„La casa dove non siamo più i benvenuti: come mia madre ha trasformato la nostra abitazione in un campo di battaglia”

**La casa dove non siamo più i benvenuti: come mia madre ha trasformato la nostra casa in un campo di battaglia**

Stavo lavorando in ufficio quando il telefono ha squillato. Sullo schermo, il nome di mia moglie. Mi sono stupitonon era solita chiamarmi a metà giornata.

Ciao, Giulia. Che succede? Sono un po occupato, dissi, distogliendo lo sguardo dal computer.

È successo, rispose con una voce spezzata dal pianto. Ci hanno cacciati. Non abbiamo più un posto dove vivere!

Cosa?! Saltai in piedi. E lappartamento? Cè un incendio? Una rapina?

Lappartamento è a posto solo che non possiamo più restarci, sussurrò Giulia.

Come non possiamo? Chi può impedirci di vivere nella nostra stessa casa?!

Chi tua madre! scoppiò a dire, e nel suo tono cera tuttodolore, rabbia, disperazione.

Anni fa, io e Giulia ci eravamo trasferiti a Milano con le bambine. La maggiore aveva sette anni, la più piccola cinque. Avevamo iniziato con un affitto, lavorando senza sosta. Poi, la fortuna ci aveva sorriso: il padre di Giulia aveva ricevuto inaspettatamente un appartamento da un parente lontano.

Restateci voi, ci aveva detto il vecchio. Sono in pensione, le tasse non mi pesano, lappartamento resta a nome mio, ma non vi disturberemo.

Avevamo fatto lavori di ristrutturazione, comprato mobili nuovi. Ci eravamo sistemati. Ormai lo consideravamo già nostroanche se, ufficialmente, non lo era. Ma Giulia continuava a sentire un vuoto nello stomaco.

Abbiamo investito tutto qui eppure non siamo nei documenti, diceva a suo marito.

Non preoccuparti. Teresa è con i nonni, noi siamo qui. Chi ci caccia? Non siamo estranei.

Ma era successo di peggioeravamo stati cacciati. E non da estranei, ma dai nostri stessi familiari.

Il punto di svolta era stato il compleanno di mio padre. Eravamo andati, avevamo festeggiato. Il giorno dopo, mia madre aveva detto:

Abbiamo deciso: nostro nipote, Luca, verrà a stare da voi. Si è iscritto alluniversità, in dormitorio è troppo stretto. Da voi cè spazio. E poi, aveva aggiunto, lappartamento è comunque nostro, decidiamo noi chi ci vive.

Giulia aveva trattenuto a stento le parole. Ma io avevo solo annuito:

Nessun problema. Abbiamo spazio.

Aveva avuto voglia di urlare, ma si era controllata. Non era il momento. Ma qualcosa in lei si era rotto.

Luca si era trasferitocome un padrone. Mangiava sul divano, bestemmiava, non rispettava niente. Rovinava tutto ciò che toccava. E poi erano arrivati i genitori di mio padre. Per vedere il nipote. E aveva avuto inizio.

Luca ha le scarpe sporche! rimproverava mia madre. Perché non hai lavato la giacca?! Dove sono i dolci?!

Comandava come un generale. Aveva cucinato, lavato, pulito. Poi, senza mezzi termini:

Non capisco come mio figlio possa stare con una come te! Meglio che te ne vai. Lascia lappartamento.

Dove devo andare? Le bambine hanno le loro famiglie, laffitto è caro

Non è un problema mio. Su, raccogli le tue cose.

Quando Giulia si era rifiutata, mia madre aveva detto:

Glielo spiegherò io a tuo marito. Firm

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