La Casa Dove Dimora l’Autunno

La casa dove aleggia l’autunno

Quando Beatrice ha saputo che sua madre era morta, non ha pianto. Ha solo spento il telefono, infilato i guanti e si è seduta sulle scale tra il terzo e il quarto piano, dove la lampadina tremolava come un cuore stanco e i muri erano segnati da numeri sconosciuti e frammenti di parole. Nessuno saliva, nessuno scendeva. Solo il suo respiro, spezzato e affannoso, e il ronrone occasionale delle tubature rompevano il silenzio. L’aria si era fatta densa, quasi appiccicosa, come se il mondo si fosse fermato per un attimo, schiacciandola contro il freddo cemento e sussurrandole: “Ricorda questo momento, è più importante di tutto”.

Non si parlavano da cinque anni. Dopo quella notte d’inverno, quando sua madre, con in mano il terzo bicchiere di vino, l’aveva guardata con uno sguardo spento e le aveva detto: “Scegli sempre le persone sbagliate”. Non era un rimprovero, piuttosto un’esalazione dopo un lungo silenzio. Beatrice aveva scelto se stessa, per la prima volta. Se n’era andata. Aveva affittato una stanza in un’altra città. Aveva ricominciato tutto da capo. Niente litigi, niente urla, solo un legame spezzato. Il silenzio era diventato il loro compagno, pesante come una vecchia coperta che non puoi buttare via ma nemmeno usare. Aveva riempito tutto: le feste, i giorni di malattia, i compleanni dimenticati.

A chiamare l’agenzia funeraria era stata una vicina. La sua voce era stanca, quasi estranea: “Diceva che saresti venuta, comunque”. Nell’intonazione c’era compassione, mescolata a un dolce rimprovero, come uno sguardo che non puoi evitare. Come se sapesse più di quanto dicesse e avesse visto tutto ciò che era accaduto dietro quelle mura.

La casa l’ha accolta con un silenzio freddo, dove sembrava nascondersi un’ombra. La porta si è aperta con uno scricchiolio, come se sua madre la tenesse ancora dall’altra parte, non con rabbia, ma con una speranza silenziosa o un rimprovero. Nell’ingresso c’era odore di autunno: mele, erba secca, qualcosa di indecifrabilmente familiare. L’odore era vivo, ma intriso di vuoto, come l’eco di un calore scomparso. Tutto era al suo posto: la tazza della sua infanzia con un bordo scheggiato, la pila ordinata di riviste, la coperta sul divano, sistemata con la stessa precisione di vent’anni prima. Solo la polvere copriva tutto con uno strato uniforme, come neve, testimone di giorni in cui nessuno viveva più, ma tutto ancora aspettava.

In camera da letto, Beatrice ha trovato una scatola con scritto: “Da conservare”. Semplice, di cartone, un po’ deformata dall’umidità. Dentro c’erano lettere. Non da lei, ma per lei. Mai inviate. Legate con uno spago, scritte con la grafia precisa e un po’ tremolante di sua madre. Sua madre scriveva ogni mese. Su pezzi di carta, vecchie cartoline, moduli con timbri sbiaditi. Parlava di sé. Della casa. Di quanto le mancasse. Del dolore alle ginocchia. Del ciliegio in fiore vicino al recinto. A volte scriveva della sua rabbia, del suo non capire, del suo non riuscire a perdonare. Altre volte della paura che Beatrice non sarebbe tornata mai più, che tutto ciò che restava era quella scatola. Le lettere erano come un dialogo con il vuoto, una conversazione che sua madre aveva tenuto da sola. Beatrice leggeva, e con ogni riga le sue mani tremavano sempre di più. In quelle parole c’era tutto ciò che non si erano dette. Tutto ciò che forse non poteva più essere sistemato. Ma esisteva.

È rimasta nella casa per quattro giorni. Non per necessità, ma per un bisogno interiore di completare ciò che era rimasto incompiuto. Ha sistemato la legna nel ripostamento, vecchia e umida ma ancora buona. Ha tappato le fessure delle finestre, che scricchiolavano ma resistevano. Ha trovato nella dispensa la ricetta della marmellata di sua madre, di mele con una manciata di menta, e l’ha preparata in una pentola sbiadita con margherite dipinte sul bordo. La marmellata borbottava, riempiendo la cucina di un profumo denso e caldo che era più di un semplice odore, era memoria.

Ha sistemato i vestiti. Strano come i tessuti conservino il calore di chi non c’è più. Tovaglie stirate, asciugamani piegati con cura, tovaglioli con ricami. Ogni tocco era come un passo indietro, nell’infanzia. I vicini portavano chiavi, documenti, vecchie lettere. RimanRimanevano in silenzio, come se sapessero che in quella casa risuonava ancora una voce che non c’era più.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

1 × 4 =

La Casa Dove Dimora l’Autunno