La felicità si veste di nero

Ginevra stava affacciata alla finestra osservando via Garibaldi. Gli autobus frenavano tutti con lo stesso stridore, i passanti correvano per le loro faccende, e lei continuava a rimuginare su quella lettera arrivata il giorno prima. La busta nera con il bordo dorato giaceva sul tavolo della cucina da ventiquattr’ore senza che trovasse il coraggio di aprirla.

«Mamma, perché sei piantata lì come un soprammobile?» Dario entrò in casa come un tornado, lanciando lo zaino in un angolo. «Di nuovo giù di morale? Dai, pensiamo a pranzo che muoio dalla fame.»

«Mangia, mangia» sospirò Ginevra senza distogliere lo sguardo dai vetri. «Ci sono le polpette in frigo, scaldale al microonde.»

Il figlio si fermò a metà salotto, osservando la madre con sospetto. C’era qualcosa nella sua postura troppo rigida, innaturale.

«Che succede?» Dario si avvicinò. «Sembri… non so, strana oggi.»

«Niente di che» Ginevra gli rivolse il viso. «È arrivata una lettera. Sto decidendo se aprirla oppure no.»

«Da chi sta lettera?»

«Da un notaio. Di Roma.»

Dario aggrottò le sopracciglia. Le lettere notarili non promettevano mai niente di buono: debiti, cause legali o altre rogne.

«E cosa potrebbe esserci dentro?» chiese con cautela.

«Chi lo sa? Forse zia Chiara ci ha lasciato qualcosa. Viveva a Roma negli ultimi anni, aveva un appartamentino. Ma non ci sentivamo da una vita, almeno dieci anni.»

Ginevra si alzò, andò in cucina. La busta era ancora lì, beffarda testimone della sua indecisione.

«Mamma, apriamola una buona volta?» Dario sollevò la busta. «Cos’è peggio: conoscere la verità o vivere col dubbio?»

«Il peggio può essere un esercito di problemi» borbottò lei. «Debiti, beghe legali… Non voglio rogne.»

«E se invece fosse una bella notizia?» Dario stava già per strappare la busta quando un gesto della madre lo fermò.

«Aspetta. Fammi pensare.»

Ma a ben vedere, non c’era molto da ponderare. Zia Chiara era sua cugina, cresciute insieme nel cortile di famiglia, ma le loro strade si erano separate da tempo. Chiara era partita per la capitale dopo l’università, si era sposata, lavorava in qualche istituto di ricerca. Senza figli, vedova da anni. Ginevra era rimasta a Trento, aveva cresciuto Dario da sola dopo la prematura scomparsa del marito, facendo la maestra d’asilo tutta la vita.

L’ultima volta che s’erano viste era stato al funerale del nonno, dieci anni prima. Chiara le era parsa un’estranea, una signora romana in cappotto elegante che guardava con sufficienza i parenti di provincia.

«Dai, aprilo» cedette infine Ginevra. «Ma se ci sono brutte notizie, te l’avevo detto!»

Dario scucì la busta con cura, estraendo alcuni fogli. Sfiorò le prime righe e fischiò.

«Mamma, qui dice che zia Chiara ti ha lasciato un appartamento a Roma.»

«Cosa?» Ginevra lasciò cadere la tazza del caffè. «Che appartamento?»

«Bilocale, nel quartiere di Trastevere. E c’è anche un conto in banca…» Sfogliando le pagine, gli occhi di Dario si sgranavano. «Mamma, è una cifra niente male.»

Ginevra crollò su una sedia, le gambe improvvisamente molli.

«Non è possibile. Non ci frequentavamo nemmeno. Perché proprio a me?»

«Qui c’è un biglietto scritto da lei. A mano.» Dario porse un foglietto alla madre.

*Gina, se leggi questa lettera, io non ci sono più. So che ci siamo allontanate, e la colpa è stata soprattutto mia. Credevo di avere ancora tempo per riavvicinarmi alle persone care. Il tempo però finisce all’improvviso. Voglio che il mio appartamento sia tuo. Sei sempre stata buona, hai vissuto per gli altri. È ora di pensare anche a te. La tua Chiara.*

Ginevra rilesse il messaggio tre volte senza credere ai propri occhi. Le lacrime scivolarono senza permesso.

«Allora com’è finita?» sussurrò. «È morta e io nemmeno lo sapevo. Nessun funerale, niente…»

«Non colpevolizzarti. Come potevi saperlo?» Dario le cinse le spalle. «Forse non voleva essere disturbata. C’è chi preferisce sparire in silenzio.»

«Ma perché proprio a
Ginevra sorrise al ricordo di quel funesto pacco nero, ormai certo che anche la gioia più fulgida sa talvolta presentarsi in una semplice confezione inaspettata, purché si abbia il coraggio di aprirla.

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