Casa ai margini del borgo
Arrivarono al casolare al tramonto, quando il cielo già si tingeva di un azzurro pallido ma non era ancora tutta notte. Lauto sbuffò, si spense e il silenzio divenne opprimente. Solo il vento trascinava tra il cortile le foglie secche, frusciando tra lerba alta.
Che bel posto disse Alessandro, estrando dallo sportello del bagagliaio lo zaino. Un vero resort per chi ha la psiche di ferro.
Per chi ha più di quarantanni e non può permettersi una vera località balneare aggiunse Giulia, stringendo gli occhi sul casale. Guarda un po te.
Il casale sembrava storto, anche se, osservandolo da vicino, le pareti erano perfettamente allineate. Il tetto era ricoperto qua e là di muschio, una finestrella del sottotetto era chiusa con dei chiodi, una delle finestre al piano terra non aveva vetro e un tempo era stata tappata con del sacchetto di plastica, ora incrinato e sventolante al vento.
Che nostalgia! esclamò Luca, sbattendo la portiera dellauto. Ti ricordi quando, a scuola, correvamo qui? Di giorno avevamo paura di avvicinarci, di sera sembrava che qualcuno fosse a guardare dalla finestra.
Tu avevi paura ribatté Alessandra, sistemandosi la sciarpa. Io non sono mai entrata qui. Mia madre mi rimandava a casa prima ancora che facesse buio.
Alessandro sorrise. Aveva quarantadue anni, la schiena faceva male per il viaggio, le orecchie ronzavano, e ricordava quando, da bambini, potevano arrivare a piedi da unestremità del paese, ridere, portare ovunque semi di girasole e una bibita economica, senza che nessuno gli ruggisse sulla schiena.
Allora, sbatté le mani, facciamo il tour delle proprietà. Chi è il nostro sensitivo di turno?
Tu disse Giulia. Lhai tu a organizzare questa gita.
E fu davvero lui a idearla. Quando nella chat di gruppo comparve lidea di fuggi un weekend fuori città, Alessandro lanciò per scherzo una foto di un vecchio casale con la didascalia: Andiamo a vedere i fantasmi. La foto era presa da un gruppo di abitanti del borgo che discutevano del casale abbandonato da anni. Lo scherzo piacque a tutti, e poi, inaspettatamente, si rivelò lunica proposta concreta: le case vacanza costavano una fortuna, le seconde case erano già occupate, e un lontano parente di Luca, tramite una filiazione di terzo livello, aveva detto che il casale era legalmente senza proprietario, vuoto e che nessuno si sarebbe opposto a una notte di campeggio.
Si avvicinarono alla porta; laria era impregnata di umidità e di legno vecchio. Non cerano chiavi, il lucchetto era rotto da tempo. Alessandro spinse la porta con la spalla, la vecchia serratura gemeva, e un cumulo di trucioli di legno cadde fuori.
Oh cielo mormorò Alessandra. È come infilarsi nella vita di qualcun altro.
Dentro regnava un fresco pungente, odore di legno marcito, polvere, intonaco scrostato. Alessandro aspirò a fondo, sentendo la gola attorcigliarsi. Il pavimento scricchiolava sotto i piedi, ma reggeva ancora. Nella hall penzolava una giacca logora, sotto cerano chiavi arrugginite e un paio di scarpe di diverse misure.
Ecco latmosfera commentò Luca.
Varcarono nella grande stanza. Le pareti erano screpolate, in alcuni punti ancora coperte da carta da parati a motivi floreali, ormai sbiadita. In un angolo cera un divano con il materasso affondato, ricoperto da una coperta grigia impolverata. Vicino cera un tavolo con fogli ingialliti e arricciati.
Giulia si avvicinò alla finestra e toccò il davanzale. Il legno era ruvido, la vernice sfogliata.
Se ci ammaliamo tutti qui, ti ammazzo disse a Alessandro con il suo solito sarcasmo.
Ho il kit di pronto soccorso rispose lui. E, per inciso, non siamo in tenda.
Cercava di parlare con leggerezza, ma il casale sembrava premere sul suo cuore. Non era nulla di straordinario: un vecchio edificio abbandonato, di quanti ce ne sono in Italia! Ma perché era al confine della loro infanzia, sembrava più personale.
Si sistemarono. Luca e Alessandra portarono sacchi a pelo e materassi gonfiabili, Giulia tirò fuori piatti di plastica, un thermos di minestrone e panini con formaggio. Alessandro controllò le prese elettriche e, con sollievo, trovò una che funzionava. Accese il caricatore; la lampadina al soffitto si accese di un tenue giallo.
Oh, la civiltà! esclamò Alessandra.
Mentre mangiavano attorno al tavolo, la conversazione scivolò su lavoro, figli, mutui, notizie. Le risate erano un po più potenti del necessario, quasi a voler sovrastare il cigolio dei muri.
