La Canzone Che Non È Mai Arrivata In Radio

**LA CANZONE CHE NON PASSÒ IN RADIO**

Quando Caterina oltrepassò per la prima volta la soglia della radio comunitaria, aveva uno zaino sfilacciato, un quaderno pieno di fogli piegati e sgualciti, e un sogno che sembrava pesarle più di tutti gli anni vissuti fino a quel momento. Aveva diciassette anni, ma la sua voce portava con sé la stanchezza e la forza di tante donne venute prima di lei, donne che avevano amato, lavorato, pianto e riso in silenzio, senza che nessuno le ascoltasse davvero.

Voglio registrare una canzone disse con fermezza, posando lo zaino a terra e lasciando che le spalle si rilassassero dopo giorni trascorsi a portare addosso dolore e speranza.

Il presentatore, un uomo anziano con i baffi folti e brizzolati, la guardò scettico. Il suo ufficio era pieno di carte, manifesti ingialliti e una radio antica che ronzava sempre in sottofondo.

Qui non è uno studio professionale, ragazza disse. Facciamo solo programmi sociali, notizie locali e qualche intervista di quartiere.

Non importa rispose lei con una voce sottile ma decisa. Non cerco la fama. Voglio solo che mi ascoltino nel mio paese.

Caterina viveva in un borgo rurale dove le donne non cantavano in pubblico. Lì, le canzoni parlavano di amori impossibili o dolori senza nome, ma quando una ragazza provava a cantare, nessuno la udiva. Non perché non volessero, ma perché la tradizione imponeva silenzio. Sua madre era morta giovane e suo padre non era mai tornato dal Nord; era cresciuta tra la radio a galena del nonno e i canti degli uccelli sulle colline. Lì aveva imparato a dare una melodia alla tristezza e parole al silenzio. Le sue dita sapevano scrivere prima di tutto il resto, e la sua voce era uno strumento che nessuno aveva mai ascoltato fino ad allora.

Di cosa parla la tua canzone? chiese il presentatore, ora più curioso che scettico.

Di una donna che non grida ma non tace rispose lei, abbassando lo sguardo come se stesse confessando un segreto profondo.

Luomo la portò in un angolo dove registravano gli annunci locali. Le sistemò il microfono con attenzione e le fece un cenno per iniziare. Caterina chiuse gli occhi e, per la prima volta davanti a un microfono, cantò con tutto il cuore.

Cantò per le bambine che non avevano finito la scuola, per le madri che si alzavano allalba con le mani rovinate dal lavoro, per le nonne che sapevano curare con le erbe ma non sapevano leggere un libro, per sua sorella minore che già cominciava a domandarsi perché i maschi avessero più diritti delle femmine.

La canzone non aveva ritornelli orecchiabili né basi moderne, né la produzione che va di moda nelle radio commerciali. Ma aveva verità. E quella verità, come lacqua che scava la roccia, si insinuò senza permesso in ogni angolo, toccando chi lascoltava.

Il presentatore rimase in silenzio a lungo dopo che ebbe finito, stupito dalla forza uscita da una ragazza così piccola e fragile.

Non posso metterla su internet disse infine, ma domani mattina alle otto posso trasmetterla in radio.

Caterina sorrise, sentendo il cuore un po più leggero.

Mi basta rispose, e per la prima volta da tanto tempo, sentì che la sua voce aveva trovato una casa.

La mattina dopo, tra i vigneti, nelle case dai tetti di tegole, nei mercati con le bancarelle di legno, si sentì la sua voce. Nessuno sapeva chi fosse, ma la sentivano loro. Come se parlasse da dentro, risvegliando ricordi ed emozioni che credevano sopiti. Una donna che vendeva pane si asciugò le lacrime mentre impastava; un ragazzo che lavava motorini si fermò con lo straccio in mano, incantato; un anziano maestro copiò il testo sul suo taccuino, come chi riceve un messaggio segreto dalla vita.

Alcuni uomini si lamentarono:

E adesso pure le ragazzine fanno prediche cantate?

Ma nessuno poté zittire ciò che era stato detto con lanima. La canzone di Caterina non arrivò su Spotify, non ebbe un videoclip, non vinse premi. Ma cambiò conversazioni, aprì strade, seminò domande e gesti di solidarietà.

La radio la trasmise una terza volta e qualcuno di un altro paese chiamò per chiedere:

Qui cè unaltra ragazza che canta. Può venire anche lei?

E così, poco a poco, senza luci né applausi, nacque un coro invisibile. Un esercito di voci dolci, di ragazze che finalmente sentivano di poter cantare, non per fama, non per competizione, ma per dignità e per il bisogno di essere ascoltate.

Caterina cominciò a ricevere lettere e disegni: fiori colorati coi pastelli, frasi scritte goffamente ma con sincerità, pezzi di carta pieni di sogni. Ogni lettera le ricordava che la sua voce aveva superato barriere che neppure lei immaginava.

Il presentatore, che allinizio la guardava con scetticismo, diventò il suo alleato. Ogni volta che Caterina entrava, lui spegneva la radio, lascoltava attentamente e la guidava per affinare la tecnica, non per la fama, ma per lemozione e la chiarezza del messaggio.

Con gli anni, quelle ragazze di altri paesi cominciarono a organizzare piccoli raduni, cantando insieme nelle piazze e nei cortili delle scuole, ripetendo la canzone di Caterina e inventando nuovi testi ispirati alle loro vite. I canti si mescolavano a risate e lacrime, alla forza di chi per generazioni era stato zittito.

Il paese cominciò a cambiare, lentamente. Si parlava di più di uguaglianza, di giustizia, di istruzione. Le bambine non tacevano più; le madri si sentivano libere di cantare alle feste, al mercato, in piazza. Le nonne insegnavano a leggere con orgoglio, e i bambini imparavano ad ascoltare, a dare valore a ogni voce.

Caterina continuò a comporre e cantare, ma ora aveva un coro dietro di sé, invisibile allinizio, ma sempre più numeroso. Quello che era cominciato come una canzone che non passava in radio, diventò un movimento silenzioso, senza un nome ufficiale, ma potente e reale.

Anni dopo, quando Caterina superò i trentanni, tornò alla radio. Il presentatore era invecchiato, ma era ancora lì.

Non avrei mai creduto che la tua canzone avrebbe cambiato tanto disse commosso. Ora ci sono voci ovunque. Bambine, donne, nonne tutte cantano e si ascoltano.

Caterina sorrise. Guardò il microfono usato decenni prima e pensò a tutte le vite che aveva toccato. La sua canzone non aveva avuto bisogno dei social, delle telecamere o degli applausi. Le erano bastati un cuore pronto ad ascoltare e un altro pronto a cantare.

Perché a volte, ciò che non passa in radio è quello che abbiamo più bisogno di sentire.

E in ogni angolo del paese, in ogni bancarella del mercato, in ogni scuola e vigneto, la canzone era ancora viva. I bambini crescevano ascoltandola e la ricordavano nei momenti di gioia o tristezza. Le donne la cantavano mentre cucinavano, lavoravano nei campi o cucivano vestiti per le loro famiglie. E quando qualcuno di nuovo arrivava in paese, gli dicevano:

Ascolta questa è la canzone che ci ricorda chi siamo.

Una canzone che non ebbe mai bisogno di passare in radio per essere ascoltata

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