La Felicità Difficile

Felice contro ogni previsione

Il venerdì, la capo contabile arrivò in ufficio tutta elegante, con una bottiglia di vino pregiato, una torta e un vassoio di affettati.

“Ragazze, dopo il lavoro non andate via, restiamo un po’ per festeggiare il mio compleanno,” annunciò.

Tutti si affrettarono ad abbracciarla e farle gli auguri. Anche Francesca si congratulò. Era entrata in azienda senza esperienza, aveva preso ogni rimprovero per gli errori, ma considerava sinceramente Ada Rossi la sua maestra. Ada la strinse e le sussurrò all’orecchio:

“Tra poco andrò in pensione. Te, Francy, vorrei proporre al mio posto. Sono sicura che ce la farai. Sei disciplinata, seria…”

Francesca non fece in tempo a ringraziarla per la fiducia che già un’altra collega si avvicinava per congratularsi.

Finirono il lavoro in anticipo, liberarono un grande tavolo dall’archivio e lo coprirono con una tovaglia di carta, sistemandoci sopra quanto trovato nel frigorifero. Arrivò anche il direttore con i capi reparto, regalando un enorme mazzo di rose e un pacchetto. Il clima si fece di nuovo festoso. Francesca ne approfittò per scivolare via.

“Dove vai? Abbiamo appena iniziato!” la raggiunse nel corridoio la collega e amica Elena.

“Devo andare, mio padre è solo a casa.”

“Resta almeno mezz’ora, non succederà nulla in quel lasso di tempo,” disse Elena.

“No, non insistere. Si agita se ritardo, gli sale la pressione. Alla sua età è pericoloso.”

“E di che età stiamo parlando? Quanti anni ha?”

“Settantuno,” sospirò Francesca.

“Ma se è giovane! A quell’età certi uomini si innamorano e si risposano…”

“Davvero, Elè, devo andare. Scusami con gli altri.” Si voltò per uscire, ma Elena la trattenne per un braccio.

“Ti sei imprigionata da sola. Sei ancora giovane, senza vita privata. È normale? Tuo padre non vuole che tu abbia una famiglia? Dei nipoti?”

“Di quali nipoti parli? Ho già quarantadue anni…”

“E allora? Ti sei data per vinta troppo presto. Di questo passo…” Elena si interruppe, notando lo sguardo severo di Francesca. “Scusa, ma chi te lo dirà se non io? È malato?”

“No, semplicemente invecchia e ha paura di morire solo.”

“Non ti capisco, Fra. Tua madre ha vissuto per lui. E dov’è lei adesso? Ora tocca a te…”

“Basta. È la mia vita.” Si liberò dalla presa e corse verso il suo ufficio a prendere la giacca. Elena la seguì con gli occhi, piena di pena.

Fuori, l’aria sapeva di primavera, la neve quasi sciolta, gli alberi pronti a germogliare… Tornando a casa, Francesca entrò in un negozio. Alla cassa c’era fila. Controllò l’orologio: era uscita prima, dieci minuti a piedi, ce l’avrebbe fatta. Si tranquillizzò.

A casa, fece rumore in ingresso per farsi sentire. Portò la spesa in cucina e si affacciò in salotto. Suo padre era sdraiato sul divano, davanti alla TV.

“Papà, sono qua. Cosa guardi?”

Dal modo in cui fissava lo schermo, capì che era scontento. Ma quando mai non lo era?

“Come stai?” chiese paziente.

“Vedo che non avevi fretta di tornare. Pensieri solo alle feste. Io qui con la pressione alta. Morirò solo e non te ne accorgerai neanche,” borbottò lui, dandole un’occhiataccia.

“Quali feste? Sono solo passata al negozio. Aspetta.” Prese il misuratore di pressione e tornò da lui.

“Dammi il braccio.”

Lui non si mosse.

“Dai, non fare il bambino. Non sei capace di misurarla.”

Francesca infilò il bracciale e iniziò a pompare.

“Ma è perfetta!”

“Tu non sai come si fa. Io la sento, la pressione,” brontolò lui.

Lei sapeva che non era più giovane, che aveva lavorato una vita in cantiere. Ma non per questo poteva starsene tutto il giorno sul divano.

“Vuoi che chiami il dottore oggi?”

“Che ne sanno loro? Pillole e basta. Inutili.”

Francesca ripose il misuratore e andò a cambiarsi. Poi preparò la cena, rivivendo nella mente i soliti litigi.

*Anch’io vorrei riposare. Passo la giornata davanti allo schermo, gli occhi mi bruciano. Potevo restare con le colleghe, mangiare la torta, bere il vino. Mi promettono una promozione, e io scappo. E se la Rossi si offende?*

*Sono adulta, sono stanca dei tuoi controlli, delle critiche. Potresti almeno andare al negozio accanto. Elena ha ragione, finirò per ammalarmi anch’io. Non ce la faccio più…*

Si bloccò. Era sbagliato pensare così, anche se lui non la sentiva. Chissà come si sarebbe comportata alla sua età. Forse peggio. Ma con chi?

Da sempre, sua madre aveva fatto tutto: pulire, cucinare, portare le buste pesanti. Suo padre diceva che agli uomini non spettava occuparsi della casa, specie con due donne in famiglia. Anche se l’altra “donna” era solo una bambina.

Non ricordava sua madre oziosamente sdraiata. Sempre indaffarata: cucito, maglia… Da grande, Francesca l’aveva aiutata.

“Vai a giocare, Fra. Quando sarai sposata, lavorerai abbastanza,” le diceva la mamma, con tenerezza.

Quando aveva portato a casa il suo ragazzo, Marco, suo padre l’aveva squadrato e aveva detto che non avrebbe tollerato fannulloni in casa. Lui si era fatto tutto con le sue forze. Niente eredità…

Marco aveva trattenuto a stento la rabbia. Poi aveva detto che non avrebbe mai vissuto con i suoceri. Dopo il matrimonio, avevano preso un affitto. Lei continuava a visitare i genitori, aiutando la mamma, che soffriva di pressione alta.

Marco era geloso, non credeva alle sue visite. Litigavano. Quando la mamma morì d’infarto, Francesca cominciò ad andare da suo padre ogni giorno. Marco se ne andò, chiedendo il divorzio. Poi tentò di tornare, ma lei ormai viveva col padre.

Aveva provato a ribellarsi, ma finiva sempre uguale: lui fingeva un attacco cardiaco, chiamava l’ambulanza. Poi toccava a lei spiegare ai medici, vergognandosi, perché lui stava benissimo e la rimproveravano per la chiamata inutile.

Se tardava, lui la accoglieva con insulti. Qualche uomo si era interessato a lei, ma non osava abbandonare il padre né portare un uomo a casa. Così era rimasta, senza famiglia né figli.

Dopo cena, lavò i piatti e pulì l’ingresso. Notò del fango fresco sulle scarpe del padre: quindi usciva mentre lei era al lavoro. Ma non disse nulla. Si ritirò in camera. Ormai era abituata al volume alto della TV.

Una volta Elena le aveva detto che non poteva più vederla rovinarsi la vita. Aveva comprato i biglietti: a giugno sarebbero partite per il Sud. Niente scuse, l’avrebbe trascinata via a forza se necessario.

“E mio padre?” si era preoccupata Francesca.

“È più sano di te. Prepara dei pasti, chiedi a una vicina di controllarlo. Solo dieci giorni. Devi riposare.”

Francesca non poté rifiutFinalmente, quella stessa sera, mentre preparava la valigia, sorrise pensando che forse, dopo tanti anni, la vita stava davvero per cambiare in meglio.

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