La figlia di un poliziotto caduto in servizio partecipa all’asta di un pastore tedesco — la sconvolgente ragione che nessuno si aspettava!

La figlia di un poliziotto caduto si presenta all’asta di un pastore tedesco la scioccante verità!

Il terreno della fiera di campagna a Borgo Fonteverde era sempre rumoroso, appiccicoso e troppo vasto per una ragazzina minuta e silenziosa come Ginevra Conti. Il sole estivo bruciava la ghiaia, trasformando ogni alito d’aria in qualcosa di denso e luminoso. Le giostre ronzavano dietro i padiglioni delle bancarelle di carne, i venditori gridavano offerte di zucchero filato e biglietti della lotteria, mentre dal padiglione principale echeggiava il suono lontano di un martello. Lì, al centro dellevento più importante della giornata, Ginevra aveva otto anni e non aveva pronunciato una sola parola da quel novembre in cui due agenti in uniforme erano apparsi alla loro fattoria, e il suo mondo era andato in mille pezzi. Sua madre, lagente Isabella Conti, non cera più. Caduta in servizio, scrivevano i giornali, se ne era andata senza lasciare spazio a domande o speranze. Da allora, la voce di Ginevra si era ritirata in un angolo del suo corpo che nemmeno lei riusciva a trovare.

Ma quella mattina, Ginevra si era svegliata allalba con un dolore al petto più forte del solito. Si era subito diretta verso il barattolo di vetro impolverato che aveva riempito di monetine, perché era abbastanza piccola da poterle contenere tutte. Le monete da dieci centesimi dei compleanni, i quattro euro guadagnati vendendo limonata, gli spiccioli che sua madre le lasciava come premi. Le contò due volte: quarantotto euro e qualche centesimo. Infilò il tesoro nello zaino e aspettò sulla porta.

La moglie di sua madre, Raffaella, aveva cercato di dissuaderla: «Oh, Ginevra, tesoro, non devi andare a quellasta», aveva detto, inginocchiandosi con quegli occhi stanchi che un tempo erano così luminosi. «Non troverai quello che cerchi. Facciamo dei pancake, va bene?». Ma Ginevra aveva scosso la testa, gli occhi fissi sullanello di Raffaella che luccicava nella luce del mattino. Quellanello doro sembrava sbagliato, troppo grande sul suo dito tremante. Il patrigno di Ginevra, Marco, era rimasto in disparte, giocherellando col cellulare e cercando di non sembrare nervoso. Non sapeva come aiutarla dopo il funerale, se non con frasi tipo: «Dai, Ginevra, devi andare avanti, altrimenti non potrai vivere». A volte lo odiava per questo. Altre volte non aveva nemmeno la forza per odiarlo. Partirono in silenzio, la vecchia Fiat di Raffaella sobbalzava lungo la strada di campagna, ogni buca spingeva le mani di Ginevra. Quando raggiunsero il parcheggio, Raffaella si chinò e sussurrò: «Qualunque cosa accada, ti voglio bene, capito?». Ginevra guardò le sue ginocchia, e lo sportello posteriore si chiuse con un tonfo. Laria della fiera la colpì allistante: odore di zucchero filato, fieno, sudore e metallo arroventato dal sole.

Nel padiglione, la folla si ammassava sulle panche di legno che circondavano il piccolo palco. Alcuni agenti in uniforme erano in prima fila, chiaramente a disagio. Su un lato cera ununica gabbia di metallo sotto un cartello scritto a mano: *Asta del cane da lavoro ritirato dal servizio*. Ed eccolo lì: Rex, lunica cosa che ancora sembrava reale di sua madre per Ginevra.

Non un ricordo, non una fotografia, ma Rex, il cui muso ora era segnato dagli anni, ma gli occhi ancora scuri e penetranti. Stava seduto come se quel posto fosse suo, ma la coda si muoveva appena. Il suo sguardo percorse la folla, poi si fermò istintivamente su Ginevra. Un brivido le corse lungo la schiena. Per mesi, Ginevra si era sentita viva solo di notte, quando sussurrava a Rex attraverso il recinto della vecchia stazione di polizia, dopo che tutti se ne erano andati. Gli confidava cose che non avrebbe mai detto a nessun altro, segreti, il dolore che provava, e quanto desiderava che sua madre tornasse a casa. Rex non rispondeva, ma ascoltava, e questo bastava.

Un uomo in un completo blu stropicciato annunciò con voce eccessivamente allegra: «Oggi avete tutti la possibilità di possedere un pezzo di storia di Borgo Fonteverde! Il nostro Rex, che ha servito per cinque anni nella polizia, è in pensione da quando lagente Conti ci ha lasciato. Cerca una nuova casa. Diamogli un po di amore, va bene?». Ginevra strinse così forte il barattolo che il vetro le graffiò il palmo. Raffaella le posò una mano sulla spalla, ma lei si scostò. Scrutò la folla: curiosi, forse paesani che ricordavano sua madre, o semplicemente gente che si godeva lo spettacolo. Ma in prima fila vide due uomini che non sembravano appartenere alla folla. Uno era alto, con capelli grigi, una camicia bianca e un sorriso da lupo: Vincenzo Forte, proprietario della Forte Security, un nome che Ginevra aveva visto sui cartelloni pubblicitari con slogan come *Sicurezza di cui fidarsi*. Laltro era più rude, la camicia di jeans macchiata, il viso arrossato dal sole e segnato dalle rughe: Gerardo “Gero” Bianchi, un agricoltore dallaltra parte della valle. Osservavano Rex con unintensità che le strinse lo stomaco. Cercò di non guardare Vincenzo, ma i suoi occhi tornavano sempre su di lei, freddi e inquisitori. Bianchi, invece, non la degnava di troppa attenzione, ma la sua mascella serrata tradisceva la tensione.

Lasta iniziò con lannuncio: «Partiamo da cinquecento euro. Qualcuno offre cinquecento?». Il cuore di Ginevra batteva forte. Cinquecento euro. Le sue monetine sembravano ridicole. Raffaella si agitava dietro di lei. Rex rimaneva vigile mentre le offerte salivano. Un uomo con un cappello da baseball gridò: «Cinquecento!». Vincenzo alzò un dito: «Mille». Bianchi, senza esitare: «Millecinquecento». I numeri salivano rapidamente, le voci si alzavano, laria si riempiva di tensione e aspettativa. Ginevra fece un passo avanti. Il martello dellasta oscillava nella mano del banditore. Altre offerte? La sua voce, a lungo silenziosa, si sollevò come unombra in gola, ma si costrinse a parlare, tremando: «Io offro…». Un silenzio assordante scese sulla sala. Il banditore la guardò con una tenerezza che ferì: «Piccola, quanto offri?». Ginevra tese il barattolo con entrambe le mani: «Quarantotto euro e sedici centesimi». Qualcuno nella folla rise, un suono tagliente. Vincenzo sorrise. Il banditore si inginocchiò, prendendo il barattolo come se fosse un tesoro: «Grazie, piccola». Ma scosse la testa, gentilmente ma fermamente: «Non basta. Mi dispiace». Rex emise un gemito profondo, doloroso. Un suono che sembrò librarsi sulle fattorie, strappando qualcosa di profondo dentro chiunque lo ascoltasse. Ginevra voleva urlare, scappare, fare qualsiasi cosa tranne stare lì e fallire di fronte a tutti. Si voltò per correre via, ma Rex abbaiò una volta, chiaro,

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