La bambina che nessuno riusciva a far parlare… fino al suo arrivo

Una bambina che nessuno riusciva a far parlare finché non arrivò lei

La madre di Ginevra era malata da tempo. Ogni giorno era una battaglia, ma anche nei momenti più difficili trovava la forza per sostenere la figlia. Quella mattina, sdraiata sui cuscini, con un sorriso e le mani tremanti, indicò il volto della figlia e sussurrò:
Figlia mia, ho sempre sognato che tu trovassi un lavoro. Ce la farai, ne sono certa.

Ginevra sospirò guardando fuori dalla finestra.
Mamma, ho visto un annuncio: cercano una donna delle pulizie per una grande villa. Potrei provare?

La donna annuì, e nei suoi occhi brillò una speranza:
Prova, cara. Forse sarà la svolta che cambierà la nostra vita.

Quelle parole furono per Ginevra un segno. Si preparò e si recò alla villa, un edificio antico con colonne bianchissime e finestre imponenti. Il cuore le batteva forte quando varcò la soglia. Il padrone, un uomo giovane di nome Lorenzo, la osservò con attenzione, le fece qualche domanda semplice e improvvisamente la assunse.

Ginevra non credeva alle proprie orecchie. *”Mamma aveva ragione,”* pensò. *”È un segno.”*

Il primo giorno di lavoro, mentre puliva il secondo piano, Ginevra udì un fruscio nella stanza. Aprì la porta e rimase immobile.
Nellarmadio cera un bambino. Piccolo, di sette o otto anni. I suoi grandi occhi la fissavano con diffidenza, le labbra serrate.

Ciao, piccolo, come ti chiami? chiese dolcemente.

Nessuna risposta. Solo un respiro leggero e uno sguardo tremante.

Ginevra non sapeva cosa pensare. Scese in cucina, dove Lorenzo era seduto al tavolo.

Scusi, iniziò timidamente, ma perché suo figlio è nellarmadio?

Lorenzo alzò lo sguardo. La sua voce si fece bassa e distante:
Non ci faccia caso. È così. Da tre anni non parla. Sta solo lì dentro. Esce solo per necessità.

Ginevra sentì il cuore stringersi.
Tre anni? Ma perché?

Dopo lincidente, rispose piano. Abbiamo perso sua madre. Da allora si è chiuso in se stesso. Medici, psicologi, psichiatri nessuno è riuscito ad aiutarlo.

Ginevra abbassò lo sguardo. Qualcosa le si serrò dentro. *”Devo aiutarlo,”* decise.

Da quel giorno, ogni volta che entrava nella stanza del bambino, Ginevra parlava. Non aspettava risposte, semplicemente parlava:
Ciao, tesoro! Oggi è una bella giornata.
La vita è bella, anche quando è dura, lo sai?
Hai gli occhi più sinceri che abbia mai visto.

Gli raccontava dei fiori, della mamma, della sua infanzia. E il bambino ascoltava, immobile. Ma un giorno, quando lo salutò come al solito, lui uscì dallarmadio. Lentamente. Esitante. E le porse un pettine.

Vuoi che ti pettini? chiese Ginevra, e quando lui annuì appena, sorrise tra le lacrime.

Da allora divenne il loro piccolo rituale. Ogni mattina il bambino si sedeva sulla sedia e Ginevra gli pettinava i capelli, canticchiando una canzone che sua madre le cantava da piccola.

Un giorno, Lorenzo si fermò davanti alla porta. Dallinterno sentì voci sommesse. Spiò e rimase senza fiato: suo figlio era seduto davanti allo specchio, lasciando che Ginevra gli toccasse i capelli, e sul suo volto cera un lieve sorriso.

Come sussurrò. Ha fatto ciò che nessun medico è riuscito a fare.

La mattina dopo, a colazione, Lorenzo vide un miracolo.
Suo figlio, in pigiama e scalzo, entrò in cucina. Si fermò, fissando il padre.
Ciao, papà, disse.

Silenzio. Poi un grido di gioia che scosse la casa. Lorenzo corse, si inginocchiò e lo strinse tra le braccia.
Dio hai parlato! sussurrò, le lacrime che gli rigavano il volto.

Ginevra era in piedi sulla soglia, un sorriso dolce e sincero sul volto.

Lorenzo si alzò, le si avvicinò e disse:
Ginevra, grazie. Ha fatto limpossibile. Da quando mia moglie è morta, lui viveva nel silenzio nelloscurità. Lei gli ha ridato la voce. Mi ha ridato mio figlio.

Tacque un attimo, poi aggiunse:
Voglio ricompensarla. Chieda pure qualsiasi cosa.

La ragazza abbassò gli occhi.
Ho una sola richiesta. Mia madre è molto malata. Ha bisogno di cure che non possiamo permetterci.

Consideri che è già fatto, rispose Lorenzo con fermezza.

Quello stesso giorno, la madre di Ginevra fu ricoverata nella migliore clinica del paese. I medici fecero tutto il possibile. Un mese dopo, era già in piedi accanto alla finestra, sorridendo alla figlia che le stringeva la mano.

Hai cambiato non solo la tua vita, figlia mia, disse. Hai cambiato il destino di qualcun altro.

Ginevra sorrise.
No, mamma. Ho solo detto a quel bambino ciò che tu dicevi a me: non arrenderti, anche quando è difficile.

Passarono settimane. Il bambino ora correva nel giardino, giocava, rideva. E Lorenzo a volte si fermava a guardarli, lui e Ginevra. Per la prima volta da anni, sentiva che la casa era di nuovo viva.

Perché a volte, per sciogliere il silenzio, non servono medicine. Basta un cuore che sappia ascoltare.

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