La decisione arriva all’improvviso

La decisione maturò all’improvviso

Ginevra e sua madre vivevano sole. Fin da quando era piccola, la bambina non aveva mai visto suo padre. Da piccola non si era nemmeno chiesta chi fosse, dove fosse. Solo ora pensava che forse era stato un “pilota eroico”. Non avevano parenti, perché sua madre era cresciuta in orfanotrofio fin dall’età di sei anni.

Sua madre non fece in tempo a raccontarle del suo rapporto con quel padre. Probabilmente non era mai stato suo marito, e ora non c’era più nessuno a cui chiedere.

**La vita nell’orfanotrofio**

A tredici anni, Ginevra provò un vero shock e dolore: sua madre morì, il cuore fragile. La figlia l’aveva spesso vista stringersi il petto e fare una smorfia di dolore.

“E io non avevo capito che il cuore di mamma faceva male, che era grave,” confessava a sé stessa Ginevra. “Pensavo che sarebbe passato, come sempre, e che sarebbe tornata allegra.”

Ma Ginevra rimase sola. Le ali materne che l’avevano protetta dal mondo crudele si erano spezzate. Dovette crescere troppo in fretta. Finì in un orfanotrofio.

Lì, soffrì molto. Soprattutto di notte, quando aveva paura: le camerate non erano sorvegliate. I bambini erano crudeli, la prendevano in giro, litigavano, e anche se cercava di rimanere in disparte, le ragazze più grandi e i ragazzi la tormentavano.

Ginevra non si piaceva, si preoccupava sempre del suo aspetto. A tredici anni sembrava averne dieci, magra, con un naso all’insù e lentiggini. Però a scuola andava bene.

**Una nuova famiglia per Ginevra**

Nell’orfanotrofio rimase poco, forse un anno, ma quel tempo le sembrò un’eternità. Sua madre aveva un’amica, Beatrice, che anche lei era cresciuta in orfanotrofio, e fu questa donna dal cuore buono a impedire che Ginevra rimanesse sola.

“Mi dica, come posso prendermi cura di Ginevra?” chiese Beatrice al direttore, quando andò con suo marito, Alessandro, all’orfanotrofio.

Il direttore li osservò attentamente, e forse trovò il loro aspetto rassicurante, perché chiese i documenti.

“Conoscevate già la bambina o sua madre?”

“Non Ginevra, ma sua madre ed eravamo cresciute insieme,” rispose Beatrice, e suo marito annuì. “Ho saputo solo ora che è morta, e ho cercato sua figlia.”

Il direttore spiegò tutto con calma, e poco dopo, completati i documenti, Beatrice e Alessandro portarono Ginevra a casa loro. Avevano già due figli: Luca, quasi sedicenne, e Caterina, di dodici anni. Ginevra cercò subito di fare amicizia, ma capì che non era facile. Non la accettavano, soprattutto perché erano gelosi di Beatrice. Era la loro mamma, e ora c’era questa straniera a cui i genitori mostravano affetto.

Quando Ginevra chiedeva qualcosa a Luca, lui si girava e se ne andava in camera sua senza rispondere. Caterina non le parlava, e se la madre non vedeva, le faceva smorfie e le tirava la lingua.

“Forse è colpa mia se non riesco a farmi volere bene,” pensava Ginevra, guardandosi allo specchio. “Sono brutta, una piccola mostruosità, occhi stretti, lentiggini. Chi potrebbe mai piacermi?”

In realtà, non era così brutta. Era un’adolescente, con i suoi difetti, ma si rattristava confrontandosi con Caterina, che era carina, con i riccioli che Ginevra sognava, mentre lei aveva capelli lisci e castani.

I figli di Beatrice erano tranquilli e non davano problemi, ma Ginevra sentiva che Beatrice cercava di volerle bene, con dolcezza e gentilezza, per quanto poteva. Ma non aveva molto tempo per lei: lei e Alessandro lavoravano sodo, avevano una piccola agenzia immobiliare, sempre di corsa come scoiattoli in una ruota. Ai figli restava poco tempo. Per fortuna erano tranquilli e non creavano problemi.

“Che bello che i nostri bambini abbiano accettato Ginevra,” diceva a volte Beatrice al marito, che annuiva.

“Sì, altri hanno situazioni peggiori, i figli non vanno d’accordo,” rispondeva Alessandro.

Pensavano così perché non si accorgevano delle tensioni tra i ragazzi: in superficie, tutto sembrava tranquillo. Ginevra non si lamentava mai, e neppure i figli. Ma dentro ognuno di loro c’era una tempesta.

**Le sofferenze**

Fu a tredici anni che Ginevra capì che la vita non era sempre facile.

“Non ho più la cura dolce di mia madre. Se n’è andata, e non sento più le sue parole premurose, che mi diceva di mettere il cappello, di coprirmi d’inverno. Non si preoccupa più che io non prenda freddo. Ricordo quando mi leggeva le favole la sera. Che bello e tranquillo era stare con lei. Mi soffiava sul ginocchio sbucciato, mi metteva il disinfettante e asciugava le mie lacrime. Ora so quanto è dura vivere senza la propria madre, anche in una famiglia che ti dà tutto,” pensava spesso Ginevra, tenendo per sé questi pensieri.

Cercava di non litigare con Luca e Caterina. Rispettava molto Beatrice e Alessandro. Era grata solo per averla tolta dall’orfanotrofio. E poi, la vestivano e la sfamavano come i loro figli.

“Beatrice è una brava donna, ma non è diventata mia madre, non è davvero una persona vicina. E questo mi rattrista,” pensava Ginevra prima di addormentarsi. “Ma cerco di piacerle.”

Sì, Ginevra cercava di piacere a tutti, desiderava affetto, e si avvicinava a Beatrice, anche se non capiva che doveva farlo quando gli altri non vedevano. Non appena Beatrice l’abbracciava, Luca e Caterina facevano il broncio, gelosi, e se ne andavano. Col tempo, Ginevra imparò a nascondere i suoi sentimenti.

**Gli studi e il lavoro con i bambini**

Quando si avvicinò il momento di finire la scuola, Ginevra, che studiava bene, disse a Beatrice:

“Voglio iscrivermi all’università, per diventare insegnante.”

“Bene, Ginevra, sono contenta per te,” rispose Beatrice. “Hai scelto una buona strada. Studia, e noi ti aiuteremo.”

Si iscrisse alla facoltà di pedagogia e andava bene. Dopo il primo anno, seppe che servivano studenti come animatori in un campo estivo. Non ci pensò due volte e accettò: non voleva tornare a casa, dove Caterina la guardava sempre di traverso.

Al campo c’erano anche bambini dell’orfanotrofio. Con loro, Ginevra era diversa: capiva che mancavano loro affetto e carezze, perché ci era passata. A volte, il loro comportamento la lasciava senza parole.

“Appena accarezzo uno di loro, parlo con dolcezza, reagiscono in modo così struggente che mi si stringe il cuore,” raccontava a un’amica. “Basta una carezza, e ti seguono come un cagnolino.”

Fu questo, più di tutto, a influenzare la sua decisione.

“Quando mi sposerò, adotterò un bambino da un orfanotrofio. Almeno a uno potrò dare amore e cure,” pensò Ginevra all’improvviso.

Anno dopo anno, continuò a lavorare come animatrice. Le piaceva stare con i bambini.

**L’amore all’ultimo anno**

Alla fine dell’università, si fidanzò con Marco, che studiava nello stesso corso. Era un ragazzo timido, arrossiva spesso quando la

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

4 × four =

La decisione arriva all’improvviso