LA CASA SULL’ALBERO

**LA CASA SULL’ALBERO**

Il vecchio noce era storto, ma resisteva ancora in mezzo al cortile della scuola rurale di Monteverde. Nessuno ricordava quando era stato piantato, ma tutti concordavano che era “più vecchio del preside”.

Gianni, il custode, se ne prendeva cura come fosse un nonno di legno. Ogni autunno raccoglieva le foglie con pazienza, e in primavera controllava che i rami non nascondessero chiodi arrugginiti di altalene dimenticate o assi marciti.

—Quest’albero ha visto più ricreazioni di tutti noi messi insieme — diceva spesso.

Un giorno, nella prima settimana di scuola, arrivò Beatrice, una bambina di nove anni appena trasferita in paese. Parlava poco e restava sempre in un angolo del cortile, disegnando da sola sul suo quaderno. Gianni se ne accorse.

—Non giochi con gli altri? — le chiese.

—Non mi conoscono — rispose senza alzare lo sguardo —. E non so se voglio farmi conoscere.

Gianni non insistette, ma quella stessa sera cominciò a lavorare a qualcosa. Usò assi vecchie, corde e attrezzi prestati. Ogni giorno, dopo che i bambini se ne andavano, saliva sul noce e aggiungeva un nuovo dettaglio: una ringhiera, una finestrella, un piccolo sgabello.

Dopo una settimana, aveva costruito una casetta sull’albero, nascosta tra i rami più bassi.

Quando Beatrice arrivò una mattina, Gianni la chiamò:

—Voglio mostrarti una cosa.

Lei lo seguì con un po’ di diffidenza. Alla vista della porticina di legno incastonata tra i rami, rimase senza parole.

—È per te… se vuoi — disse lui —. Qui puoi disegnare, leggere, o semplicemente pensare. Nessuno salirà senza il tuo permesso.

Beatrice entrò, posò il quaderno sullo sgabello e guardò dalla finestra rotonda. Da lì, il mondo sembrava diverso: più piccolo, più sicuro.

Poco a poco, cominciò a invitare altri bambini. Prima una compagna che le aveva prestato un pastello. Poi un bambino che le insegnò a fare aeroplanini di carta. La casetta sull’albero divenne un piccolo rifugio di amicizia.

Un giorno, un temporale si abbatté su Monteverde con violenza. I rami del noce si agitavano come volessero strapparsi via. Gianni, preoccupato, corse nel cortile per assicurarsi che la casetta resistesse.

Beatrice apparve fradicia.

—Sta bene? — chiese, quasi urlando nel vento.

—Credo di sì, ma è meglio non salire.

Quando il temporale passò, la casetta era ancora lì, anche se una parte del tetto si era rotta. Gianni tirò un sospiro di sollievo, ma prima che potesse ripararla, i bambini della scuola si organizzarono. Ognuno portò qualcosa: cartoni, stoffe, colori, corde. Insieme, ricostruirono il rifugio.

Sulla parete, dipinsero una frase che Beatrice scrisse con mano ferma:

**“Qui c’è sempre posto per uno in più.”**

Con gli anni, la casetta sull’albero vide passare molte generazioni. Gianni invecchiò, e Beatrice crebbe, partì per la città e divenne architetto.

Dieci anni dopo, tornò a Monteverde per visitare la nonna. Passò dalla scuola e vide che il noce era ancora lì, con la casetta intatta, anche se un po’ più consumata.

Trovò Gianni seduto su una panchina.

—Sapevo che saresti tornata — disse sorridendo.

—Sono venuta a ringraziarti — rispose lei —. Credo che qui sia stata la prima volta in cui mi sono sentita a casa.

Gianni la guardò con orgoglio.

—Non era la casetta, Beatrice. Eri tu. Avevi solo bisogno di un posto per ricordartelo.

Quel giorno, Beatrice promise che, ovunque fosse andata, avrebbe sempre creato spazi dove le persone potessero sentirsi al sicuro.

Perché la casetta sull’albero non era solo legno e chiodi: era la prova che, a volte, un piccolo gesto può cambiare un’intera vita.

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