Sola, si presentò allasta di pastori tedeschi la figlia di un poliziotto morto la motivazione era scioccante
La voce dellasta risuonava da oltre unora tra le travi del capannone, acuta, ritmica, ipnotica. Mucche. Capre. Un paio di galline in una cesta. La gente a malapena alzava lo sguardo quando annunciò il lotto successivo.
“Lotto 42. Cane in pensione, K9, sette anni, maschio. Risponde al tedesco e ai comandi manuali. Assegnato in precedenza allagente Hannah Bianchi, del 12° distretto”
La folla mormorò. Qualche testa si voltò.
Tutti ricordavano quel nome. In città, nessuno laveva dimenticato.
Lagente Bianchi era il tipo di poliziotta che non dimenticava i compleanni, che si fermava ad aiutare a cambiare una gomma sotto la pioggia. Poi, una sera, non era tornata a casa. Il suo partner il cane era stato ritirato dal servizio, tenuto in un canile per settimane prima di essere silenziosamente “pensionato”. Nessuno voleva parlarne.
Troppe lacune nel rapporto.
Troppo dolore.
Ora, sedeva in un recinto appena più grande del necessario. Il suo pelo era opaco. Teneva le orecchie dritte a ogni chiamata, ma non rispondeva. Fino ad ora.
La ragazza fece un passo avanti.
E il pastore tedesco si alzò.
Nessun abbaiare. Nessun ringhiare.
Alzati.
Come se gli avesse dato un comando che solo lui poteva sentire.
Un silenzio cadde sulla stalla. Da qualche parte, un bambino piangeva. Un uomo rise goffamente, poi tacque.
La ragazza si fermò a un metro dal podio dellasta.
Tirò fuori un barattolo dallo zaino.
Monete da venti centesimi. Una da due euro. Un biglietto da cinque euro piegato. Un nastro del funerale di sua madre. E una foto laminata.
Raffigurava lagente Bianchi e il suo cane Rex sorridenti davanti a una volante, il cane con le orecchie dritte, orgoglioso del distintivo appuntato al collare.
La ragazza alzò lo sguardo. La sua voce si incrinò nel silenzio, ma era ferma.
“È già mio.”
Laddetto allasta esitò.
“Piccola,” disse, schiarendosi la gola, “non credo che”
La ragazza non batté ciglio.
“Mi accompagnava a scuola. Dormiva sulla mia soglia. È stato lultimo a vederla viva. Appartiene a me.”
Silenzio.
Poi, una voce da dietro: “Lasci che sia il cane a decidere.”
Le teste si girarono. Era un uomo anziano, un ex collega di Bianchi. Si fece avanti e annuì alladdetto allasta. “Apri il recinto.”
Si sentì lesitazione. Il protocollo. La responsabilità. Ma in quel momento, per qualche motivo, le regole sembravano più piccole.
La porta del recinto si aprì.
Rex non si precipitò. Non andò avanti e indietro.
Scendette lentamente, annusò laria e andò dritto verso la ragazza.
Lei si inginocchiò, avvolgendogli le braccia attorno al collo robusto. Lui si chinò su di lei, stringendola, proteggendola, come se ricominciasse un dovere che non voleva più perdere.
La stanza esplose, non in applausi, ma in qualcosa di più sommesso. Qualcosa di rispettoso.
Alcuni piansero. Altri distolsero lo sguardo, imbarazzati dalle lacrime.
Persino i due uomini in giacca e cravatta, pronti a offrire migliaia di euro per trasformare un K9 fedele in un cane di guardia, rimasero in silenzio. Uno di loro si asciugò gli occhi con un pugno serrato.
Laddetto allasta abbassò il microfono.
“È fatta,” sussurrò. “Torna a casa.”
Più tardi, alcuni agenti aiutarono la ragazza a salire su un fuoristrada della polizia. Non perché avesse bisogno di un passaggio, ma perché Rex si rifiutava di lasciarla e loro non avevano il cuore di separarli di nuovo.
Qualcuno le chiese cosa avrebbe fatto ora.
Lei alzò lo sguardo verso lagente al volante, la testa di Rex che riposava dolcemente sulle sue ginocchia.
“Lo addestrerò ad essere mio,” disse.
“Già lo è,” sussurrò lautista.
Mentre si allontanavano dal mercato, il sole calava e le ombre si allungavano sulla ghiaia, cominciava un nuovo capitolo.
Non solo di guarigione.
Ma di ritorno.
Perché alcuni legami non si spezzano quando la divisa viene riposta.
Alcuni amori specialmente quelli tra una figlia e lultimo pezzo vivente di sua madre non si dimenticano mai.