Allora, chi ha vissuto qui? chiese Giulia, mordicchiando il panino. Io ricordo solo che mi avvertivano di un maniaco.
Non era un maniaco rispose Luca. Un uomo solo. La moglie era morta, il figlio sparì e lui impazzì da solo.
È una storia ufficiale o uninvenzione? domandò Alessandro.
Me lo raccontò mio padre: Non entrate, il proprietario è cattivo, morde tutti. Poi dissero che lo trovarono Luca si contorse, ricordando. O forse si è ucciso. In ogni caso, una storia brutta.
Alessandra abbassò lo sguardo; il lutto la colpiva sempre. Alessandro sapeva che la madre di Alessandra era recentemente scomparsa, e il funerale era stato difficile. Si erano scambiati messaggi, e lei si aggrappava a ogni piccolo dettaglio per non crollare.
Bene, propose Alessandro, dichiariamo ufficialmente il nostro festival dellorrore. Dopo cena, esploriamo il casale. Troviamo soffitto, cantina, stanza con scritte rosse. Chi urla per primo lava i piatti.
Giulia sbuffò.
Naturalmente, inventi una scusa.
Finito di mangiare, presero le torce e si avventurarono. Alessandro aprì per primo, ma il corridoio era più buio; la lampada non arrivava. Le pareti, con vernice scrostata, riflettevano i loro riflessi deformati; lo specchio storto mostrava sagome contorte. Sul pavimento un tappeto logoro, a tratti strappato.
Qui potremmo girare un film sussurrò Alessandra.
Già lo stiamo girando replicò Luca, alzando il cellulare.
Le stanze erano quasi identiche: armadi vuoti, pareti spoglie, giornali vecchi sparsi, piatti rotti. In una stanza su una parete pendeva un calendario sbiadito con il mare, risalente a quasi venti anni fa.
Immaginate, disse Alessandro, ogni giorno guardava quel mare e non andò via.
Giulia lo osservò.
Come noi, commentò.
Alessandro scrollò le spalle. Una volta sognò di lasciare il paese, poi la città, poi lItalia, ma finì per restare nella sede provinciale, a contare i soldi di altri. A volte sembrava la sua vita un calendario vecchio che nessuno gira.
Il soffitto lo trovarono solo dopo un po. La scala era nascosta dietro una porta stretta. I gradini scricchiolavano, ma reggevano. In alto il buio era denso, laria impregnata di polvere e umidità stantia.
Attenti, avvertì Alessandro, se qualcosa crolla non è colpa mia.
Il sottotetto era basso, con tetto inclinato. Tra le travi pendevano ragnatele. Lunghe pareti stipate di scatole, vecchie valigie, tavole di legno.
Qui cè un cimitero di cose commentò Luca. Cè pure carta.
Giulia prese una scatola vicina.
Ci sono libri, quaderni disse. E quaderni.
Alessandro illuminò con la torcia. Dentro cerano libri logori, quaderni scolastici, un grosso quaderno a quadretti legato con spago.
Ooh, abbiamo trovato un tesoro esclamò.
Prese il quaderno, lo slegò dal nastro; sulla copertina una penna a sfera aveva scritto: Diario. 1998. La calligrafia era irregolare, quasi infantile, ma le lettere erano grandi.
Bene, disse Alessandra, adesso parte lo spettacolo.
Che hai paura? È solo un quaderno rispose Alessandro, sentendo comunque un nodo nello stomaco.
Scesero dal sottotetto nella grande stanza, seduti intorno al tavolo. La lampada gialla gettava un cerchio di luce, mentre lesterno era avvolto nelloscurità e il vento colpiva una tavola non fissata.
Alessandro aprì il quaderno. Sulla prima pagina cera il nome: Sergio. Il cognome era sfocato dallumidità.
Allora, leggi invitò Luca.
Alessandro, con voce un po rauca, lesse ad alta voce:
«10 marzo. Oggi ho litigato di nuovo con papà. Mi ha detto che sono un fannullone e che non arriverò a nulla. Gli ho risposto che partirò da casa quando compirò diciotto anni. Ha riso. Ha detto che allora non avrei avuto dove andare. Non so più cosa fare. A volte mi sembra di essere intrappolato qui per sempre.»
Il silenzio calò nella stanza, persino il vento sembrò fermarsi un attimo.
Accidenti, commentò Luca. Direttamente dagli anni novanta.
Prosegui, sussurrò Alessandra.
Alessandro girò pagina. La calligrafia era più confusa, le parole si mescolavano, come se lautore scrivesse senza staccare la penna.
