Zita stava dando in sposa sua figlia. Gli ospiti erano pochi, circa trentacinque, quasi tutti parenti e amici dello sposo.
La figlia, Lucrezia, era bellissima, come tutte le spose. Per Zita, quel matrimonio precoce a diciannove anni era stato una sorpresa. Sperava, come tutte le madri di figlie ubbidienti e brave, che Lucrezia prima terminasse l’università, e solo dopo… Ma andò come andò. La figlia era al secondo anno, lo sposo, Enrico, all’ultimo. Avevano deciso di sposarsi, punto. Enrico riteneva assurdo vivere senza sposarsi – la sua ragazza meritava di diventare sua moglie subito e per sempre!
L’ex marito di Zita, il padre di Lucrezia, non si presentò al matrimonio, nonostante l’invito. Le regalò, però, una somma di denaro – per quello, almeno, si poteva ringraziarlo. Erano già passati cinque anni da quando aveva lasciato la famiglia, e non cercava mai il contatto con la figlia, limitandosi a versare gli alimenti tramite l’azienda.
La festa era nel pieno del suo splendore. Tutto era perfetto, il maestro di cerimonie sapeva il fatto suo. Zita, però, si sentiva disturbata da uno degli ospiti, un lontano parente dello sposo, che non smetteva di fissarla. Dovunque si trovasse nella sala, percepiva il suo sguardo su di lei. Quello sguardo la trafiggeva. Si arrabbiò persino – come osava quel ragazzo guardarla in quel modo?
Iniziò la musica di un valzer, un ballo raro nelle feste moderne, che pochi ormai sapevano eseguire.
Zita amava il valzer e accettò con gioia l’invito di quel ragazzo che solo pochi minuti prima l’aveva irritata con i suoi occhi insistenti. Lui ballava divinamente. Erano la coppia più bella al centro della pista. Zita era sempre stata affascinante, ma quel giorno sembrava la sorella, non la madre della sposa. Il suo abito color smeraldo scivolava sulla figura slanciata, l’acconciatura giovane e alla moda, lo sguardo vivace, la rendevano irresistibile.
«Dove hai imparato a ballare così?» gli chiese Zita mentre lui la riaccompagnava dopo il valzer.
«Ho studiato balli da sala per anni. Ho occhio – ho capito subito che nessuno qui balla meglio di lei» rispose lui con un sorriso.
Per tutto il resto della serata, Antonio – così si presentò – ballò solo con Zita. Non si allontanava da lei, per non perdere l’occasione di invitarla al ballo successivo. A Zita girava un po’ la testa per lo spumante e per una sensazione di leggerezza, come ai tempi della giovinezza.
«Che importa se è giovane? Almeno ballerò fino a stancarmi, chissà quando mi capiterà ancora!» pensò.
Dopo il matrimonio, Lucrezia si trasferì dal marito. Per il momento affittavano un appartamento. Per Zita finì la settimana di ferie e riprese il lavoro. Rimase sorpresa quando, uscendo dall’ufficio – lavorava all’ufficio sociale – trovò Antonio con un mazzo di fiori.
«Che ci fai qui, e poi con i fiori? Domani i colleghi mi prenderanno in giro, chiedendomi in che classe va il mio corteggiatore!» sbottò Zita.
«Ho già finito l’università e lavoro. La mia giornata finisce un’ora prima della sua, e ho avuto una voglia irrefrenabile di rivederla. Ho avuto l’indirizzo da sua figlia, ecco. E poi, non sono così giovane accanto a lei – ho venticinque anni, sa?» rispose lui, quasi offeso.
«Io ne ho quaranta, senti la differenza. Ti avverto, non cercarmi! Non perdere tempo! Guardati attorno, ci sono tante ragazze giovani e belle» E Zita si avviò decisa verso la fermata dell’autobus.
«Quarant’anni? Impossible! E anche se fosse, non importa. La amerò a qualsiasi età, e nessuno me lo può vietare, neanche lei! Ora credo nell’amore a prima vista – da quando l’ho vista al matrimonio, sono perduto» disse Antonio in fretta, mentre le camminava dietro.
Antonio cominciò a incontrarla ogni giorno, prendendo l’autobus con lei fino a casa sua, per poi tornare indietro. Non chiedeva nulla, era galante e premuroso.
Zita, lo ammetteva, si sentiva lusingata dalle sue attenzioni, ma sapeva che c’era troppo divario d’età tra loro. Non voleva rovinargli la vita – avrebbe dovuto incontrare una ragazza giovane.
Per quanto cercasse di respingerlo, a un certo punto la loro relazione si evolse, e Antonio si dimostrò sensibile, serio e rispettabile. Quando Zita si ammalò di polmonite, si prese cura di lei. Anzi, la salvò. Fu allora che capì che per lui era tutto serio, che l’amava davvero.
Zita non resse all’intensità dei suoi sentimenti e si arrese. E quale donna avrebbe potuto resistere?
Antonio le chiese di sposarlo. La figlia e il genero la esortarono ad accettare. Ma Zita rifiutò. Era sicura che prima o poi l’avrebbe lasciata.
Avrebbe continuato a dubitare, se non fosse arrivata quella gravidanza inaspettata, che Zita voleva interrompere. Un bambino? Stava per diventare nonna! Probabilmente Antonio l’avrebbe abbandonata, e lei si sarebbe ritrovata sola a crescere il piccolo.
Ma Antonio sconvolse tutti i suoi piani. Lui e i suoi genitori la convinsero che, anche in caso di separazione, l’avrebbero aiutata a crescere il bambino.
Antonio e Zita si sposarono. Festeggiarono modestamente, in casa, tra i più cari, visto che la figura della sposa ormai tradiva la sua condizione.
Oggi il loro figlio, Andrea, ha vent’anni.
Zita e Antonio sono ancora insieme. Hanno tanti interessi in comune. Si capiscono al volo, a volte basta uno sguardo. Insomma, sono felici.
C’è solo un *ma*. Ora Zita ha sessant’anni, Antonio solo quarantacinque. Lei continua a tormentarsi, pensando di avergli rovinato la vita.
Lui, invece, si considera l’uomo più fortunato del mondo.