— Daniela, ho una brutta notizia per te — disse Luca posando il cucchiaio sul piatto, abbassando lo sguardo. — Mamma sta davvero male. Ha ormai ottant’anni e non riesce più a cavarsela da sola. Ha bisogno di assistenza continua.
— Temevo questo… — sospirò Daniela asciugandosi le mani con lo strofinaccio. — Hai parlato con Marco? Dovremo cercare una badante, immagino. Non possiamo farcela da soli.
— Sì, ne abbiamo parlato. E abbiamo deciso: una badante costa troppo, e poi non ci fidiamo a far entrare degli estranei in casa. Sarebbe meglio se qualcuno di famiglia se ne occupasse.
— “Abbiamo deciso”? — Daniela si irrigidì. — Tu e tuo fratello avete già discusso senza di me?
— Esatto. E siamo arrivati alla conclusione che tu sei la scelta migliore. Mamma ti conosce, si fida di te. Con un estraneo non sarebbe così. E poi, sei a casa, potresti licenziarti e prenderti cura di lei.
Nel petto di Daniela tutto si strinse. Lavorava come contabile e le mancavano solo tre anni alla pensione. Lasciare il lavoro? Perdere gli anni di contributi?
— Luca, devo pensarci. Non sono di ferro. Anche la mia salute non è delle migliori. E poi… tu e Marco non mi avete nemmeno consultata. Mi avete messo davanti al fatto compiuto.
— Daniela, sai bene che mamma ci ha regalato questo appartamento. Ha fatto tutto per noi, ora tocca a noi dimostrarle gratitudine. Io e Marco ti aiuteremo, non sarai sola.
Lei sapeva che l’avrebbero aiutata solo quando faceva comodo a loro. E alla fine, tutto sarebbe ricaduto su di lei. Ma non obiettò. Chiese un mese di permesso al lavoro, “per assistere un familiare”, e pose una condizione precisa:
— Solo un mese. Poi ne riparliamo. Non mi impegno a tempo indeterminato.
— D’accordo. Intanto portiamo mamma qui da noi, sarà più pratico. Non possiamo fare avanti e indietro.
Il mattino dopo, Rosa, la madre di Luca, varcò la soglia del loro bilocale a Pisa. Era dimagrita, si muoveva a fatica. Portarono una sedia a rotelle, stesero una coperta, sistemarono le medicine, posero bacinelle, cuscini e altre coperte. Nella casa si diffuse un odore di candeggina e vecchiaia.
Luca iniziò subito a dare ordini:
— Mettile un cuscino sotto la schiena. La minestra è fredda, riscaldala. E controlla che prenda tutte le medicine — ora sei responsabile tu!
Daniela taceva e faceva tutto. Ma non aveva più quarant’anni. La schiena le doleva, la pressione ballava, le articolazioni scricchiolavano. E la suocera, quasi per dispetto, iniziò con piccole cattiverie: rovesciava il succo, nascondeva le pastiglie, si lamentava del rumore.
Dopo qualche giorno arrivò Marco con sua moglie, Giovanna. Senza nemmeno togliersi i giubbotti, si guardarono in giro come in un museo. Commentarono ad alta voce: “Qui mamma non respira”, “Qui c’è corrente”. Daniela restò in un angolo, invisibile.
— Mamma, come stai qui? Daniela non ti maltratta, vero? — chiese Marco.
— Figlio mio, chi vorrà mai prendersi cura di una vecchia? — si lamentò Rosa. — Mi guarda come se fossi un peso. Né polpette, né attenzioni. Fa tutto controvoglia…
Daniela non trattenne più la rabbia.
— Le polpette le farò domani. Oggi c’è minestra e cotoletta. Perché tanta fame tutto insieme?
— Daniela — intervenne subito Giovanna — come fai a non cucinare ogni giorno? È una persona anziana! Dovresti nutrirla come un bambino. O è troppo difficile per te?
— Giovanna, io cucino, lavo, pulisco, faccio tutto… Perché non provi tu, e poi ne riparliamo? Quando toccherà a voi, fate come credete.
— Io ho un lavoro! Non posso. E… non so nemmeno come si fa! — si agitò Giovanna, la sua aria di superiorità svanita.
Se ne andarono esattamente come erano arrivati — senza offrire aiuto.
E Luca, nonostante le promesse, si defilava sempre di più:
— Dai, Daniela, sei una donna. Farcela. Io sono stanco dal lavoro. E poi, è tradizione che siano le nuore a occuparsi delle suocere. Nessuno si è mai lamentato.
Daniela taceva. Contava i giorni per tornare al lavoro.
Dopo tre settimane, Luca tornò con una “novità”:
— Io e Marco abbiamo deciso. Mamma ti lascerà l’appartamento nel testamento. Tu ti licenzi e ti occupi di lei per sempre. Sarebbe giusto.
— Cosa?! — Daniela impallidì. — Davvero credi che scambierò la mia vita per quei metri quadri? Non voglio un appartamento a caro prezzo della mia salute! Non voglio anni di servitù in cambio di un’eredità!
— Pensa a nostro figlio! Potremmo vendere la casa, dividerci i soldi, e anche Matteo avrebbe qualcosa.
— Fra dieci anni? O quindici? E io? Dovrei cancellarmi?
Luca tacque. Aveva un’aria offesa.
— Non mi interessa della casa, Luca. Voglio vivere. Tornare a lavorare, bere il caffè al mattino, leggere libri, non correre con le bacinelle. Tu hai un fratello — almeno una volta assumetevi la responsabilità. O assumete una badante!
— I soldi! È sempre una questione di soldi! E il tuo stipendio è una miseria! Sarebbe meglio restare a casa!
— No! La mia decisione è definitiva! — Daniela lo fissò negli occhi. — Fate come vi pare. Io non mi occuperò più di Rosa.
Una settimana dopo, Daniela fece le valigie. Senza clamore. Affittò una stanza in un appartamento condiviso. Suo figlio, Matteo, la sostenne: le promise aiuti economici, chiamate, visite.
Luca capì presto che sua madre aveva bisogno di assistenza. Trovò una badante in fretta. Qualificata, con i documenti in regola.
E Daniela, dopo anni, si sentì finalmente libera. Non in colpa. Non obbligata. Solo una donna. Che, alla fine, aveva scelto se stessa.