La bambina che nessuno riusciva a far parlare… finché non arrivò lei

**Diario Personale**

Mia madre, Lucia, era malata da molto tempo. Ogni giorno era una battaglia per lei, ma anche nei momenti più difficili trovava la forza di sostenermi. Quella mattina, appoggiata sui cuscini, con un sorriso tremulo e le mani che tremavano, mi indicò il viso e sussurrò:
Figlia mia, ho sempre sognato che tu trovassi un lavoro. Ce la farai, ne sono certa.

Catalina sospirò, fissando la finestra.
Mamma, ho visto un annuncio: cercano una donna delle pulizie per una grande villa. Che ne dici se provo?

Lucia annuì, e nei suoi occhi brillò una speranza:
Prova, tesoro. Forse potrebbe cambiare le nostre vite.

Quelle parole furono un segno per me. Mi preparai e mi diressi verso la villa, un edificio antico con colonne bianche e finestre imponenti. Il cuore mi batteva forte mentre varcavo la soglia. Il padrone di casa, un uomo giovane di nome Matteo, mi osservò attentamente, mi fece qualche domanda semplice e incredibilmente, mi assunse.

Non credevo alle mie orecchie. “Mamma aveva ragione,” pensai. “È destino.”

Il primo giorno di lavoro, mentre pulivo il secondo piano, sentii un fruscio provenire da una stanza. Aprii la porta e rimasi senza fiato.
Nellarmadio cera un bambino. Piccolo, forse sette o otto anni. I suoi grandi occhi erano pieni di diffidenza, e le labbra serrate.

Ciao, piccolo, come ti chiami? chiesi dolcemente.

Nessuna risposta. Solo un respiro leggero e uno sguardo tremante.

Non sapevo cosa pensare. Quando scesi in cucina, trovai Matteo seduto al tavolo.

Scusi, iniziai timidamente, ma perché suo figlio è chiuso nellarmadio?

Matteo alzò gli occhi. La sua voce si fece bassa e distante:
Non ci faccia caso. È così da tre anni. Non dice una parola. Sta lì dentro e esce solo per necessità.

Sentii il cuore stringersi.
Tre anni? Ma perché?

Dopo lincidente, rispose piano. Abbiamo perso sua madre. Da allora si è chiuso in se stesso. Medici, psicologi, psichiatri nessuno è riuscito ad aiutarlo.

Abbassai lo sguardo. Qualcosa dentro di me si spezzò. “Devo aiutarlo,” pensai.

Da quel giorno, ogni volta che entravo nella sua stanza, parlavo. Non mi aspettavo risposteparlavo semplicemente:
Buongiorno, sole! Oggi è una giornata meravigliosa.
Sai, la vita è bella, anche quando è dura.
Hai gli occhi più sinceri che abbia mai visto.

Gli raccontavo dei fiori, di mia madre, della mia infanzia. Lui stava lì ad ascoltare. Ma un giorno, quando lo salutai come al solito, uscì dallarmadio. Lentamente. Esitante. E mi porse un pettine.

Vuoi che ti pettini? chiesi, e quando annuì appena, sorrisi tra le lacrime.

Diventò il nostro piccolo rituale. Ogni mattina, il bambino si sedeva sulla sedia e io gli pettinavo i capelli, canticchiando una canzone che mia madre mi cantava da piccola.

Un giorno, Matteo si fermò davanti alla porta. Sentì delle voci soffuse. Sbirciò dentro e rimase senza parole: suo figlio era seduto davanti allo specchio, permettendomi di toccargli i capelli, e un sorriso leggero gli sfiorava il viso.

Come mormorò. Lei ha fatto ciò che nessun medico è riuscito a fare.

La mattina dopo, mentre faceva colazione, Matteo assistette a un miracolo.
Suo figlio, in pigiama e a piedi nudi, entrò in cucina. Si fermò, fissandolo.
Ciao, papà, disse.

Silenzio. Poi un grido di gioia che scosse la casa. Matteo corse da lui, cadde in ginocchio e lo abbracciò.
Dio hai parlato! singhiozzò, incapace di trattenere le lacrime.

Io rimasi sulla soglia, con un sorriso dolce e sincero.

Matteo si alzò, si avvicinò e mi disse:
Catalina, grazie. Ha fatto limpossibile. Da quando mia moglie è morta, mio figlio viveva nel silenzio nelloscurità. Lei gli ha ridato la voce. Mi ha ridato un figlio.

Fece una pausa, poi aggiunse:
Voglio ricompensarla. Chieda pure ciò che desidera.

Abbassai gli occhi.
Ho solo una richiesta. Mia madre è molto malata. Ha bisogno di cure che non possiamo permetterci.

Consideri la cosa fatta, rispose deciso.

Quel giorno stessa, mia madre fu ricoverata nella migliore clinica del paese. I medici fecero tutto il possibile. Un mese dopo, era già in piedi vicino alla finestra, sorridendomi mentre le tenevo la mano.

Non hai cambiato solo la tua vita, figlia mia, mi disse. Hai cambiato il destino di qualcun altro.

Sorrisi.
No, mamma. Ho solo detto a quel bambino ciò che tu dicevi sempre a me: non arrenderti, anche quando è difficile.

Passarono alcune settimane. Il bambino ora correva nel giardino, giocava e rideva. E Matteo, a volte, si fermava a guardarcilui e me. Per la prima volta dopo tanti anni, sentiva che la casa era di nuovo viva.

Perché a volte, per sciogliere il silenzio, non servono medicine. Basta un cuore che sa ascoltare.

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