«15 marzo. Mamma ha pianto di nuovo stanotte. Lho sentita attraverso il muro. Volevo entrare, ma non lho fatto. Dopo dirà che tutto sta bene, ma io lo so. Papà è tornato ubriaco, ha urlato, ha lanciato cose. Oggi ha rotto una tazza contro il muro. I frammenti sono ancora sul pavimento.»
Giulia rabbrividì. Alessandra strinse il bordo del tavolo con le dita; anche lei aveva un padre che tornava a casa ubriaco e urlava. Non ne parlava spesso, ma a volte le sue parole trapelavano.
Basta, disse Giulia. Non siamo qui per una terapia di gruppo.
Aspetta, intervenne Alessandra. Un po di più.
Alessandro era combattuto tra la curiosità e un senso di colpa, come se stesse leggendo le carte intime di un altro. Ma il quaderno lo incitava a proseguire.
Continuò a leggere: il diario narrava della scuola, dei sogni di diventare programmatore, di un padre che ridacchiava sullidea che tutti nella famiglia lavorassero alla fabbrica, di una madre silenziosa che piangeva di notte, di un fratellino malato in ospedale e di un padre che colpevolizzava lintera famiglia per la sventura.
È tutta la nostra storia esclamò Luca. Non letteralmente, ma…
Alessandro annuì. Ognuno dei presenti aveva vissuto un capitolo simile: genitori che trasmettono i loro rancori, figli che sognano di fuggire, ma che restano.
Il vento sul tetto si fece più forte. Una porta sbatté da qualche parte nel corridoio. Alessandra sobbalzò, poi rise nervosamente.
È il casale che parla, scherzò Luca. Non gli piace che leggiamo i suoi segreti.
Che divertente, borbottò Giulia.
Alessandro girò unaltra pagina, più scura, con una calligrafia più grande, quasi disperata.
«24 aprile. Oggi i medici hanno detto che il fratello non starà meglio. Mamma è rimasta in bagno per venti minuti senza uscire. Papà ha detto che è tutta colpa mia. Se non fossi nato, le cose sarebbero diverse. So che non è vero, ma è doloroso.»
Il nodo allo stomaco di Alessandro si stringeva. Smise di leggere ad alta voce, accarezzò le righe con le dita, sentendo leco di colpe che non gli appartenevano.
Che cè? chiese Alessandra. Continua.
Non cè molto, rispose Alessandro. Solo cose normali.
Dammelo, disse Giulia, allungando la mano verso il quaderno.
Lui esitò; voleva tenere quelle parole per sé, ma alla fine passò il quaderno a Giulia.
Lei lo sfogliò, a volte aggrottando la fronte. Alessandra guardava sopra la sua spalla. Luca girava nella stanza, poi tornò al corridoio e riapparve.
Cè ancora il letto in una delle camere, disse. Con il materasso. Immagino sia spaventoso pensare a chi vi ha dormito.
Giulia chiuse bruscamente il quaderno.
Finito per oggi dichiarò. Niente di più.
Cosaltro? chiese Luca.
Niente. Solo esitò, poi posò il quaderno sul tavolo. La parte dellospedale, dei funerali. Non voglio ora.
Alessandra si alzò, tirò fuori una sedia.
Vado a far scaldare lacqua per il tè disse. Ho freddo.
Nella cucina, se così la si può chiamare, trovò delle piastrelle vecchie che sorprendentemente funzionavano. Portarono acqua, Alessandra preparò il tè, facendo frusciare i sacchetti. Alessandro osservava le sue spalle tremare leggermente.
Come stai? chiese.
Bene, rispose lei. Solo è tutto così familiare. È come leggere la propria vita con nomi diversi.
Alessandro ricordò quando suo padre, furioso, aveva lanciato un porta accendini contro il muro e lui aveva raccolto i frammenti, pensando che, se avesse studiato di più, nulla sarebbe accaduto.
Bevetero, risero un po di cose leggere, ma il casale sembrava averli catturati nella sua storia, e non era facile scrollarsela di dosso.
Facciamo una seduta spiritica stasera, per sentire cosa dice Sergio, propose Luca, tornando nella stanza grande. Vediamo se ci risponde.
Sei matto, disse Giulia. Non crediamo ai fantasmi.
Allora cosa cè? chiese Luca. Solo un vecchio casale? Perché mi sento a disagio?
Perché sei sensibile, rispose Alessandra. E perché leggiamo il diario di un altro.
Alessandro rimase in silenzio, pensando al suo stesso diario, scritto al liceo, poi alluniversità, poi messo da parte quando si sposò, quando nacque suo figlio, quandoAlla fine, Alessandro chiuse il quaderno, guardò i suoi amici e, con una punta di ironia ma tanto affetto, disse: Forse il vero fantasma è il tempo che ci ha portato qui, e lo portiamo tutti noi dentro di noi.





