C’era una volta un contadino in Italia. Uno normale, senza troppi soldi. Aveva una casetta vecchia, un po’ di animali: due mucche, tre capre, tre anatre e una decina di galline che gli facevano le uova. E poi un pezzo di terra non male, dove piantava di tutto—granturco, patate, roba così—giusto per tirare avanti.
Poi c’erano pure il cane, Briciola, e due gatte. E sai una cosa? Tutti questi qua volevano mangiare, eh. E pure lui, che gli piaceva uno spuntino ogni tanto. Aveva un trattore vecchio nel capanno e gli attrezzi per lavorare la terra. Ma la cosa bella? Gli animali lo adoravano, perché lui li trattava come famiglia. Parlava con loro, divideva pure l’ultimo boccone. Se qualcuno stava male, lo portava in casa e lo curava come un figlio.
Gli altri contadini della zona ridevano di lui. “Ma perché non li vendi tutti al macello?” gli dicevano. “Con quei soldi ti compri macchine nuove, non devi più mantenerli, e magari trova pure una donna! Chi se ne frega di un poveraccio come te?” Lui però non si scompose mai. Sorrideva e rispondeva: “Non posso, sono la mia famiglia.”
Al bar, dove tutti i sabati si ritrovavano a bere un bicchiere e a giocare a biliardino, queste parole suonavano come una barzelletta. Si ballava pure, con la musica della band locale—roba vecchia ma bella. Lui però non ballava mai. Nemmeno gli stivali aveva decenti! Figurati se poteva mettersi lì a fare il figurino come gli altri.
E poi c’era la cameriera, Martina, che lo guardava sempre. Un tipo tranquillo, con gli occhi buoni. Più di una volta aveva provato a invitarlo a ballare, ma lui diventava rosso come un peperone, nascondeva i piedi sotto il tavolo e borbottava: “Scusi signorina, ho bevuto troppo, mi gira la testa.”
“Ma che dice? Ha bevuto un bicchiere!” si lamentava Martina. Alla fine un altro contadino le spiegò: “Quello ha una casa piena di animali che fa fatica a mantenere. Gli abbiamo detto mille volte di venderli, ma niente. Lui dice che sono la sua famiglia.”
“E lui?” chiese Martina.
“Eh, un pazzo,” rispose il contadino ridendo, prima di provare a abbracciarla. Ma in Italia, ditemi voi, le cameriere non sono tipo da farsi mettere le mani addosso. Un destro ben piazzato, e quello finì per terra tra le risate di tutti.
Da quel giorno, Martina cominciò a guardare il contadino con occhi diversi. Gli offriva panini gratis, ma lui si vergognava e rifiutava. Boh, chi lo capisce? Forse era amore non corrisposto, o forse corrisposto ma lui si sentiva un peso. Un contadino che faceva fatica a campare, mica un gran partito.
Poi arrivò la semina. E gli animali? Lo seguivano col trattore, per dargli un po’ di coraggio. E Briciola? Lui la portava al bar, la nascondeva sotto il tavolo e le dava i panini che Martina gli offriva—lui non li mangiava, preferiva darle a lei.
Martina guardava la scena e non sapeva se arrabbiarsi o piangere. A volte pensava: “Potrei sedermi sulle sue ginocchia, abbracciarlo e chiedergli: ‘Perché non mi baci? Dai, dai i panini a Briciola ma a me no?’” E poi si emozionava, sospirava…
Ma come sarebbe finita? Un giorno, il contadino si sedette sulla panchina in cortile, gli animali intorno. E all’improvviso si sentì male—proprio male. Il cuore. Preso dal dolore, cadde a terra.
Gli animali impazzirono. Starnazzare, belare, miagolii, un casino! Ma Briciola rimase calma. Ascoltò il cuore del padrone e abbaiò: “Zitti tutti! Sta morendo! Corro al bar a chiedere aiuto!” E via di corsa, con tutto il fiato che aveva.
Al bar, la band suonava, la gente ballava, nessuno la sentì abbaiare. Finché—BAM! Le porte volarono via! Le due mucche, di corsa, le avevano spaccate! Poi capre, anatre, galline, gatti—tutti dentro, un pandemonio!
Briciola urlava: “Ve l’avevo detto di non lasciarlo solo!” Alla fine la gente capì e corse alle macchine. Caricarono gli animali e partirono verso casa del contadino.
Fortuna, era ancora vivo. Lo portarono all’ospedale. E Martina? Si licenziò e rimase a badare alla fattoria. La sera andava a trovarlo, lui si vergognava e diceva: “Ti ripagherò tutto, ma non lasciare i miei bambini.”
Sì, li chiamava “i miei bambini.”
Quando tornò, un mese dopo, non riconobbe la casa. Martina aveva venduto la sua, aveva fatto lavori, comprato macchinari nuovi. Il contadino si tolse il cappello logoro: “Non ho soldi per tutto questo…”
Gli animali gli si strinsero attorno, felE Martina, sorridendo, gli prese la mano e sussurrò: “Non servono soldi, basta il tuo cuore.”