La felicità torna a vivere nel cuore

Nel cuore si era di nuovo insediata la felicità.

Arianna lo notava da giorni, come suo marito, Carlo, si toccava il fianco sinistro, dove batte il cuore. Cercava di farlo di nascosto, una carezza rapida, poi ritirava la mano, guardandosi intorno per assicurarsi che lei non lo vedesse. Ma lei glielo aveva chiesto più volte:

Ti fa male di nuovo, Carlo? Dovresti andare allospedale.

Passerà, capita, tra poco si calma rispondeva lui, sempre le stesse parole.

Erano nove anni che Arianna e Carlo vivevano insieme in quel paesino, dove si erano trasferiti dopo luniversità. Lui aveva studiato agraria, lei pedagogia. Ma Arianna non aveva mai lavorato, perché Carlo amava la campagna e il cortile era pieno di animali: due mucche, pecore, un maialino, galline e anatre. Qualcuno doveva occuparsene, e così lei era rimasta a casa, sempre in movimento. Carlo faceva lagronomo.

Arianna era stata cresciuta dalla nonna dai tredici anni, dopo che i genitori erano morti in un incendio. Lei, per fortuna, quella notte era dalla nonna. Carlo invece era nato lì, in quel paesino. Dopo il matrimonio, suo padre era morto per un infarto, e due anni dopo anche la madre se nera andata.

Erano rimasti solo loro due. Tutto andava bene, ma non avevano figli. Speravano, pregavano, Arianna piangeva di notte e chiedeva a Dio un bambino. Ma nulla.

Quel mattino, Carlo aveva fatto colazione e si stava preparando per andare a lavoro, quando di nuovo si strinse il petto. Arianna non fece in tempo a raggiungerlo che lui cadde a terra, il cuore fermo. Lambulanza arrivò presto, ma era già troppo tardi.

Dopo il funerale, Arianna pianse a lungo, sola nella sua disperazione.

Trentanni e già sola. Perché la vita è così ingiusta? Amavo mio marito, e Dio me lha portato via. Tutti. Che male ho fatto?

La mattina entrava nella stalla, mungeva le mucche e piangeva.

A che mi servono tutti questi animali? Faccio tutto per forza, perché mi dispiace per loro, devono essere nutriti, le mucche munte singhiozzava, convinta che nessuno la sentisse.

Ma cera qualcuno che la sentiva: Teresa, la vicina, vicepreside della scuola. Un giorno bussò alla sua porta.

Arianna, ti sento piangere. Capisco. Vendili, questi animali, che te ne fai da sola? Nella scuola del paese vicino manca uninsegnante delle elementari. Potresti provare. Nella nostra scuola tutti i posti sono occupati, ma lì è una scuola piccola, solo i bambini più grandi vengono qui. Sono solo cinque chilometri. Staresti tra la gente, ti distrarresti. Accetta, sei una maestra.

Grazie, Teresa, grazie. Hai ragione disse Arianna.

In estate vendette tutti gli animali e a settembre si trasferì nel paese vicino. Arrivò così la signorina Arianna Bianchi, sistemata in una grande casa. Pulì tutto, lavò le finestre, mise tutto in ordine.

Ecco, comincia la mia nuova vita si diceva ad alta voce. Ma il recinto è caduto, il cancello non si chiude, devo ripararlo.

Chiese aiuto e le diedero il legname per il recinto. Ma doveva sistemarlo da sola.

Caterina, chiamò la vicina, che stendeva il bucato in cortile, sai a chi posso rivolgermi per il recinto? Ho il materiale, lhanno portato.

Caterina si asciugò le mani sul grembiule e si avvicinò.

Cè Michele, il falegname. Ha le mani doro, ma beve. Senza una bottiglia non fa niente. È colpa di Veronica, sua moglie. Da quando si sono sposati, bevono insieme. Lui da giovane non toccava un goccio. Hanno due bambine, di quattro e due anni, ma sei mesi fa i servizi sociali le hanno portate via. Non andare da loro, io parlerò con Michele.

Grazie, Caterina.

Il giorno dopo, la vicina tornò da lei.

Ho visto Veronica al bar. Verranno domani mattina. Compra un paio di bottiglie di vino, altrimenti non lavorano.

E infatti arrivarono la mattina dopo, Michele e Veronica, entrambi con lalito pesante. Michele buttò gli attrezzi in cortile e si guardò intorno. Arianna uscì di casa.

Salve, signora, strillò Veronica, e Michele annuì in silenzio.

Era trasandato, con i capelli arruffati e la barba incolta, ma gli occhi erano limpidi e penetranti. Non avevano perso la loro luce. Arianna rimase senza fiato per un attimo: quei occhi le ricordavano troppo quelli di suo marito.

Ecco il legname indicò.

Lo vediamo, signora, Veronica si sedette sui gradini della veranda, hai qualcosa da bere? Portalo qui. La gola è secca. Michele, vieni, ordinò, bisogna tirarsi su.

Aprì la bottiglia con maestria, riempì due bicchieri. Bevvero, e Michele si mise al lavoro.

Se continuano a bere così, come farà a lavorare? pensò Arianna afflitta. Domani non torneranno nemmeno. Dovrei dirglielo ma decise di tacere. Va bene, sarà quel che sarà. Se Caterina li ha consigliati, avrà le sue ragioni.

Ma Michele, anche se beveva, sapeva il fatto suo. Tutti in paese sapevano che se Michele si metteva allopera, il lavoro era fatto bene. E sua moglie stava sempre lì, a versargli da bere e a guardarlo mentre lavorava. Finì al tramonto, ma il recinto era fatto.

Signora, urlò Veronica, ormai ubriaca, venga a vedere.

Arianna controllò il recinto nuovo, dritto, il cancello al suo posto, con un piccolo gancio per il vento.

Le piacque il lavoro, pagò e ringraziò.

Se hai bisogno, chiamaci, disse Veronica, e Michele annuì di nuovo, raccolse gli attrezzi e se ne andarono.

Arrivò linverno. Arianna lavorava a scuola, ormai abituata, e ringraziava Teresa. Il dolore si era attenuato, i bambini non la facevano annoiare, adoravano la maestra Arianna, e lei ricambiava con affetto. Era quasi Capodanno quando, una notte, un bussare alla porta la svegliò. Guardò lorologio. Non era più notte, ma mattina presto, le sei.

Pensò di aver sognato, ma il bussare si ripeté. Aprì la porta e trovò Michele.

Veronica è morta, sussurrò. Non ho sentito quando è uscita. Mi sono svegliato e non cera. Lho trovata vicino a casa tua congelata. Ieri sera abbiamo bevuto, forse è uscita a cercare altro vino e ha trovato la morte. Parlava piano, senza fermarsi. Non so cosa fare. È lì

Seppellirono Veronica con laiuto di tutto il paese. Michele bevve per una settimana. Poi, un giorno, Arianna sentì di nuovo quel bussare. Capì che era lui.

Oggi sono nove giorni che Veronica non cè più. Vieni, facciamo un brindisi in suo ricordo.

Arianna si stupì.

Hai tanti amici, e vieni da me? Io non bevo. Va bene, entra.

Michele si sedette a tavola. Era domenica, Arianna non lavorava. Versò il vino, prima per sé, poi per lei. Lei lo assaggiò per educazione, lui lo bevve tutto.

Cosa dirò alle bambine quando chiederanno della mamma? Ora

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