**Cena finita in divorzio**
“Ma sei completamente fuori di testa?!” Tamara scagliò il tovagliolo sul tavolo facendo oscillare il bicchiere di vino quasi fino a rovesciarlo. “Invitar*la* qui? A casa nostra!”
“Tamara, calmati.” Niccolò si aggiustò nervosamente la cravatta. “Non è successo nulla di grave. Una normale riunione di lavoro.”
“Di lavoro?!?” La voce di Tamara si alzò di un’ottava. “Alle dieci di sera? Con bottiglia di prosecco e candele accese?”
“Stavamo discutendo del nuovo progetto…”
“Che progetto, Nicco? Che progetto con… quella… con quella *Chiara*?”
Niccolò distolse lo sguardo. Sul tavolo restavano ancora i piatti della cena – aveva preparato con tanta cura un risotto ai funghi, voleva farle cosa gradita. E ora tutto andato in fumo per una stupida telefonata.
Tamara si alzò e iniziò a camminare nervosamente per la cucina. Quarantatré anni, ma sembrava più giovane. Snella, curata, sempre attenta al suo aspetto. Niccolò spesso diceva agli amici di essere fortunato con la moglie.
“Ascoltami bene,” si fermò di fronte a lui, mani sui fianchi. “Non sono un’idiota, anche se tu mi consideri tale. Quella ragazza ti chiama ogni giorno, rientri tardi dal lavoro, arrivi a casa profumato del *suo* profumo.”
“Tamà, stai esagerando…”
“Esagerando?” Estrasse il cellulare dalla tasca. “E questo cos’è? Quindici chiamate perse da *lei*, solo oggi!”
Niccolò impallidì. Aveva dimenticato che Tamara vedeva tutte le notifiche del suo telefono tramite l’account familiare condiviso.
“Era per lavoro…”
“Per lavoro!” Tamara rise amaramente. “Il sabato, la domenica, a mezzanotte! Che lavoro così urgente?”
Niccolò tacque, girando una forchetta tra le dita. Ventidue anni di matrimonio, e non l’aveva mai vista in quello stato. Anche quando avevano avuto difficoltà economiche, quando era stata male sua madre, Tamara era sempre rimasta dignitosa. Ora era sull’orlo di una crisi.
“Nicco,” la sua voce diventò più bassa, ma intrisa di dolore, “vedo benissimo cosa succede. Ti sei innamorato di lei.”
“No,” scosse la testa, ma suonò poco convincente persino a se stesso.
“Non mentirmi! Non mentire a te stesso! Ti conosco da ventidue anni, pensi che non mi accorga? T’illumi quando suona *lei*. Ti brillano gli occhi quando esci per l’ufficio. E quando torni a casa…”
Tamara non finì la frase, ma Niccolò capì. Quando tornava, diventava cupo, irritabile. Casa gli sembrava noiosa, rispetto all’ufficio dove lavorava Chiara.
“Tamà, parliamo con calma,” implorò.
“Di cosa? Del fatto che sei cambiato? Che hai smesso di vedermi? Che da un mese non parliamo più veramente?”
Niccolò guardò sua moglie con attenzione. Davvero, quando si era interessato l’ultima volta alle sue cose? Le aveva chiesto come era andata la giornata? Tutti i suoi pensieri erano per Chiara.
“È più giovane?” chiese pianissimo Tamara.
“Cosa c’entra?”
“Quanti anni ha, Nicco?”
“Ventotto.”
Tamara annuì, come se le sue peggiori paure fossero confermate.
“Capisco. Io invece ho quarantatré anni. Sono diventata vecchia per te.”
“i sciocchezze.”
“Sciocchezze?” Si alzò e si avvicinò allo specchio nell’ingresso. “Guardami, Nicco. Guarda queste rughette vicino agli occhi, questi capelli bianchi che mi tingo ogni mese. Lei invece è giovane, bella, niente figli, niente problemi.”
“Non ne abbiamo figli nemmeno noi,” ricordò Niccolò.
“No,” concordò Tamara. “Ed è colpa mia. Non te li ho saputi dare.”
“Tamà, non…”
“Sì! Finalmente bisogna dirlo! Mi sento in colpa da quindici anni. Ogni volta che vedo dei bambini, penso: chissà se Nicco me ne fa una colpa? Chissà se vuole andarsene con una donna che possa darglieli?”
Niccolò si alzò per abbracciarla, ma lei indietreggiò.
“Non mi toccare. Rispondimi con onestà: l’ami?”
Scese il silenzio. Niccolò fissò il pavimento, Tamara aspettò la risposta. In cucina ticchettava il vecchio orologio a muro comprato al terzo anno di convivenza.
“Non lo so,” disse finalmente.
“Non lo sai o hai paura di ammetterlo?”
“Tamà, è complicato…”
“Per me non lo è,” sedette di fronte a lui, mani giunte in grembo. “O ami me, o ami lei. Non esistono vie di mezzo.”
Niccolò si sedette accanto a lei. Aveva la testa confusa. Da una parte la moglie, con cui aveva vissuto i suoi anni migliori. Che l’aveva sostenuto in tutto, creduto in lui quando aveva avviato l’attività. Dall’altra Chiara, comparsa nella sua vita sei mesi prima sconvolgendola completamente.
“E cosa provi quando è accanto a te?” continuò il supplizio Tamara. “Cosa succede?”
“Mi… mi sento giovane,” ammise. “Come se avessi di nuovo venticinque anni.”
“E con me?”
“Con te mi sento un marito.”
“E questo è brutto?”
“No, non brutto. Ma… noioso.”
Tamara annuì, come avesse ottenuto la risposta alla domanda fondamentale.
“Quindi sono diventata un peso.”
“Non un peso. Sei una bravissima moglie, Tamà. La migliore.”
“Ma non quella amata.”
Niccolò tacque. Cosa poteva dire? Che amava sua moglie, ma in modo diverso? Che la rispettava, la stimava, ma il cuore gli batteva più forte alle chiamate di Chiara?
“Sai,” Tamara si alzò iniziando a sparecchiare, “ti capisco. Davvero. Abbiamo vissuto tanti anni insieme, la routine ci ha logorato, non c’è più romanticismo. E poi arriva lei, giovane, bella…”
“Tamà, non parlarti così.”
“E come dovrei?” si voltò verso di lui. “Vedo cosa succede. Ti vesti diversamente, ti sei iscritto in palestra, ti sei fatto un taglio nuovo. Tutto per lei.”
Era vero. Niccolò era cambiato da quando Chiara era entrata
La porta della sua vecchia vita si chiuse definitivamente alle spalle, mentre accelerava verso un futuro senza le radici che avevano nutrito il suo passato.