La Figlia Nascosta

**Diario di un Uomo**

Il padre di Chiara aveva quindici anni più della mamma. Vestiva sempre in modo elegante, un po’ antiquato: pantaloni, camicia, giacca o maglione. Mai un paio di scarpe da ginnastica o una maglietta. Lui era diverso dagli altri padri delle amiche, e Chiara lo adorava. Quando tornava dal lavoro, lei gli correva incontro, lui la sollevava tra le braccia e le chiedeva, guardandola negli occhi:

“Com’è andata la giornata della mia principessa?”

A Chiara piaceva tantissimo sentirsi chiamare così. Lo abbracciava forte e inspirava quel profumo unico, il più bello del mondo, l’odore della felicità—un misto di colonia, sigarette e qualcos’altro che non sapeva definire.

“E io, non sono una principessa?” chiedeva la mamma, facendo il broncio per ottenere le sue attenzioni. Lui teneva Chiara con un braccio e abbracciava la moglie con l’altro, baciandola sulla guancia e dicendo:

“Siete le mie due principesse preferite.”

Era un gioco che si ripeteva ogni giorno, e a Chiara piaceva.

Ma quando crebbe, il gioco finì. Chiara continuava ad aspettare il padre sulla porta, ma senza gridare o saltargli addosso come un cucciolo. Ora si limitava a dire:

“Ciao, papà.”

“Ciao,” rispondeva lui, appendendo il cappotto e senza guardarla.

Non voleva più essere presa in braccio come una bambina, ma perché non le guardava più negli occhi? Perché non la chiamava più principessa?

“Sei rimasto di nuovo a lavorare?” chiese un giorno.

“Sì. Lo sai com’è il mio lavoro.”

“Che vuol dire?”

“Sono il capo, anche se di un piccolo reparto.” Si passò una mano tra i capelli e la superò per entrare in salotto. Chiara sentiva che mentiva. Che lavoro poteva avere un responsabile di un’officina per elettrodomestici? Certo, qualche cliente pagava di più per una riparazione urgente, ma non era la norma. Ultimamente, però, il padre tornava tardi, senza fiori. E nei weekend spariva due o tre ore, dicendo di dover lavorare. Tornava silenzioso, distante. Chiara avvertiva un segreto, una menzogna.

Anche quel giorno era successo.

“Ciao. Com’è andata a scuola? La mamma c’è?”

Il padre guardava oltre di lei, senza aspettarsi risposte. Lei non gliele diede. Si dice che le donne abbiano un sesto senso, e anche le ragazzine lo sentono. E Chiara capiva che qualcosa era cambiato. Non per niente la mamma aveva gli occhi rossi. Litigavano di nascosto, ma non ridevano più.

Anche il suo odore era diverso, soprattutto nei giorni in cui “lavorava fino a tardi”. Sembrava colpevole, teso. L’aria in casa era pesante. Una volta ne parlò con la mamma.

“A volte ci sono momenti difficili tra le persone. Ma passano, se ci si vuole bene,” rispose lei, evasiva.

“E se non ci si ama più?”

“Allora ci si separa. Si prova a ricominciare con altri. Ma non sempre funziona.”

“Voi due vi amate ancora?”

“Fai troppe domande. Non tutte hanno risposte,” sbuffò la mamma. E Chiara tacque, richiudendosi in camera.

Forse i suoi genitori si erano stancati l’uno dell’altra. Ma lei che c’entrava? Stancarsi di lei? Non si amavano, quindi non amavano nemmeno lei? E adesso? Si sarebbero lasciati? Troppe domande senza risposte.

Quell’estate non andarono al mare. Il padre “lavorava”, mentre lei e la mamma andarono dalla nonna in campagna. Lui non li raggiunse nemmeno il weekend. Chiara sentì la nonna sussurrare alla mamma:

“L’hai lasciato solo in città. Sai cosa può succedere.”

“Mamma, smettila. Non posso incatenarlo. Quel che sarà, sarà.”

“Sciocca. Un uomo così non si lascia. Pensa a Chiara.”

“Di che parlate? Papà ci lascia?” irruppe Chiara in cucina.

“Spioni? Non è roba da bambini.”

“Non sono più piccola!”

“Allora sta’ zita. Gli adulti risolvono da soli.”

Dopo due settimane, il padre venne a prenderle. Chiara era felice, la mamma si era vestita meglio. Ma tra loro solo silenzi rotti da frasi brevi. E l’aria in casa diventava sempre più pesante.

Chiara adorava dicembre. Il suo compleanno, poi il Natale. Un mese di feste.

Un giorno, uscì dal cinema ridendo con le amiche. Sulla piazza c’era già l’albero, le vetrine scintillavano.

“Prendiamo un gelato?” propose Elena.

“Ti ammali, e Marco ballerà con la Santi al veglione,” rise Marta.

Mentre scherzavano, Chiara vide il padre. Stava per chiamarlo, poi notò una ragazzina accanto a lui. Si nascose dietro Elena.

“È tuo padre!” sussurrò Rosa. “Chi è quella?”

Lo seguì. Era lui: quel cappotto, quel profilo. Lui si chinò verso la ragazza, le disse qualcosa. Poi salirono sul tram. Chiara rimase lì, con il cuore in pezzi. Troppi segreti, troppe bugie. Se non le dicevano la verità, l’avrebbe scoperta da sola.

Ma non fece in tempo. Quella sera ebbe la febbre alta. Quando guarì, il padre se n’era già andato. La mamma non volle spiegarle nulla. Allora andò da lui, lo aspettò fuori dal lavoro.

“Ciao, papà.”

“Chiara? Che ci fai qui?” era confuso. “Tutto bene con la mamma?”

“Sì. Sono venuta per te.”

Si sedettero in un bar. Lui ordinò la sua torta preferita.

“Com’è la scuola? Sei cresciuta.”

“Se sono grande, dimmi perché te ne sei andato.”

Lui chinò lo sguardo.

“Capisci… era una storia prima di tua mamma. Una donna che non ho più visto. Poi è riapparsa, malata. Aveva una figlia. Mia figlia. Voleva che mi prendessi cura di lei.”

“E quella ragazza è tua figlia? Vi ho visti al cinema.”

“Sì. Con Natascia. Volevo distrarla. Sua madre era morente.”

“E non potevi dirlo a me?”

“Avevo vergogna. Mi avresti perdonato?”

“Non lo so.” Si alzò e uscì.

Lui non la fermò. Tornò a casa e raccontò tutto alla mamma.

“Lo sapevo che l’avresti scoperto. Com’è lui?”

“Male. Invecchiato. Dice che ti ama ancora.”

“Davvero?” mormorò la mamma guardando fuori.

“Perché l’hai cacciato? Lo amo anch’io! Ora siamo tutti infelici tranne quella ragazza. Ti odio!” Le parole le erano sfuggite. La mamma pianse.

“Mamma, scusami… ti amo…”

“Da quando se n’è andato, io non vivo più.”

“Andiamo da lui, ora.”

“E cosa gli dico?”

“Parlate. E io conoscerò mia sorella.”

Il padre aprì la porta, incredulo. Natascia aveva un anno più di Chiara, studiava ragioneria. I genitori parlarono senza rancore. Ma decisero di aspettare.

Tre anni dopo, il padre morì. Le sorelle si avvicinarono solo ai funerali. Poi Natascia si sposò e partì. Ma si chiamavano, si auguravano il compleanno, il Natale.

“Ho avuto un figlio. L’ho chiamato come nostro”Spero che un giorno anche tu abbia la tua famiglia, e che capirai che a volte il cuore si divide, ma l’amore resta intero.”

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