La Dimora

L’Appartamento

Quando Giulia e suo marito si trasferirono nel palazzo, al primo piano viveva già una coppia di pensionati. Elena e Vincenzo andavano sempre insieme ovunque: al mercato, dal dottore, a fare una passeggiata. Camminavano a braccetto, sostenendosi l’un l’altro. Di rado li si vedeva separati.

Una sera, Giulia e Vittorio tornavano a casa dopo una cena da amici. Davanti al loro portone c’era un’ambulanza, e dalle scale uscivano i paramedici con una barella. Dietro di loro, barcollando, seguiva il nonno Vincenzo, faticando a tener loro dietro.

Tutti lo chiamavano “nonno Vincenzo”, mentre a sua moglie si rivolgevano sempre col nome e cognome, mai altrimenti. Il nonno era completamente bianco, persino la barba rada sulle guance scavate era candida. Le palpebre sottili e rugose ombreggiavano gli occhi chiari, quasi trasparenti. Sembrava smarrito e spaventato.

“Cosa è successo?” chiese Vittorio, avvicinandosi.

Il vecchio scosse la mano, come per dire che era tutto finito male, o forse per allontanare la domanda. Vittorio si rivolse a uno dei paramedici che sistemava la barella con una donna anziana, esile come un filo d’erba.

“E voi chi siete?” chiese l’uomo con riluttanza.

“Sono un vicino, mi preoccupavo,” rispose Vittorio.

“Non intralciate, allora. Preoccupatevi da un’altra parte.” La barella scomparve dentro l’ambulanza, e il medico saltò dentro, chiudendo le porte.

Nonno Vincenzo cercò di salire a sua volta.

“Dove? Meglio che restiate. Non potete aiutare vostra moglie. La portiamo in terapia intensiva, lì non potete entrare. Sareste solo d’impiccio. Vicino, portatelo a casa e tenetelo d’occhio, non si sa mai,” disse il medico, chiudendo le porte.

L’ambulanza partì, sirene e lampeggianti accesi, scomparendo in lontananza. Nonno Vincenzo, Vittorio e Giulia rimasero ad ascoltare il suono della sirena finché non si perse nel silenzio.

“Andiamo a casa, nonno. Non è estate, fa freddo, vi ammalerete. Siete uscito solo con la camicia. Ha ragione lui, vostra moglie sarà in buone mani,” disse Vittorio.

Il vecchio si lasciò condurre dentro.

“Magari salite da noi? È più facile quando c’è qualcuno vicino,” propose Vittorio davanti alla porta aperta del loro appartamento.

“Grazie. Preferisco tornare a casa. Aspetterò la mia Lella,” disse il vecchio, chinando il capo, ed entrò nel suo appartamento.

“Come volete. Se avete bisogno, siamo al numero 17,” ricordò Vittorio.

Il nonno annuì e chiuse la porta.

“Poveretto, hanno passato una vita insieme,” sospirò Giulia, salendo le scale con Vittorio. “Dovremmo avvisare i parenti, che vengano a prendersi cura di lui.”

“Non ne ha nessuno,” rispose Vittorio.

“Come lo sai?” chiese Giulia, dubitosa.

“Una volta ci parlammo. Suo fratello morì giovane. Ha un nipote da qualche parte, ma credi che gli importi degli anziani? Lui ed Elena non hanno avuto figli. Se dovesse succedere qualcosa, resterebbe solo. E gli anziani da soli non vivono a lungo, come i cigni. Se perdi la tua compagna, muori di dolore.”

“Non sapevo fossi un romantico. Come i cigni…” sbuffò Giulia.

Il giorno dopo, a cena, Vittorio decise di far visita al nonno.

“Vai, magari ha bisogno d’aiuto. Chissà, potrebbe lasciarsi andare alla malinconia,” convenne Giulia.

Vittorio scese al primo piano. La porta del nonno era socchiusa. Entrò in fretta.

“Nonno, tutto bene?” chiamò verso l’interno.

Dalla cucina uscì nonno Vincenzo, curvo e a capo chino.

“Scusa, sono venuto a vedere come stavi. Perché la porta era aperta?”

“Me ne sono dimenticato,” disse il vecchio, facendo un gesto vago. “Entra, vuoi un caffè?”

“No, ho appena cenato. Tu hai mangiato?”

“Non riesco a inghiottire niente. Penso solo alla mia Lella.” Si lasciò cadere su uno sgabello scrostato.

Vittorio entrò nella cucina pulita. Sul tavolo c’era una tazza di caffè mezzo bevuto, con un piattino. I vivaci papaveri rossi dipinti sulla ceramica attiravano l’attenzione.

“Alla mia Elena piaceva la bella porcellana,” sospirò il nonno. “Lei non c’è più, ma non posso disubbidirle. Mai caffè nel bicchiere, diceva. Abitudine, sai? Ne vuoi uno?”

“Non rattristarti prima del tempo. La medicina oggi è avanzata…”

“Una vita insieme. Non riesco a immaginare come sia senza di lei… Non si è mai ammalata seriamente. Sempre in piedi. Forse ha esaurito le forze.” Il nonno sospirò, o forse singhiozzò, senza ascoltare Vittorio. “Pensavo sarei morto io per primo. Ma ora capisco che forse è meglio così. Per lei sarebbe stato più duro. Io sono un uomo, più forte. Vai pure, andrà tutto bene.”

“Allora, com’è il nonno?” chiese Giulia al ritorno di Vittorio.

“Resiste. Dice che lei non si è mai ammalata.”

“Allora guarirà,” disse la moglie con tono speranzoso.

Ma il giorno dopo, nonno Vincenzo salì da loro e annunciò che Elena era morta. La chiamò per nome e cognome, come sempre. Chiese aiuto per i funerali.

“Certo, entra, organizziamo,” accettò Vittorio.

Passarono due settimane dai funerali. Una sera, Giulia si sedette sul divano accanto a Vittorio.

“Povero vecchio. Rimasto tutto solo,” iniziò.

Vittorio annuì, senza staccare gli occhi dalla partita in TV.

“Ho pensato una cosa…”

Vittorio annuì di nuovo, senza ascoltare.

“Perché annuisci? Non ho ancora detto niente. Stacca quel televisore,” pretese Giulia.

“Non possiamo parlarne dopo?” Vittorio seguiva il gioco.

“No! Tra due mesi nostro figlio Luca compie quindici anni. Fra qualche anno sarà adulto. E se si sposa? Porta la moglie in questo stesso appartamento, eh!” esclamò Giulia.

“Di cosa parli? Quale moglie? Chi?” Vittorio finalmente si staccò dallo schermo, guardandola.

“Di questo! Il tempo vola. Come ci staremo in quattro? O in cinque?” continuò Giulia.

“Non capisco dove vuoi arrivare.” Vittorio, sconsolato, distolse lo sguardo dal televisore. La sua squadra stava perdendo.

“Il nonno ha ottantun anni. Ho chiesto. È un’età rispettabile. Può succedere di tutto. Da solo, è triste, annoiato. E il suo appartamento è di due stanze. Se qualcosa accade, andrà allo Stato.”

“E allora? Non siamo parenti. Di certo non toccherà a noi.”

“Appunto! Ma dovrebbe toccare a Luca. Avrà un posto dove portare la moglie,” spiegò”Ma il destino spesso ci insegna che l’amore e la gentilezza portano benedizioni inaspettate, e che le vite intrecciate dagli anni e dal rispetto possono regalare sorprese più dolci di qualsiasi calcolo.”

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