Kostik sedeva in sedia a rotelle, osservando attraverso i vetri impolverati la vita che scorreva fuori.

Ciao, ti racconto un po della vita di Luca, sai, quel ragazzo che ora sta in sedia a rotelle nella stanza del reparto di ortopedia di Bologna. Stava lì, guardando fuori da una finestra impolverata, ma la vista dava solo sul cortile interno dellospedale, con quelle panchine e le fioriere un po trascurate, quasi deserte. Era inverno, quasi nessuno usciva a passeggiare, e Luca era solo. Una settimana prima il suo compagno di stanza, Giulio Timoschi, era stato dimesso, e da allora la solitudine lo ha avvolto. Giulio era un vero chiacchierone, sempre allegro, con mille storie da raccontare come se fosse sul palco: studiava recitazione al terzo anno e non mancava mai di animare la stanza. Ogni giorno sua madre gli portava dolci freschi, frutta e qualche leccornia, che condivideva generosamente con Luca. Con Giulio il reparto aveva un po di calore domestico, ora lui si sente inutile e molto solo.

Le sue riflessioni tristi le ha interrotte linfermiera. Guardandola, Luca si è rattristato ancora di più: non era la giovane e simpatica Dasha, ma la perennemente accigliata Ludovica Arcadi, che sembra sempre insoddisfatta. In due mesi di ricovero non lha mai vista sorridere; la voce è ruvida, il tono secco, quasi come la sua espressione. Allora, Cavallino, al letto! ha urlato, già con la siringa pronta. Luca ha sospirato, ha girato la sedia e si è avvicinato al letto; Lud

Ludovica lo ha aiutato a sdraiarsi, lo ha fatto girare a pancia in giù e, con un gesto rapido, gli ha ordinato di togliere i pantaloni. Lui ha obbedito, ma non ha sentito nulla: liniezione è stata perfetta, e a ogni puntura lui, in silenzio, la ringraziava. Quante anni avrà? si chiedeva, osservandola mentre cercava la vena sul suo braccio minuto. Sarà quasi pensionata, la pensione è poca, deve lavorare, ecco perché è così dura. Ha infilato lago sottile nella vena pallida, facendolo solo accigliarsi un po. Poi, senza preavviso, ha chiesto se il dottore fosse passato. Non ancora, forse più tardi, ha risposto Luca. Aspetta, e non stare al finestrino, altrimenti ti entrerà il freddo come una trota, ha congedato Ludovica, uscendo.

Luca è orfano. I genitori sono morti in un incendio quando aveva quattro anni; la madre, disperata, lo ha lanciato fuori da una finestra verso un cumulo di neve, salvandolo appena in tempo, prima che il tetto crollasse sul resto della famiglia. È finito in un istituto, e anche se cerano parenti, nessuno ha voluto prenderlo. Dalla madre ha ereditato un carattere dolce, sognatore, e quegli occhi verdi luminosi; dal padre laltezza, il passo largo e la passione per la matematica. Ricorda a tratti, come spezzoni di un film, una festa di paese con una bandiera colorata, o il vento caldo dellestate sulla sua pelle, e un gatto rosso chiamato Micio o Baffo. Lalbum di famiglia è andato in fumo nellincendio, e non ha più nulla di suo. Nessuno lo visita in ospedale, così quando ha compiuto diciotto anni lo Stato gli ha assegnato una stanza ampia al quarto piano di un dormitorio. Gli piace vivere da solo, anche se a volte la malinconia lo assale, soprattutto quando vede bambini con i genitori nei parchi, nei supermercati o per strada, e gli tornano in mente pensieri tristi.

Dopo la scuola voleva entrare alluniversità, ma non gli bastavano i voti, così ha dovuto iscriversi a un istituto tecnico. Gli piaceva il corso, ma i compagni non lo hanno accettato: è timido, riservato, preferisce libri, riviste scientifiche e i videogiochi alle chiacchiere di gruppo. Con le ragazze è la stessa storia: la sua modestia non le attrae, e sembra più giovane di sedici anni, perciò è diventato il cervo bianco del gruppo, ma non sembra curarsene. Due mesi fa, di corsa per non arrivare tardi alle lezioni, è scivolato sul ghiaccio di un sottopasso e si è rotto entrambe le gambe. Le fratture sono state dure da guarire, ma negli ultimi giorni sembrano migliorare. Sperava di essere dimesso presto, ma la sua casa non ha ascensore né rampe, così dovrà restare in sedia a rotelle per molto tempo.

