rimase lì, scioccato, a guardare quelluomo trasandato in una maglietta sporca, il caos intorno. Un retrogusto sgradevole nella bocca, un vuoto bruciato nellanima. Il sogno era vivido, ma il risveglio era crudele.

Raccolse la prima bottiglia vuota che trovò e la lanciò con forza nel cestino. Il vetro si infranse con fragore. Ne lanciò altre due, poi tre, senza pianto né urla, solo con il volto di pietra, combattendo contro il disordine che aveva creato.

Raccolse tutta la spazzatura, portò fuori i sacchi pieni di bottiglie e frammenti, aprì la finestra, lasciando entrare laria fredda e fresca, lontana dal fetore di alcol. Preparò un caffè forte, le mani tremanti.

Tornò allo specchio. Lo sguardo era ancora stanco, ma in fondo agli occhi, come un debole raggio di luce in una pozzanghera sporca, brillava una scintilla. Non di speranza, ma di una furia bianca, gelida, rivolta a se stesso.

Prese il telefono, scorse i contatti e trovò il numero del suo vecchio compagno di classe, Luca, che un mese prima gli aveva offerto supporto psicologico. Lo aveva salvato senza chiamare. Ora, con voce rotta come una porta arrugginita, disse: «Luca? Ho bisogno del tuo aiuto».

Appese e inspirò profondamente. Il cammino onirico era stato un miraggio, ma aveva indicato la direzione. Matteo capì che per diventare la persona forte e limpida del sogno doveva attraversare quel fuoco, non in un sogno, ma nella vita reale.

Il suo primo passo non fu la palestra né il corso di italiano, ma la doccia. Lavare via lintera giornata di ieri, spazzare via quelluomo incolto con la faccia gonfia. E ricominciare. Dal principio. Domani.

Il vero inizio nasce dal coraggio di lasciar andare il passato e di affrontare la propria verità, perché solo così si può camminare leggeri verso il futuro.

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