La donna delle pulizie trova un misterioso oggetto e scopre un’incredibile sorpresa.

Oggi mi sento il cuore pesante mentre scrivo queste parole. È una storia che mi ha toccato profondamente, e sento il bisogno di raccontarla come se fossi lì, a viverla in prima persona.

Nel cuore di Roma, di solito così vivace e rumorosa, quel giorno regnava un silenzio inquietante, quasi mistico. Niente vento tra le foglie, niente canti di uccelli sui rami – come se la città stessa trattenesse il respiro. Solo i passi solitari di Alessia, una giovane madre, rompevano quel silenzio opprimente, riecheggiando tra le strade deserte. Spingeva una carrozzina dove dormiva il suo piccolo, fragile e pallido, ma così prezioso – Matteo. Ogni passo le costava fatica, non tanto per la stanchezza fisica, quanto per il dolore che le stringeva il cuore. Non avevano scelta: la medicina che avrebbe salvato il bambino l’aspettava in farmacia, e Alessia correva come se fosse inseguita.

I soldi per le cure svanivano come neve al sole. L’assegno familiare, lo stipendio di suo marito Luca – tutto finiva nel pozzo delle spese mediche. Ma non bastava mai. Tre mesi prima, i medici avevano diagnosticato a Matteo una malattia rara e aggressiva che richiedeva un intervento immediato all’estero. Senza quell’operazione, il bambino sarebbe rimasto disabile per tutta la vita. Luca, senza esitare, era partito per lavorare in un’altra città, lasciando Alessia sola a combattere per il loro figlio.

Infine, Alessia si fermò a un chiosco ai margini di Villa Borghese, dove vendevano bottiglie d’acqua. Aveva una sete tremenda. A casa mancavano ancora due chilometri, e le forze stavano per abbandonarla.

“Aspettami, tesoro, torno subito,” sussurrò, accarezzando la fronte del piccolo addormentato.

Si precipitò al chiosco, comprò l’acqua e tornò indietro in un minuto – ma in quel momento il mondo le crollò addosso. La carrozzina era al suo posto, ma dentro… vuota. Matteo era sparito.

Le sembrò di avere il cuore strappato dal petto. Alessia gridò, la bottiglia le cadde di mano, il vetro si infranse come le sue speranze. Corse avanti e indietro, cercò sotto le panchine, chiamò suo figlio, ma solo il silenzio rispondeva. Dov’era? Chi lo aveva preso?

Se solo si fosse voltata prima, avrebbe visto lei – una vecchia rom in un foulard sgargiante, con uno sguardo penetrante, che la osservava da sotto i rami di un albero. Mentre Alessia comprava l’acqua, Sultana, silenziosa come un’ombra, si era avvicinata alla carrozzina, aveva preso il bambino e sparito dentro un autobus appena arrivato, che subito ripartì, portandosi via la felicità di un’altra famiglia.

Le lacrime le rigarono il viso. Con mani tremanti, Alessia compose il 112, poi il numero di Luca.

“Luca… Luca, ho perso Matteo!” singhiozzò, ormai sull’orlo della disperazione. “Sono stata via un minuto… un attimo! Quando sono tornata, non c’era più!”

Nel frattempo, a centinaia di chilometri da Roma, in una vecchia Fiat arrugginita, Sultana esultava.

“Guarda, Dario, che preda ho fatto oggi!” si vantò, scuotendo la coperta dove dormiva Matteo.

Dario, suo figlio, guardò il bambino e aggrottò la fronte:

“Mamma, sei impazzita? E se ci fossero telecamere? Se la polizia lo cercasse?”

“Ma quali telecamere in questo posto sperduto?” sbuffò Sultana. “Ci sono solo alberi e cespugli… nessuno ha visto niente.”

Non amava Matteo. Non desiderava un figlio. Come un corvo che vede una monetina luccicare, non aveva saputo resistere. Era nella sua natura, tramandata di generazione in generazione: prendere quello che poteva e sfruttarlo. E quel bambino fragile e malato era lo strumento perfetto. Sarebbe diventato un mendicante, e sulle sue lacrime e la pietà della gente avrebbero guadagnato.

“Fai come vuoi,” borbottò Dario, schiacciando l’acceleratore. L’auto sfrecciò via, portando il piccolo in un mondo senza pietà.

La casa dove portarono Matteo era come una baracca abbandonata alla periferia di un campo rom. Li aspettava Jasmine, la nuora di Sultana, una donna giovane con lo sguardo spento e il cuore stanco. Era di un’altra generazione: non credeva nelle predizioni, non mendicava, vendeva oggetti usati al mercato.

“Cos’è questo?” sussurrò, fissando il bambino.

“Ecco, figlia, un regalo,” rise Sultana. “Domani lo porterai in chiesa, chiederai l’elemosina per lui.”

“Ma… e se arrivasse la polizia? Se chiedessero i documenti?”

“Di’ che lo hai partoritoE mentre il sole tramontava su Roma, tutte le ferite cominciarono a rimarginarsi, perché anche nella notte più buia, una piccola candela può illuminare la strada.

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La donna delle pulizie trova un misterioso oggetto e scopre un’incredibile sorpresa.