Nel pomeriggio, dopo pranzo, è entrato il dottor Romano Abramo, traumatologo. Ha controllato le radiografie, ha detto che le fratture stanno finalmente consolidandosi e che tra un paio di settimane potrà alzarsi con le stampelle. Non cè più senso stare qui, passerà a cure ambulatoriali, in unora le daranno la dimissione. Qualcuno ti aspetterà? ha chiesto. Luca ha annuito in silenzio. Perfetto, chiamo Ludovica, ti aiuterà a mettere via le cose. Stammi bene, Costante, e cerca di non tornare più qui, ha aggiunto il dottore con un sorriso. Luca ha risposto con un Cercherò. Il medico è uscito, ma i pensieri di Luca si sono agitati: cosa fare ora? Proprio allora è rientrata Ludovica, con un sacco sotto il letto. Che aspetti, Costante? Ti dimettono, prendi la valigia, la signora Pina verrà a cambiare le lenzuola, ha detto, gettandogli il bagaglio. Luca ha infilato le poche cose rimaste nella borsa e ha notato lo sguardo attento dellinfermiera. Perché hai mentito al dottore? ha chiesto, inclinando leggermente la testa. Di che cosa? ha replicato Luca, sorpreso. Non fare il finto tonto, Costante. So che nessuno verrà a prenderti. Come tornerai a casa? Ce la farò, in qualche modo, ha borbottato. Ti serviranno ancora almeno quindici giorni prima di camminare da solo. Come farai? Me ne occuperò, non sono più un bambino. Improvvisamente, Ludovica si è seduta sul letto, lo ha guardato dritto negli occhi e ha iniziato: Guarda, non è che è affar mio, ma con quelle ferite ti servirà aiuto, non ce la fai da solo. Non ti preoccupare, dico sul serio. Luca ha contestato: Ce la farò da solo. Non lo farai. Sono al quarto anno di medicina, non mi serve il diploma per dirti la verità, ha risposto, infastidita. Allora perché me lo dici? Perché potresti rimanere a casa mia. Vivo fuori città, ma la porta è a due gradini, ho una stanza libera. Quando ti rialzerai, tornerai da me. Vivo sola, il marito è morto da tempo, i figli non ci sono Luca è rimasto a fissarla, scioccato. Che cosa? Non è comodo, lo so, ma? ha incalzato Ludovica. Basta stare lì, Costante, è scomodo vivere in casa senza ascensore con la sedia a rotelle, ha replicato con il suo tono brusco, quindi, vieni da me? Luca ha esitato. Da un lato, andare a vivere con una sconosciuta sembrava strano, dallaltro sapeva che non sarebbe stato presto in grado di camminare e che, in realtà, Ludovica non era così estranea. Aveva iniziato a capire che, per tutti quei mesi, lei gli aveva dato consigli sulla dieta, gli aveva chiesto di chiudere la finestra, gli aveva ricordato di mangiare lo yogurt con il calcio, le sue parole suonavano come quelle di una madre premurosa. Sono daccordo, ha detto infine, ma non ho soldi, la borsa di studio non arriva ancora. Ludovica, con le braccia incrociate, lo ha guardato perplessa, poi ha alzato la voce: Costante, sei serio? Pensi che ti invito a casa mia per i soldi? Mi dispiace per te, è tutto. Luca ha tentato di spiegare, ma si è interrotto: Scusa, non volevo offenderti. Non mi offendi, ha risposto, andiamo in sala di degenza, ti sistemiamo lì finché il mio turno finisce, poi partiamo.

Ludovica viveva in una casetta piccola, con finestre strette e persiane intagliate. Dentro cerano due camere accoglienti; una di queste è diventata la stanza di Luca. Allinizio era molto timido, usciva poco e cercava di non disturbare la padrona con le sue richieste. Lei, notando il suo comportamento, gli ha detto senza mezzi termini: Smettila di essere timido, chiedi quello che ti serve, il tè non è un ospite. In realtà, Luca ha iniziato ad apprezzare quel posto: la neve che cadeva fuori dalle piccole finestre, il crepitio del fuoco nel camino, lodore di cibo casalingo tutto gli ricordava casa sua e uninfanzia felice, lontana ma viva nella memoria. I giorni passavano, la sedia a rotelle è stata sostituita dalle stampelle, ed è arrivato il momento di tornare in città. Dopo una visita in ambulatorio, Luca, ancora zoppicante, camminava accanto a Ludovica, raccontandole i piani per i prossimi giorni: Devo fare esami, verifiche, ho perso tanto tempo, è un incubo. Non voglio più restare al tecnico. Allora prenditi il tempo, gli ha consigliato Ludovica, il tuo istituto non sparirà. Inizia a camminare adesso, il medico ti ha detto di ridurre il carico sulle gambe! Le settimane successive li hanno avvicinati molto, e Luca ha cominciato a sentirsi legato a quella donna così buona e familiare. Era diventata, per lui, una seconda madre, ma non aveva il coraggio di ammetterlo né a lei né a sé stesso.

Il giorno dopo Luca ha cercato di sistemare le sue cose. Mentre cercava il caricatore del telefono, ha alzato lo sguardo e ha visto Ludovica sulla soglia della sua stanza, in lacrime. Spinto da un impulso sconosciuto, è andato a stringerla forte. Rimani, Costantino? ha sussurrato tra i singhiozzi, non so come fare senza di te Così è rimasto. Anni dopo, Ludovica era seduta al tavolo della festa di matrimonio di Luca, accanto alla sposa, come una mamma onoraria. Un anno dopo, ha tenuto in braccio la sua prima nipotina, nata dal figlio di Luca, e lha chiamata Ludovica, in suo onore.

Ti ho raccontato tutto, spero ti sia piaciuta la storia. Un abbraccio!

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