La cognata ha deciso che solo noi dobbiamo viziare i suoi figli.

**Diario personale**

Mio cognata ha deciso che solo noi dobbiamo viziare i suoi figli. Mia cognata è convinta che spetti a noi e solo a noi riempire i suoi bambini di regali e attenzioni.

Sono sposata con Marco da quasi otto anni. Un uomo buono, sempre pronto ad aiutare, con il cuore aperto. Ma aveva un problema: sua sorella, Valentina. Una donna con una fantasia senza limiti e unabilità incredibile nel trasformare ogni frase in una richiesta velata per qualcosa di costoso.

Non parlava mai chiaro. Le sue parole suonavano sempre come pensieri innocenti:
“I bambini sognano di vedere il nuovo cartone animato, ma i biglietti costano tanto adesso,” diceva con tono malinconico. E Marco, appena lo sentiva, correva a comprare i biglietti, portava i nipoti al cinema e gli prendeva anche popcorn e bibite.

“Che bella giornata,” continuava Valentina, “e voi state a casa. Andate alle giostre!” E indovina chi ci andava con i suoi figli? Noi, ovvio. E tutto a nostre spese.

Io non capisco le sottigliezze. E nemmeno mi interessano. Preferisco la sincerità. Se hai bisogno di qualcosa, dillo. Chiedilo. Spiegati. Non girare intorno al discorso fingendo di non volere nulla.

Ma Marco reagiva sempre subito alle sue “suggerimenti”. Adorava i nipoti in modo smisurato. Ma il modo in cui li viziava superava ogni limite. Biciclette, gadget, divertimenti tutto era diventato normale. Bastava uno sguardo di Valentina, e mio marito correva.

Recentemente è stato lonomastico di Matteo, il figlio di Valentina. Gli avevamo già regalato una bicicletta di lusso, che ci era costata una bella somma. Ero certa che fosse più che sufficiente. Ma, a quanto pare, per Valentina la “bicicletta” era una sciocchezza. Ai suoi occhi, il bambino doveva assolutamente andare in Francia. E non da solo con lei, ovviamente. Un bambino non può viaggiare senza la mamma!

Nel linguaggio di Valentina, suonava così:
“Matteo sogna di vedere Parigi. Gli si illuminano gli occhi solo a nominarla”

Marco, quella volta, portò al nipote, invece dei biglietti, una torta e un cuscino decorato con le sue iniziali. Io lavoravo quel giorno, e mio marito andò da solo. E, come immaginerete, fu un secchio dacqua gelida per sua sorella.

Ma Valentina non si arrese. Le sue richieste aumentarono di anno in anno. A Marco, apparentemente, non pesava. Non avevamo figli, e lui riversava tutta la sua energia paterna sui nipoti. Forse perché non aveva altro modo di esprimerla.

Poi, la notizia che aspettavamo da tanto: ero incinta. Lo dissi a Marco pianse di gioia, baciò la mia pancia, non riusciva a crederci. Lo sognava da anni. Ma poi arrivò Valentina

E di nuovo, con una richiesta. Questa volta, un viaggio a Vienna per le vacanze di Pasqua. Naturalmente, con i bambini. Mio marito rifiutò, per la prima volta. Disse che sarebbe stato padre e che ora tutte le risorse erano per la nostra famiglia. Allora sua sorella esplose.

Il giorno dopo mi chiamò. Urlò. Mi accusò.
“Come ti permetti?! Hai fatto tutto questo solo per togliere ai miei figli lunico uomo che si prendeva cura di loro!”

Chiusi la chiamata senza rispondere.

Poi, una nuova scena. I nipoti aspettarono Marco fuori dal lavoro. Gli consegnarono bigliettini fatti da loro.
“Zio, ti prego, non ci abbandonare”
“Perché hai bisogno dei tuoi figli, quando ci hai già noi?”

Era chiaro che qualcuno li aveva aiutati a scrivere. E quel “qualcuno” era prevedibile.

Marco tornò a casa, si sedette sul divano, guardò quei bigliettini e qualcosa in lui si spezzò.

“Sono solo un povero stupido,” disse. “Da quanti anni subisco questa situazione? Il forno si è rotto, non ho soldi per il giubbotto, papà se nè andato zio, aiutaci. Ha sempre usato i bambini per manipolarmi. E io ci sono sempre cascato.”

E improvvisamente, tirò fuori un quaderno. Cominciò a scrivere tutto quello che ricordava: biciclette, telefoni, colonie estive, viaggi, attrezzature, giacche, biglietti a teatro. Il totale era una cifra tonda.

Poi, il finale. Il finale in perfetto stile Valentina.

Venne a casa nostra. Si piantò nellingresso, come se fosse la padrona, e disse:
“Ora che avrete anche il vostro bambino, puoi fare unultima buona azione? Dacci la macchina. Non per me, non sono maleducata. Solo per portare i bambini”

Marco le porse il quaderno senza dire una parola.
“Questa è la somma. Per tutto quello che hai ricevuto. Restituiscila. Hai sei mesi. Poi tribunale.”

Sbatté la porta così forte che la scopa appesa allattaccapanni cadde a terra.

Dopodiché, iniziò un diluvio di messaggi. Le amiche di Valentina mi tempestarono sui social. Scrivevano che avevo distrutto il legame sacro tra zio e nipoti. Che ora i bambini erano “abbandonati, affamati, e la mamma nella disperazione”.

Ma sai una cosa? Non mi sono mossa di un millimetro.

Valentina ha due appartamenti. Uno glielha lasciato lex marito, laltro lha avuto da Marco, che rinunciò alleredità in suo favore. Riceve gli alimenti, non vive nella miseria. Si era solo abituata a pretendere tutto. E ora non può più.

Avremo un figlio. E ora mio marito ha una vera famiglia. Senza manipolazioni, senza isterismi, senza teatro. E sai che ti dico? Credo che tutto stia solo cominciando

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