La felicità difficile

**Felicità Difficile**

Venerdì, la contabile capo arrivò in ufficio tutta elegante, con una bottiglia di vino pregiato, una torta e un vassoio di affettati.

“Ragazze, dopo lavoro non andate via, festeggiamo il mio compleanno,” annunciò.

Tutti si precipitarono ad abbracciare e congratularsi con lei. Anche Giulia si unì ai festeggiamenti. Era entrata in azienda senza esperienza, aveva preso ogni rimprovero per gli errori, ma considerava sinceramente Elena Rossi la sua maestra. Questa la strinse e sussurrò all’orecchio:

“Tra poco andrò in pensione. Conto di proporre te al mio posto. Sei disciplinata, seriosa…”

Giulia non fece in tempo a ringraziare che già un’altra collega si avvicinò con gli auguri.

Finirono il lavoro in anticipo, liberarono il grande tavolo dell’ufficio, lo coprirono con una tovaglia di carta e misero tutto quello che trovarono in frigo. All’inizio della festa arrivò anche il direttore con i capi degli altri reparti. Regalò un mazzo di rose e un pacco ben impacchettato. Il chiasso riprese. Giulia ne approfittò per sgattaiolare fuori.

“Dove scappi? Abbiamo appena iniziato,” la raggiunse in corridoio la collega e amica Federica.

“Devo andare, mio padre è solo a casa.”

“Resta un po’, mezz’ora, non succederà nulla in quel tempo,” disse Federica.

“Non insistere. Lui non sopporta i ritardi, si agita, gli sale la pressione. Alla sua età è pericoloso.”

“Ma quanti anni ha?”

“Settantuno,” sospirò Giulia.

“È ancora giovane! A quell’età alcuni uomini si innamorano e si risposano…”

“Davvero, Federica, devo andare. Scusami con gli altri.” Si voltò per partire, ma l’amica la trattenne.

“Ti sei chiusa in un angolo. Sei giovane, non hai una vita. È normale? Tuo padre non vuole che tu abbia una famiglia? Dei nipoti?”

“Di che nipoti parli? Ho quarantadue anni…”

“E allora? Ti sei già arresa. Così vivrai più a lungo di lui… Scusa,” si interruppe Federica, notando lo sguardo accusatore di Giulia. “Ma chi te lo dice se non io? È malato?”

“No, ma invecchia, ha paura di morire solo.”

“Non ti capisco. Tua madre ha vissuto per lui. Dov’è ora? E tu…”

“Basta. È la mia vita.” Giulia si liberò e corse in ufficio a prendere le sue cose.

Fuori, l’aria odorava di primavera. Quasi tutta la neve si era sciolta, presto sarebbero spuntate le gemme sugli alberi…

A casa, fece rumore apposta nell’ingresso per farsi sentire. Portò la spesa in cucina e entrò in salotto. Suo padre, Stefano, era sul divano a guardare la TV.

“Papà, sono qui. Che guardi?”

Dal modo in cui fissava lo schermo, capì che era di malumore. Ma quando mai era contento?

“Come ti senti?” chiese paziente.

“Ecco, finalmente torni. Hai solo feste in testa. Io qui con la pressione alta. Morirò solo e non te ne accorgerai neanche,” borbottò, lanciandole un’occhiata torva.

“Quali feste? Sono solo passata al supermercato. Aspetta.” Prese il misuratore di pressione e tornò da lui.

“Dammi il braccio.”

Lui non si mosse.

“Papà, non fare il bambino. Non essere testardo.”

Allungò il braccio a malincuore.

“Non sai misurare. Io sento che la pressione c’è,” bofonchiò.

Giulia sapeva che non era più giovane, che aveva bisogno di cure, che aveva lavorato in edilizia tutta la vita. Ma non poteva starsene tutto il giorno sul divano.

“Vuoi che chiami il medico domani?”

“Che ne sanno, quei dottori? Pillole inutili.”

Giulia ripose il misuratore e andò in camera a cambiarsi. Poi preparò la cena, mentre nella sua testa un dialogo infinito con il padre continuava.

*Anch’io ho diritto a riposare. Passo la giornata davanti allo schermo, mi fanno male gli occhi. Potrei essere ancora in ufficio, a mangiare torta e bere vino. Mi promettono una promozione, e io scappo. E se Elena si offendesse? Sono un’adulta, sono stanca dei tuoi controlli, delle tue lamentele. Potresti almeno fare la spesa. Federica ha ragione, così mi ammalerò. Non ce la faccio più…*

Si bloccò. Non era giusto parlare così di suo padre, anche se non la sentiva. Chissà come si sarebbe comportata lei alla sua età?

Ricordava sua madre sempre in movimento: puliva, cucinava, portava pesanti buste dal negozio. Lui diceva che occuparsi della casa non era da uomini, specie quando c’erano due donne. Peccato che la seconda avesse solo cinque anni.

Quando portò a casa il suo futuro marito, Luca, suo padre lo squadrò a lungo.

“Non voglio fannulloni qui. Io mi sono fatto tutto da solo. Non speri in questa casa…”

Luca trattenne a stento la rabbia. Disse che non avrebbero mai vissuto con i genitori. Dopo il matrimonio, affittarono un appartamento. Giulia aiutava spesso sua madre, che soffriva di pressione alta.

Luca si ingelosiva, non credeva che andasse dai genitori. Litigarono spesso. Quando sua madre morì d’infarto, Giulia iniziò aMa quando tornò a casa dopo quei dieci giorni al mare, trovò finalmente il coraggio di dire a suo padre: “Adesso tocca a me essere felice.”

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