La chiamò serva miserabile e se ne andò con un’altra. Ma quando tornò, ebbe una sorpresa inaspettata.

La chiamò una serva miserabile e se ne andò da un’altra. Ma quando tornò, ebbe una sorpresa inaspettata.

Lo sapeva bene, Caterina, perché la nonna e la mamma glielo ripetevano sempre: “In questa famiglia, le donne non hanno mai fortuna in amore.” La bisnonna era rimasta vedova a ventidue anni, la nonna aveva perso il marito in fabbrica, e la mamma si era ritrovata sola con una bambina quando lei non aveva neanche tre anni. Caterina non credeva nelle maledizioni, ma nel profondo del cuore, si aspettava che anche il suo amore finisse nel dolore. Senza volerlo, però, sognava una casa, un marito, dei figli un po’ di calore umano.

Il futuro marito, Marco, lo conobbe nella fabbrica dove lavorava come imballatrice. Lui era in un altro reparto, ma pranzavano nella stessa mensa. Fu così che si innamorarono. Tutto accadde in fretta: qualche uscita, una proposta, matrimonio. Marco si trasferì nel suo bilocale, ereditato dalla nonna. La mamma era già scomparsa. All’inizio andò tutto bene: nacque il primo figlio, poi il secondo. Caterina faceva del suo meglio: cucinava, lavava, cresceva i bambini. Il marito lavorava, portava a casa i soldi, ma tornava sempre meno, e le conversazioni erano rare.

Quando Marco iniziò a rientrare tardi dal lavoro, stanco, con lodore di un profumo estraneo sulla camicia, lei capì. Non chiedeva nulla, per paura di restare sola con due bambini. Ma un giorno, scoppiò:

“Pensa ai bambini, ti prego. Te lo chiedo io.”

Lui rimase in silenzio. Solo uno sguardo freddo. Nessuna spiegazione. Nessun urlo. Il giorno dopo, gli servì la colazione, e lui non la toccò nemmeno.

“Sei buona solo a fare la serva,” disse, con disgusto.

Una settimana dopo, se ne andò. Preparò le valigie e chiuse la porta.

“Non abbandonarci, per favore!” gridò lei nel corridoio. “I bambini hanno bisogno di un padre!”

“Sei una serva miserabile,” ripeté lui, uscendo. I bambini sentirono. I due piccoli, seduti sul divano abbracciati, senza capire: che male avevano fatto? Perché il padre li aveva lasciati?

Caterina non si lasciò abbattere. Visse per loro. Lavorò come addetta alle pulizie, lavò scale, trasportò secchi, insegnò ai figli a leggere e lavò i panni a mano quando la lavatrice si ruppe. I bambini crebbero in fretta, aiutandola. Si dimenticò di sé, dei suoi sogni. Ma il destino sa essere sorprendente.

Un giorno, al supermercato, le cadde una scatola di tè. Un uomo la raccolse e sorrise:

“Ha bisogno di aiuto con le buste?”

“Non c’è bisogno,” rispose distratta.

“Glielo porto lo stesso,” disse lui, prendendo le borse.

Si chiamava Luca. Iniziò a farsi vedere al negozio ogni giorno, poi ad accompagnarla, finché non si presentò nel suo palazzo per aiutarla con le pulizie. I figli erano diffidenti, ma lui era gentile, paziente. La prima cena, portò una torta e rose bianche. Quando il più grande scherzò:

“Giocavi a basket?”

Lui rise:

“A scuola, sì. Ma ormai è passato tanto tempo.”

Più tardi, confessò:

“Ho avuto un incidente. Parlo piano, mi muovo con difficoltà. Mia moglie mi ha lasciato. Se non ti va bene, capisco.”

“Se piacerai ai bambini, resta,” rispose Caterina.

Lui le chiese di sposarlo. E volle parlare con i bambini.

“Voglio essere un vero padre.”

Quella sera, lei spiegò tutto ai figli. Loro labbracciarono.

“Nostro padre se nè andato e si è dimenticato di noi,” disse il più piccolo. “Sarebbe bello avere un padre che resta.”

E così, Luca diventò famiglia. Insegnò ai bambini a giocare a calcio, li aiutò con i compiti, riparò le mensole, rise con loro. La casa si riempì di vita. Passarono gli anni. I bambini diventarono uomini. Matteo si innamorò e chiese consiglio a Luca. Fu allora che suonò il campanello.

Alla porta, cera Marco.

“Sono stato un idiota. Riprendimi. Ricominciamo”

“Vattene,” interruppe Matteo.

“È così che parli a tuo padre?!” urlò Marco.

“Non parlare così a mio figlio,” disse Luca, deciso.

“Non abbiamo bisogno di te,” aggiunse il più piccolo. “Abbiamo già un padre.”

Chiusero la porta. Per sempre.

Caterina rimase lì, a guardare quei tre uomini i suoi protettori, la sua famiglia, che aveva costruito con sangue, sudore e lacrime. E finalmente era felice.

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